19 Marzo 2024

3. IL “LIBRETTO ROSSO” DI STALIN

Anche per Stalin procediamo ad offrire alcuni contributi teorici che mantengono ancora oggi importanti spunti per comprendere l'esperienza della Rivoluzione d'Ottobre, dell'URSS e della teoria che ne ha guidato la costruzione.

Sul marxismo-leninismo:
«Esporre i princípi del leninismo, non vuol ancora dire esporre i princípi della concezione del mondo di Lenin. La concezione del mondo di Lenin e i princípi del leninismo non sono, per ampiezza, la stessa cosa. Lenin è un marxista e la base della sua concezione del mondo è, naturalmente, il marxismo. Ma da questo non deriva affatto che un’esposizione del leninismo debba partire dall’esposizione dei princípi del marxismo. Esporre il leninismo significa esporre ciò che vi è di particolare e di nuovo nell’opera di Lenin, ciò che Lenin ha apportato al tesoro comune del marxismo e che naturalmente è legato al suo nome. Soltanto in questo senso parlerò nelle mie lezioni dei princípi del leninismo. Dunque, che cosa è il leninismo? Gli uni dicono che il leninismo è l’applicazione del marxismo alle condizioni originali della situazione russa. In questa definizione vi è una parte di verità, ma essa è ben lontana dal contenere tutta la verità. Lenin ha effettivamente applicato il marxismo alla situazione russa e l’ha applicato in modo magistrale. Ma se il leninismo non fosse che l’applicazione del marxismo alla situazione originale della Russia, sarebbe un fenomeno puramente nazionale e soltanto nazionale, puramente russo e soltanto russo. Invece noi sappiamo che il leninismo è un fenomeno internazionale, che ha le sue radici in tutta l’evoluzione internazionale e non soltanto un fenomeno russo. Ecco perché penso che questa definizione pecca di unilateralità. Altri dicono che il leninismo è la rinascita degli elementi rivoluzionari del marxismo del decennio 1840-1850, per distinguerlo dal marxismo degli anni successivi, divenuto, a loro avviso, moderato, non più rivoluzionario. A prescindere dalla sciocca e banale divisione della dottrina di Marx in due parti, una rivoluzionaria e una moderata, bisogna riconoscere che anche questa definizione, del tutto insufficiente e insoddisfacente, contiene una parte di verità. Questa parte di verità consiste nel fatto che Lenin ha effettivamente risuscitato il contenuto rivoluzionario del marxismo, ch’era stato sotterrato dagli opportunisti della II Internazionale. Ma questa non è che una parte della verità. La verità intera è che il leninismo non solo ha suscitato il marxismo, ma ha fatto anche un passo avanti, sviluppando ulteriormente il marxismo nelle nuove condizioni del capitalismo e della lotta di classe del proletariato. Che cosa è dunque, in ultima analisi, il leninismo? Il leninismo è il marxismo dell’epoca dell’imperialismo e della rivoluzione proletaria. Più esattamente: il leninismo è la teoria e la tattica della rivoluzione proletaria in generale, la teoria e la tattica del proletariato in particolare. Marx ed Engels militarono nel periodo prerivoluzionario (ci riferiamo alla rivoluzione proletaria), quando l’imperialismo non si era ancora sviluppato, nel periodo di preparazione dei proletari alla rivoluzione, nel periodo in cui la rivoluzione proletaria non era ancora diventata una necessità pratica immediata. Lenin invece, discepolo di Marx e di Engels, militò nel periodo di pieno sviluppo dell’imperialismo, nel periodo dello scatenamento della rivoluzione proletaria, quando la rivoluzione proletaria aveva già trionfato in un paese, aveva distrutto la democrazia borghese e aperto l’era della democrazia proletaria, l’era dei Soviet. Ecco perché il leninismo è lo sviluppo ulteriore del marxismo. […] Non bisogna dimenticare che fra Marx ed Engels da una parte e Lenin dall’altra, si stende un intero periodo di dominio incontrastato dell’opportunismo della II Internazionale. La lotta spietata contro l’opportunismo non poteva non essere uno dei compiti più importanti del leninismo».
(da Princìpi del leninismo, lezioni tenute all’Università di Sverdlov nel 1924)
Sulla grandezza della Rivoluzione d'Ottobre:
«La Rivoluzione d'Ottobre non è solo una rivoluzione “nel quadro nazionale”. Essa è innanzitutto una rivoluzione di ordine internazionale, mondiale, perché segna, nella storia universale del genere umano, una svolta radicale dal vecchio mondo capitalista al mondo nuovo, socialista. Nel passato le rivoluzioni terminavano di solito con la sostituzione al timone dello Stato di un gruppo di sfruttatori con un altro gruppo di sfruttatori. Gli sfruttatori cambiavano, lo sfruttamento restava. Così fu al tempo dei movimenti di liberazione degli schiavi. Così fu nel periodo delle insurrezioni dei servi della gleba. Così fu nel periodo delle famose “grandi” rivoluzioni in Inghilterra, in Francia, in Germania. Non parlo della Comune di Parigi, che fu il primo glorioso ed eroico, ma tuttavia vano, tentativo del proletariato di far marciare la storia contro il capitalismo. La Rivoluzione d'Ottobre si distingue da queste rivoluzioni in linea di principio. Essa si propone non già di sostituire una forma di sfruttamento con un'altra forma di sfruttamento, un gruppo di sfruttatori con un altro gruppo di sfruttatori, bensì di sopprimere ogni sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo, di sopprimere tutti i gruppi di sfruttatori, di instaurare la dittatura del proletariato, di instaurare il potere della classe più rivoluzionaria fra tutte le classi oppresse finora esistite, di organizzare una nuova società socialista senza classi.
