19 Marzo 2024

17. LE CONDIZIONI OGGETTIVE PER UN PROCESSO RIVOLUZIONARIO

«Va dunque sottolineato come l’attuale forma di capitalismo che si sta diffondendo, un capitalismo che porta il timbro della globalizzazione, non sia più sostenibile proprio perché se da una parte pretende che tutti i paesi esportino di più (circostanza matematicamente impossibile), dall’altra impone che si paghino sempre meno i lavoratori, comportando necessariamente una drastica diminuzione dei consumi e quindi delle vendite. Un sistema, questo, che non può che aggravare sempre più l’attuale crisi – sia nell’economia reale che in quella finanziaria – producendo inevitabilmente le conseguenze che tutti noi stiamo subendo».
(Antonino Galloni, ex funzionario del Ministero del Bilancio e della Programmazione Economica e,
dal luglio 1984 al luglio 1986, del Tesoro)29
Stante questa situazione, che può condurre ad una situazione di declino del “vecchio mondo”, questo non comporta necessariamente un peggioramento delle condizioni di vita delle popolazioni delle nazioni più avanzate economicamente. Non è insomma colpa dei cinesi se le condizioni dei lavoratori europei peggiorino costantemente da decine di anni. L'Europa e gli USA hanno lanciato negli anni '70 la globalizzazione imperialista come risposta complessiva al blocco socialista, alla decolonizzazione e alle rivendicazioni sempre più avanzate della classe operaia. Per qualche decennio il sistema ha funzionato, ricattando milioni di lavoratori in tutto il mondo, obbligandoli a sottostare alle dure condizioni imposte dal Capitale. Oggi le contraddizioni capitalistiche diventano sempre più stringenti, riaprendo il problema sulle vie d'uscita a disposizione, le quali si possono sostanzialmente ricondurre a quattro tipologie:
1) il ritorno a forme di autoritarismo di stampo fascista, al fine di mantenere il dominio della borghesia con la violenza, rigettando il binomio liberalismo-democrazia abbracciato nel 1945;
2) l'accettazione di un nuovo compromesso keynesiano, teso a privilegiare l'espansione dei consumi interni, riprendendo il discorso interrotto negli anni '70;
3) la prosecuzione delle politiche liberiste portate avanti nell'ambito delle istituzioni liberal-democratiche, rinnovando le forme dell’egemonia sulle classi dominate.
4) abbinabile a tutte e tre le precedenti vi è una quarta opzione “classica”: la guerra. Non necessariamente una guerra mondiale, ma conflitti di carattere post-coloniale tesi a rivitalizzare l'economia attraverso la soluzione classica utilizzata dalle borghesie sin dal XIX secolo. Il processo peraltro è già stato avviato negli ultimi anni, con il progressivo attacco a paesi come Iraq, Afghanistan, Libia e Siria.
In tutti i casi, seppure in misure diverse, si presentanoLenin condizioni oggettive che, se adeguatamente sfruttate da un attrezzato Partito Comunista, possono condurre a sviluppi rivoluzionari, anche se il processo non è chiaramente meccanicistico né necessario. Il caso della Grecia ha visto salire al potere una forza politica antiliberista ma non antimperialista, alla prova dei fatti non rivoluzionaria. Il fallimento di Syriza dimostra l'impossibilità di governare con un programma “socialdemocratico” nella crisi attuale dei paesi semi-coloniali, nel complesso dei paesi capitalistici. Il superamento in senso progressivo di questa fase passerà solo attraverso la presa di coscienza delle masse lavoratrici dell'esigenza di un processo rivoluzionario teso a ristabilire un controllo “pubblico” sull'economia, ponendosi fuori dalle sovrastrutture imperialiste. Il ritorno a possibili sviluppi rivoluzionari in Occidente si accompagna ad un aspetto inedito: la possibilità per i comunisti di poter prendere il potere politico in paesi già sviluppati economicamente. Una rivoluzione socialista in Italia, Francia o Spagna avrebbe una base industriale abbastanza avanzata da poter immaginare soluzioni economiche prossime a quelle pensate dallo stesso Marx e dal primo Lenin, senza la necessità di politiche “sviluppiste”. I progressi dell'informatizzazione, dei settori terziari e una solida base industriale e agricola, oltre ad una capacità tecnologica assai sviluppata, consentono di impostare un modo di produzione secondo i modelli classici della pianificazione centralizzata, al fine di poter procedere alla razionalizzazione della produzione in maniera più flessibile rispetto alla strada sovietica, usando ad esempio i progressi offerti dal toyotismo, oltre alla sempre più marcata meccanizzazione degli impianti produttivi, che pongono all'ordine del giorno la possibilità di eliminare la disoccupazione attraverso una netta riduzione dell'orario lavorativo. La strada dei comunisti in Occidente resta insomma quella “classica”, la quale non può che accompagnarsi al sostegno del mondo multipolare e alla prosecuzione incessante della denuncia dell'imperialismo e delle sue manovre di destabilizzazione. I comunisti devono lottare per la pace e per il rispetto della sovranità popolare e nazionale dei popoli di tutto il mondo. A tal riguardo devono sostenere qualunque governo progressista che si ponga in contrapposizione con l'imperialismo nel tentativo di sviluppare le proprie forze produttive.
29. A. Galloni, Intervento al Convegno: “La schiavitù nel mondo e in Italia. Nuove forme e ponti di libertà. Sistema giuridico attuale e difesa dei diritti di libertà” (a cura di Radio Radicale), Radioradicale.it-Incontrostoria.it, Agnano, 24 ottobre 2012.

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