Appunto perciò la vittoria della Rivoluzione di Ottobre segna una svolta radicale nella storia del genere umano, una svolta radicale nei destini storici del capitalismo mondiale, una svolta radicale nel movimento per l'emancipazione del proletariato mondiale, una svolta radicale nei mezzi di lotta e nelle forme d'organizzazione, nei costumi e nelle tradizioni, nella cultura e nell'ideologia delle masse sfruttate di tutto il mondo. È questa la ragione per cui la Rivoluzione d'Ottobre è una rivoluzione di ordine internazionale, mondiale. […] La Rivoluzione d'Ottobre spicca innanzitutto perché ha spezzato il fronte dell'imperialismo mondiale, ha abbattuto la borghesia imperialista in uno dei più grandi paesi capitalistici e ha portato al potere il proletariato socialista. Per la prima volta nella storia dell'umanità la classe dei salariati, la classe dei perseguitati, la classe degli oppressi e degli sfruttati è assurta alla situazione di classe dominante, guadagnando col suo esempio i proletari di tutti i paesi. Ciò significa che la Rivoluzione d'Ottobre ha aperto una nuova epoca, l'epoca delle rivoluzioni proletarie nei paesi dell'imperialismo. Essa ha tolto ai grandi proprietari fondiari e ai capitalisti gli strumenti e i mezzi di produzione e li ha fatti diventare proprietà sociale, opponendo così alla proprietà borghese la proprietà socialista. In tal modo essa ha smascherato la menzogna dei capitalisti, secondo cui la proprietà borghese è sacra, inviolabile ed eterna. Essa ha strappato il potere alla borghesia, ha privato la borghesia dei diritti politici, ha distrutto l'apparato statale borghese e trasmesso il potere ai Soviet, opponendo così al parlamentarismo borghese, alla democrazia capitalistica, il potere socialista dei Soviet, la democrazia proletaria». (da Il carattere internazionale della Rivoluzione d'Ottobre, per il Decimo Anniversario della Rivoluzione d'Ottobre, pubblicato su Pravda, n° 255, 6-7 novembre, 1927)
Sulla socialdemocrazia come sostegno ideologico del capitalismo:
«La Rivoluzione d'Ottobre ha tracciato un solco incolmabile tra il marxismo e il socialdemocratismo, tra la politica del leninismo e la politica del socialdemocratismo. Nel passato, prima della vittoria della dittatura del proletariato, la socialdemocrazia poteva pavoneggiarsi, drappeggiata nella bandiera del marxismo, senza negare apertamente l'idea della dittatura del proletariato, ma anche senza far nulla, assolutamente nulla, per affrettare la realizzazione di quest'idea; è chiaro che un simile atteggiamento della socialdemocrazia non creava nessuna minaccia per il capitalismo. Allora, in quel periodo, la socialdemocrazia, da un punto di vista formale, si confondeva, o quasi, col marxismo. Oggi, dopo la vittoria della dittatura del proletariato, quando tutti hanno visto coi loro occhi dove conduce il marxismo e che cosa può significare la sua vittoria, la socialdemocrazia non può più pavoneggiarsi, drappeggiata nella bandiera del marxismo, non può più civettare con l'idea della dittatura del proletariato senza creare un certo pericolo per il capitalismo. Avendo rotto da tempo con lo spirito del marxismo, essa è stata costretta a rompere anche con la bandiera del marxismo, si è schierata apertamente e senza equivoco contro la Rivoluzione d'Ottobre, frutto del marxismo, contro la prima dittatura proletaria del mondo. Oggi essa si è dovuta separare e si è effettivamente separata dal marxismo, perché nelle condizioni attuali non ci si può chiamare marxisti se non si sostiene apertamente e senza riserve la prima dittatura proletaria del mondo, se non si conduce una lotta rivoluzionaria contro la propria borghesia, se non si creano le condizioni per la vittoria della dittatura del proletariato nel proprio paese. Tra la socialdemocrazia e il marxismo si è aperto un abisso. Ormai l'unico assertore e baluardo del marxismo è il leninismo, il comunismo. Ma non ci si è fermati qui. Segnata una linea di demarcazione tra la socialdemocrazia e il marxismo, la Rivoluzione d'Ottobre è andata oltre, respingendo la socialdemocrazia nel campo dei difensori diretti del capitalismo contro la prima dittatura proletaria del mondo. Quando i signori Adler e Bauer, Wells e Levi, Longuet e Blum diffamano il “regime sovietico” esaltando la “democrazia” parlamentare, essi vogliono dire, con ciò, che combattono e continueranno a combattere per la restaurazione dell'ordine capitalistico nell'URSS, per la conservazione della schiavitù capitalistica negli stati “civili”. L'attuale socialdemocratismo è il sostegno ideologico del capitalismo. Lenin aveva mille volte ragione quando diceva che gli uomini politici socialdemocratici dei nostri giorni sono “veri agenti della borghesia in seno al movimento operaio, commessi operai della classe dei capitalisti”, di dire che “nella guerra civile del proletariato contro la borghesia” essi si schiereranno inevitabilmente “a fianco dei 'versagliesi' contro i 'comunardi'”. È impossibile finirla col capitalismo, senza aver posto fine al socialdemocratismo nel movimento operaio. Perciò l'era dell'agonia del capitalismo è in pari tempo l'era dell'agonia del socialdemocratismo nel movimento operaio. La grande importanza della Rivoluzione d'Ottobre consiste tra l'altro nel fatto che essa segna il trionfo ineluttabile del leninismo sul socialdemocratismo nel movimento operaio mondiale. L'era del dominio della II Internazionale e del socialdemocratismo nel movimento operaio è tramontata. È incominciata l'era del dominio del leninismo e della III Internazionale».
(da Il carattere internazionale della Rivoluzione d'Ottobre, 6-7 novembre, 1927)
Su come debba agire il proletariato:
«Come deve agire il proletariato, su quale strada si deve porre per attuare coscientemente il suo programma, abbattere il capitalismo e costruire il socialismo? La risposta è chiara: il proletariato non potrà giungere al socialismo attraverso la conciliazione con la borghesia: esso deve porsi necessariamente sulla via della lotta, e questa lotta dev'essere la lotta di classe, la lotta di tutto il proletariato contro tutta la borghesia. O la borghesia col suo capitalismo, o il proletariato col suo socialismo! Ecco su che cosa deve fondarsi l'azione del proletariato, la sua lotta di classe. Ma la lotta di classe del proletariato ha forme molteplici. È lotta di classe, per esempio, lo sciopero, sia esso parziale o generale. Lotta di classe sono indubbiamente il boicottaggio, il sabotaggio. Lotta di classe sono anche le dimostrazioni, le manifestazioni, la partecipazione agli istituti rappresentativi, ecc., siano parlamenti generali o amministrazioni locali. Tutte queste sono forme diverse di una medesima lotta di classe. Non staremo qui a spiegare quale forma di lotta ha maggior importanza per il proletariato nella sua lotta di classe; osserveremo soltanto che, a suo tempo e a suo luogo, ognuna di esse occorre assolutamente al proletariato come mezzo indispensabile per sviluppare la sua autocoscienza e la sua organizzazione. E per il proletariato l'autocoscienza e l'organizzazione sono necessarie come l'aria.
Ma si deve anche notare che, per il proletariato, tutte queste forme di lotta sono soltanto mezzi preparatori, che nessuna di queste forme è isolatamente il mezzo decisivo, al quale il proletariato riuscirà a distruggere il capitalismo. Non si può distruggere il capitalismo soltanto con lo sciopero generale: lo sciopero generale può preparare solamente alcune condizioni per la distruzione del capitalismo. Non si può neppure pensare che il proletariato possa abbattere il capitalismo solamente con la sua partecipazione al parlamento: col parlamentarismo si possono soltanto preparare alcune condizioni per l'abbattimento del capitalismo. Qual è il mezzo decisivo, grazie al quale il proletariato abbatterà l'ordinamento capitalistico? Tale mezzo è la rivoluzione socialista. Gli scioperi, il boicottaggio, il parlamentarismo, la manifestazione, la dimostrazione: tutte queste forme di lotta sono buone come mezzi che preparano e organizzano il proletariato. Ma nessuno di questi mezzi è atto a distruggere l'ineguaglianza esistente. È necessario concentrare tutti questi mezzi in un mezzo principale e decisivo, è necessario che il proletariato insorga e conduca un attacco decisivo contro la borghesia, per distruggere dalle fondamenta il capitalismo. Questo mezzo principale e decisivo è precisamente la rivoluzione socialista. Non si può considerare la rivoluzione socialista come un colpo improvviso e di breve durata; essa è una lunga lotta delle masse proletarie che sconfiggeranno la borghesia e conquisteranno le sue posizioni. E poiché la vittoria del proletariato sarà al tempo stesso dominio sulla borghesia vinta, poiché, durante lo scontro delle classi, la sconfitta di una classe significa il dominio dell'altra, la prima fase della rivoluzione socialista sarà il dominio politico del proletariato sulla borghesia. La dittatura socialista del proletariato, la conquista del potere da parte del proletariato: ecco come deve incominciare la rivoluzione socialista. Ma ciò significa che finché la borghesia non è completamente vinta, finché non le sarà confiscata la ricchezza, il proletariato deve necessariamente avere a propria disposizione la forza armata, deve necessariamente avere la sua “guardia proletaria”, mediante la quale respingerà gli attacchi controrivoluzionari della borghesia morente, proprio come avvenne per il proletariato parigino durante la Comune. La dittatura socialista del proletariato è necessaria perché, grazie ad essa, il proletariato possa espropriare la borghesia, confiscare a tutta la borghesia la terra, i boschi, le fabbriche e le officine, le macchine, le ferrovie, ecc. L'espropriazione della borghesia: ecco a che cosa deve condurre la rivoluzione socialista. Questo è il mezzo principale e decisivo grazie al quale il proletariato abbatterà l'ordinamento capitalistico moderno». (da Anarchia o socialismo?, 1907)
Sulle forme che debba prendere l'organizzazione del proletariato:
«Le organizzazioni più diffuse e più numerose sono i sindacati e le cooperative operaie (in prevalenza cooperative di produzione e di consumo). Lo scopo dei sindacati è la lotta (principalmente) contro il capitale industriale, per migliorare le condizioni degli operai nei limiti del capitalismo moderno. Lo scopo delle cooperative è la lotta (principalmente) contro il capitale commerciale, per accrescere il consumo degli operai, grazie alla diminuzione dei prezzi dei generi di prima necessità, nei limiti, s'intende, del capitalismo stesso. Come i sindacati, anche le cooperative sono assolutamente necessarie al proletariato, quali mezzi di organizzazione della massa proletaria. Perciò, dal punto di vista del socialismo proletario di Marx e di Engels, il proletariato deve far proprie entrambe queste forme di organizzazione, rafforzarle e consolidarle, nella misura, s'intende, in cui lo permettono le condizioni politiche esistenti. Ma i soli sindacati e le sole cooperative non possono soddisfare le esigenze organizzative del proletariato in lotta. E ciò perché le organizzazioni menzionate non possono uscire dai limiti del capitalismo, in quanto hanno per scopo il miglioramento delle condizioni degli operai nei limiti del capitalismo. Ma gli operai vogliono la liberazione completa dalla schiavitù capitalistica, vogliono spezzare questi stessi limiti e non aggirarsi nei limiti del capitalismo. Di conseguenza è anche necessaria un'organizzazione che raccolga intorno a sé gli elementi coscienti fra gli operai di tutte le categorie, trasformi il proletariato in classe cosciente e si prefigga come compito essenziale la distruzione degli ordinamenti capitalistici, la preparazione della rivoluzione socialista. Questa organizzazione è il partito socialdemocratico del proletariato [non essendo ancora avvenuta la frattura tra socialisti e comunisti ma è evidente da quel che segue che Stalin intenda tale partito su quelle che diventeranno le basi del partito marxista-leninista, ndr]. Questo partito dev'essere un partito di classe, assolutamente indipendente dagli altri partiti: e questo perché è il partito della classe dei proletari, la cui liberazione può essere realizzata soltanto con le loro stesse mani. Questo partito dev'essere un partito rivoluzionario: e questo perché la liberazione degli operai è possibile soltanto per via rivoluzionaria, mediante la rivoluzione socialista». (da Anarchia o socialismo?, 1907)
Sull'importanza delle lotte per forgiare l'esercito rivoluzionario:
«È superfluo dire che questa concezione semplicista della tattica politica del nostro partito non è altro che una confusione della comune tattica militare con la tattica rivoluzionaria dei bolscevichi. In realtà tutte quelle manifestazioni erano dappertutto il risultato di uno slancio spontaneo delle masse, il risultato della indignazione delle masse contro la guerra, indignazione che scoppiava in manifestazioni di strada. In realtà la funzione del partito consistette allora nel dare all'azione delle masse, che sorgeva in modo spontaneo una organizzazione e una direzione rispondenti alle parole d'ordine dei bolscevichi. In realtà, i bolscevichi non disponevano e non potevano disporre nel marzo 1917 di un esercito politico già pronto. I bolscevichi vennero costituendo quest'esercito soltanto nel corso della lotta e dei conflitti di classe dall'aprile all'ottobre 1917. […] Un esercito politico non è un esercito di soldati. Mentre il comando militare entra in guerra con un esercito già pronto, il partito deve costituire il proprio esercito nel corso della lotta stessa, nel corso dei conflitti di classe, a mano a mano che le masse stesse si rendono conto per propria esperienza della giustezza delle parole di ordine del partito, della giustezza, della sua politica». (da La Rivoluzione d’Ottobre e la tattica dei comunisti russi, prefazione al libro Sulla via dell’Ottobre, dicembre 1924)
Sull'importanza fondamentale dell'autocritica:
«Io so che nelle file del partito ci sono alcuni elementi che non amano la critica in generale e l’autocritica in particolare. Costoro, che potrei chiamare comunisti “leccati” (ilarità), non fanno che brontolare, respingendo l’autocritica; essi dicono: ancora questa maledetta autocritica, di nuovo si tirano fuori le nostre deficienze, non ci possono lasciar vivere tranquilli? È chiaro che questi comunisti “leccati” non hanno niente a che vedere con lo spirito del nostro partito, con lo spirito del bolscevismo. E così, dato che esistono simili tendenze in elementi che sono ben lontani dall’accogliere la critica con entusiasmo, è permesso chiedere: ci è necessaria l’autocritica, di dove proviene essa e quali sono i suoi vantaggi? Penso, compagni, che l’autocritica ci è necessaria come l’aria, come l’acqua. Penso che senza di essa, senza l’autocritica, il nostro partito non potrebbe progredire, non potrebbe mettere a nudo le nostre piaghe, non potrebbe liquidare le nostre deficienze. E le nostre deficienze sono numerose. Questo si deve riconoscere apertamente e onestamente. La parola d’ordine dell’autocritica non può essere considerata come una parola d’ordine nuova. Essa costituisce il fondamento stesso del partito bolscevico. Essa costituisce il fondamento del regime della dittatura del proletariato. Se il nostro paese è il paese della dittatura del proletariato, e questa dittatura è diretta da un solo partito, il partito dei comunisti, che non divide e non può dividere il potere con altri partiti, non è forse chiaro che noi stessi dobbiamo scoprire e correggere i nostri errori, se vogliamo progredire; non è forse chiaro che non vi è nessun altro che possa mettere a nudo e correggere questi errori? Non è chiaro, compagni, che l’autocritica deve essere una delle forze più importanti che danno impulso al nostro sviluppo? […] ci è necessaria l’autocritica, non la critica astiosa e sostanzialmente controrivoluzionaria svolta dall’opposizione, ma la critica onesta, aperta, l’autocritica bolscevica. […] C’è ancora un’altra circostanza che ci spinge all’autocritica. Mi riferisco alla questione delle masse e dei capi. Negli ultimi tempi si sono incominciati a creare da noi alcuni rapporti originali fra i capi e le masse. Da un lato, è emerso nel nostro paese, si è formato storicamente, un gruppo di dirigenti, la cui autorità si accresce sempre più, e che diviene quasi inaccessibile alle masse. Dall’altro lato, le masse della classe operaia prima di tutto, le masse dei lavoratori in genere, si elevano con straordinaria lentezza, incominciano a guardare ai capi dal basso in alto, aguzzando gli occhi, e non di rado hanno timore di criticare i loro capi. Naturalmente il fatto che da noi si è formato un gruppo di dirigenti che hanno raggiunto un altissimo livello e che hanno una grande autorità, questo fatto è di per sé una grande conquista del nostro partito. È chiaro che se non esistesse questo gruppo autorevole di dirigenti sarebbe inconcepibile dirigere un grande paese. Ma il fatto che i capi, salendo, si allontanano dalle masse, e le masse incominciano a guardare ad essi dal basso in alto, non osando criticarli, questo fatto non può non creare un certo pericolo di distacco dei capi dalle masse e di allontanamento delle masse dai capi. Questo pericolo può avere come conseguenza che i capi possono divenire presuntuosi e ritenersi infallibili. E che cosa ci può essere di buono nel fatto che gli alti dirigenti divengono presuntuosi e incominciano a guardare le masse dall’alto in basso? È chiaro che da questo non può uscire altro che la rovina del partito. Ma noi vogliamo andare avanti e migliorare il nostro lavoro, e non causare la rovina del partito. E precisamente per andare avanti e migliorare i rapporti fra le masse e i capi, si deve tenere perennemente aperta la valvola dell’autocritica, si deve dare agli uomini sovietici la possibilità di “lavar la testa” ai loro capi, di criticare i loro errori, affinché i capi non diventino presuntuosi e le masse non si allontanino dai capi. […] E precisamente per non soffocare l’autocritica, ma svilupparla, precisamente per questo, è necessario ascoltare con attenzione qualsiasi critica gli uomini sovietici, anche se talvolta essa non è giusta completamente e in tutte le sue parti. Solo a questa condizione le masse possono avere sicurezza di non ricevere una “lavata di capo” per aver svolto una critica imperfetta e di non essere messe “in ridicolo” per alcuni errori delle loro critiche. Solo a queste condizioni l’autocritica può assumere un vero carattere di massa e avere un’eco veramente profonda fra le masse. È ovvio che qui non si tratta di “qualsiasi” critica. Anche la critica del controrivoluzionario è critica. Ma essa si pone lo scopo di denigrare il potere sovietico, di minare la nostra industria, di disgregare il nostro lavoro di partito. È chiaro che non si tratta di questa critica. Io non parlo di questa critica, ma della critica che proviene dagli uomini sovietici, della critica che si propone lo scopo di migliorare gli organi del potere sovietico, di migliorare la nostra industria, di migliorare il nostro lavoro di partito e sindacale. La critica ci è necessaria per consolidare il potere sovietico e non per indebolirlo. E precisamente per consolidare e migliorare la nostra opera, precisamente per questo, il partito lancia la parola d’ordine della critica e dell’autocritica». (da Sulla parola d’ordine della autocritica, da I lavori della sessione plenaria comune di aprile del C.C. e della Commissione centrale di controllo, rapporto all’Assemblea dell’attivo dell’organizzazione di Mosca del 13 aprile 1928)
Sulle differenze tra anarchismo e socialismo:
«Marxismo e anarchismo sono fondati su princìpi completamente diversi, nonostante che entrambi si presentino sul terreno della lotta sotto la bandiera socialista. Pietra angolare dell'anarchismo è l'individuo, la cui liberazione sarebbe la condizione principale della liberazione della massa, della collettività. Secondo l'anarchismo, è impossibile la liberazione della massa finché non sarà liberato l'individuo; per cui la sua parola d'ordine è: “tutto per l'individuo”. Pietra angolare del marxismo è invece la massa, la cui liberazione sarebbe la condizione principale della liberazione dell'individuo. Cioè, secondo il marxismo, la liberazione dell'individuo è impossibile finché non sarà liberata la massa; per cui la sua parola d'ordine è: “tutto per la massa”. È chiaro che noi abbiamo qui due principi i quali si negano a vicenda, e non soltanto dissensi tattici». (da Anarchia o socialismo?, 1907)
Sull'internazionalismo la vulgata più comune tra i comunisti afferma che Trockij sia un coerente internazionalista mentre Stalin sia il fautore del patriottismo (o addirittura nazionalismo!) russo, tradendo così la causa internazionalista caratterizzante il socialismo. La questione è più complessa: Stalin in realtà è il massimo teorizzatore del “socialismo in un solo paese”, dando così all'intero corpo del PCUS un percorso chiaro e percorribile concretamente nel momento storico (1921-1924) in cui diventa palese l'irrealizzabilità della rivoluzione in Europa. La controffensiva avvenuta nel 1921 contro la Polonia (che aveva attaccato per prima la Russia sovietica), tanto sponsorizzata da Trockij, si risolve in un completo fallimento, stante l'arretratezza culturale e l'attaccamento alle idee nazionalistiche tanto presenti tra le masse popolari polacche. In un simile contesto l'unica via praticabile per favorire il prosieguo della causa internazionalista è rafforzare l'unico paese socialista esistente, l'URSS, e continuare a sostenere politicamente, militarmente ed economicamente le organizzazioni comuniste sparse nel mondo. Un compito questo, che il compagno Stalin e il PCUS portano pienamente a termine. I fatti hanno la testa dura: quando Stalin diventa segretario generale del PCUS il socialismo è diffuso in un solo paese. Quando muore (1953) regimi comunisti sono presenti in tutto il mondo: Mongolia, Jugoslavia, Polonia, Germania Est, Ungheria, Bulgaria, Cecoslovacchia, Romania, Albania, Corea del Nord, Cina, Vietnam (del nord). Senza contare la presenza di forti partiti comunisti in Europa Occidentale (specie in Italia e Francia) strettamente alleati con l'URSS. Stalin è forse molto più internazionalista di quanto molti non credano.
Ricordiamo il suo pensiero a riguardo:
«Abbattendo i grandi proprietari fondiari e i capitalisti, la Rivoluzione d'Ottobre ha spezzato le catene del giogo nazionale e coloniale e ha liberato da esso tutti, senza eccezione, i popoli oppressi di un vasto Stato. Il proletariato non può liberare se stesso senza liberare i popoli oppressi. Il tratto caratteristico della Rivoluzione d'Ottobre è il fatto che essa ha compiuto nell'URSS queste rivoluzioni nazionali e coloniali non sotto la bandiera degli odi nazionali e dei conflitti fra le nazionalità, ma sotto la bandiera della fiducia reciproca e della amicizia fraterna degli operai e dei contadini delle nazionalità dell'URSS, non in nome del nazionalismo, ma in nome dell'internazionalismo. Appunto perché le rivoluzioni nazionali e coloniali si sono compiute da noi sotto la direzione del proletariato e sotto la bandiera dell'internazionalismo, appunto perciò i popoli paria, i popoli schiavi sono assurti per la prima volta nella storia dell'umanità alla posizione di popoli realmente liberi e realmente uguali, guadagnando col loro esempio i popoli di tutto il mondo. Ciò significa che la Rivoluzione d'Ottobre ha aperto una nuova epoca, l'epoca delle rivoluzioni coloniali, che si compiono nei paesi oppressi di tutto il mondo in alleanza col proletariato, sotto la direzione del proletariato. […] Uno dei risultati più importanti della Rivoluzione d'Ottobre è che essa ha inferto un colpo mortale a questa leggenda, dimostrando coi fatti la possibilità e l'opportunità del metodo proletario, internazionalista, di liberazione dei popoli oppressi, come solo metodo giusto, dimostrando coi fatti la possibilità e l'opportunità dell'unione fraterna degli operai e dei contadini delle nazionalità più diverse, unione basata sul principio del libero consenso e dell'internazionalismo. L'esistenza della Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche, che costituisce il prototipo della futura unione dei lavoratori di tutti i paesi in una economia mondiale unica, non può non esserne la prova diretta. È superfluo dire che questi e analoghi risultati della Rivoluzione d'Ottobre non potevano e non possono che esercitare una grande influenza sul movimento rivoluzionario dei paesi coloniali e dei paesi dipendenti. Fatti come lo sviluppo del movimento rivoluzionario dei popoli asserviti della Cina, dell'Indonesia, dell'India, ecc. e l'aumento della simpatia di questi popoli per l'URSS lo confermano in modo sicuro. L'era del tranquillo sfruttamento e dell'oppressione indisturbata delle colonie e dei paesi soggetti è tramontata. È incominciata l'era delle rivoluzioni liberatrici delle colonie e dei paesi dipendenti, l'era del risveglio del proletariato di questi paesi, l'era della sua egemonia nella rivoluzione».
(da Il carattere internazionale della Rivoluzione d'Ottobre, 6-7 novembre, 1927)
Sulle tre contraddizioni principali dell'imperialismo:
«Lenin chiamava l’imperialismo “capitalismo morente”. Perché? Perché l’imperialismo porta le contraddizioni del capitalismo all’ultimo termine, ai limiti estremi, oltre i quali comincia la rivoluzione. Di queste contraddizioni, tre devono essere considerate come le più importanti.
1) La prima contraddizione è la contraddizione tra il lavoro e il capitale. L’imperialismo è l’onnipotenza, nei paesi industriali, dei trust e dei sindacati monopolisti, delle banche e dell’oligarchia finanziaria. Nella lotta contro questa onnipotenza, i metodi abituali della classe operaia - sindacati e cooperative, partiti parlamentari e lotta parlamentare - si son rivelati assolutamente insufficienti. O abbandonarsi alla mercé del capitale, vegetare all’antica e scendere sempre più in basso, o impugnare una nuova arma: così l’imperialismo pone il problema alle masse innumerevoli del proletariato. L’imperialismo avvicina la classe operaia alla rivoluzione.
2) La seconda contraddizione è la contraddizione fra i diversi gruppi finanziari e le diverse potenze imperialiste nella loro lotta per le fonti di materie prime e per i territori altrui. L’imperialismo è esportazione di capitale verso le fonti di materie prime, lotta accanita per il possesso esclusivo di queste fonti, lotta per una nuova spartizione del mondo già diviso, lotta che viene condotta con particolare asprezza, dai gruppi finanziari nuovi e dalle potenze in cerca di un “posto al sole”, contro i vecchi gruppi e le potenze che non vogliono a nessun costo abbandonare il bottino. Questa lotta accanita tra diversi gruppi di capitalisti è degna di nota perché racchiude in sé, come elemento inevitabile, le guerre imperialiste, le guerre per la conquista di territori altrui. Questa circostanza, a sua volta, è degna di nota perché porta all’indebolimento reciproco degli imperialisti, all’indebolimento delle posizioni del capitalismo in generale, perché avvicina il momento della rivoluzione proletaria, perché rende praticamente necessaria questa rivoluzione.
3) La terza contraddizione è la contraddizione tra un pugno di nazioni “civili” dominanti e centinaia di milioni di uomini appartenenti ai popoli coloniali e dipendenti del mondo. L’imperialismo è lo sfruttamento più spudorato, l’oppressione più inumana di centinaia di milioni di abitanti degli immensi paesi coloniali e dipendenti. Spremere dei sopraprofitti: ecco lo scopo di questo sfruttamento e di questa oppressione. Ma per sfruttare questi paesi l’imperialismo è costretto a costruirvi delle ferrovie, delle fabbriche, delle officine, a crearvi dei centri industriali e commerciali. L’apparire di una classe di proletari, il sorgere di uno strato di intellettuali indigeni, il risveglio di una coscienza nazionale, il rafforzarsi del movimento per l’indipendenza: tali sono gli effetti inevitabili di questa “politica”. L’incremento del movimento rivoluzionario in tutte le colonie e in tutti i paesi dipendenti, senza eccezione, ne fornisce la prova evidente. Questa circostanza è importante per il proletariato perché mina alle radici le posizioni del capitalismo, trasformando le colonie e i paesi dipendenti da riserve dell’imperialismo in riserve della rivoluzione proletaria. Tali sono, in generale, le principali contraddizioni dell’imperialismo, che hanno trasformato il “florido” capitalismo di una volta in capitalismo morente. […] L’imperialismo, in altri termini, non solo ha fatto sì che la rivoluzione proletaria è diventata una necessità pratica, ma ha pure creato le condizioni favorevoli per l’assalto diretto alle fortezze del capitalismo».
(da Princìpi del leninismo, lezioni tenute all’Università di Sverdlov nel 1924)
Sull'impossibilità di avere democrazia nel capitalismo:
«Non c'è e non può esservi, in regime capitalistico, un'effettiva partecipazione delle masse sfruttate all'amministrazione del paese, perchè nei paesi più democratici i governi sono installati non dal popolo, ma dai Rotschild e dagli Stinnes, dai Rockefeller e dai Morgan. In regime capitalistico, la democrazia è una democrazia capitalistica; è la democrazia della minoranza sfruttatrice, basata sulla limitazione dei diritti della maggioranza sfruttata e diretta contro questa maggioranza».
(da Princìpi del leninismo, lezioni tenute all’Università di Sverdlov nel 1924)
Sulla truffa delle elezioni nei paesi borghesi:
«Se prendiamo i paesi capitalisti, esistono laggiù fra i deputati e gli elettori delle relazioni originali, direi persino alquanto strane. Finché dura la campagna elettorale i deputati civettano con gli elettori, strisciano davanti ad essi, giurano loro fedeltà, promettono mari e monti. Si direbbe che vi è dipendenza assoluta dei deputati dagli elettori. Appena finite le elezioni e i candidati diventati deputati, le relazioni cambiano radicalmente. Invece della dipendenza dei deputati dagli elettori si ha la loro indipendenza completa. Durante quattro o cinque anni, cioè sino a nuove elezioni, il deputato si sente completamente libero, indipendente dal popolo, dai suoi elettori. Può passare da un campo all'altro, può deviare dal giusto cammino nel cammino falso, può persino impegolarsi in macchinazioni poco pulite, può far capriole a piacimento: egli è indipendente. Si possono ritenere normali tali relazioni? Assolutamente no, compagni. La nostra Costituzione ha tenuto conto di questa circostanza; essa contiene una legge in forza della quale gli elettori hanno il diritto di richiamare prima del termine i loro deputati se questi incominciano a barcamenarsi, se deviano dal giusto cammino, se dimenticano la loro dipendenza dal popolo, dagli elettori. È una legge magnifica, compagni. Il deputato deve sapere che egli è il servitore del popolo, il suo delegato al Soviet Supremo e che deve seguire la linea che il popolo, col suo mandato, gli ha tracciato. Se devia dal cammino gli elettori hanno il diritto di esigere nuove elezioni e il deputato che ha deviato, hanno il diritto di sbalzarlo senza cerimonie. È una legge magnifica. Il mio consiglio, il consiglio di un candidato ai suoi elettori è di non dimenticarvi di questo diritto, del diritto di richiamare i deputati prima del termine, di sorvegliarli, di controllarli e, se salta loro il ticchio di deviare dal giusto cammino, di sbarazzarvene e di esigere nuove elezioni. Il governo ha il dovere di indire nuove elezioni. Il mio consiglio è di ricordarvi di questa legge e di servirvene quando occorra».
(dal discorso alla riunione elettorale della Circoscrizione “Stalin” di Mosca,
pronunciato l'11 dicembre 1937 nel Gran Teatro)19
Sull'impossibilità di avere libertà nell'ambito del capitalismo nel 1936 Stalin rilascia un'intervista (pubblicata dalla Pravda il 5 marzo 1936) al giornalista statunitense J. Howard. Alla domanda riguardante le garanzie delle libertà personali nell'URSS Stalin risponde così:
«Per me è difficile immaginare quale può essere la “libertà personale” di un disoccupato che ha fame e non trova lavoro. La libertà effettiva si ha soltanto là dove è abolito lo sfruttamento, dove non c'è oppressione di una persona da parte di un'altra, dove non c'è disoccupazione e accattonaggio, dove l'uomo non trema al pensiero che domani potrà perdere il lavoro, l'abitazione, il pane. Soltanto in tale società è possibile una libertà personale, e qualsiasi altra libertà, effettiva e non fittizia».20
Sul controllo finanziario delle democrazie borghesi:
«Diversi governi capitalistici, nonostante l'esistenza di parlamenti “democratici”, sono controllati dalle grandi banche. I parlamenti dichiarano che sono loro a controllare i governi. In realtà, invece, avviene che la composizione dei governi è fissata in precedenza dai maggiori consorzi finanziari, i quali controllano anche l'operato dei governi. Chi non sa che in nessuna potenza capitalistica può essere formato un gabinetto contro la volontà dei maggiori magnati della finanza? È sufficiente una piccolissima pressione finanziaria perché i ministri volino via dai loro posti come dei fuscelli. Questo è un vero e proprio controllo delle banche sui governi, nonostante l'apparente controllo dei parlamenti». (da Intervista con la prima delegazione operaia americana, 9 settembre 1927)
Sul socialismo che non prevede l'uguaglianza assoluta dei salari:
«È noto ad ogni leninista, purché sia un vero leninista, che il livellamento nel campo dei bisogni e delle condizioni di vita private è un'assurdità reazionaria da piccoli borghesi, degna di una qualche setta primitiva di asceti, ma non di una società socialistica organizzata marxisticamente, poiché non si può esigere che tutti gli uomini abbiano bisogni e gusti perfettamente uguali, che tutti gli uomini quanto al loro tenore di vita privata vivano secondo un unico modello».
(dal Rapporto al XVII Congresso del Partito bolscevico, 26 gennaio 1934)
Sulla necessità di non costruire il socialismo nella miseria: «Sarebbe stupido pensare che il socialismo possa essere edificato sulla base della misera e delle privazioni, sulla base della riduzione dei bisogni personali e dell'abbassamento del tenore di vita degli uomini al livello dei poveri»; al contrario «il socialismo può essere edificato soltanto sulla base di un impetuoso sviluppo delle forze produttive della società» e «sulla base di una vita agiata dei lavoratori», anzi di «una vita agiata e civile per tutti i membri della società». Per Stalin dunque è necessario intensificare gli sforzi al fine di accrescere decisamente la ricchezza sociale, imprimendo «un nuovo slancio» all'«emulazione socialista»; si impone il ricorso sia agli incentivi materiali (facendo valere il principio socialista della retribuzione secondo il lavoro) sia agli incentivi morali (conferendo ad esempio «la più alta onorificenza» agli stachanovisti più eminenti).22

Sulla riduzione dell'orario lavorativo per ottenere un progresso culturale:
«Non sarebbe giusto pensare che si possa conseguire un tale importante sviluppo culturale dei membri della società senza seri cambiamenti nell'attuale situazione del lavoro. Per questo occorre prima di tutto diminuire la giornata lavorativa per lo meno sino a sei e poi a cinque ore. Ciò è necessario affinché i membri della società abbiano abbastanza tempo libero per ricevere un'istruzione completa. Per questo occorre, poi, rendere obbligatoria l'istruzione politecnica necessaria perché i membri della società abbiano la possibilità di scegliere liberamente una professione e di non essere inchiodati per tutta la vita a una professione qualsiasi. Per questo occorre, inoltre, migliorare in modo radicale le abitazioni ed aumentare il salario reale degli operai e degli impiegati di almeno due volte, se non più, sia mediante l'aumento diretto del salario, sia, in modo particolare, mediante l'ulteriore sistematica diminuzione dei prezzi degli articoli di largo consumo». (da Problemi economici del socialismo in URSS, 1952)
Sulla forza del patriottismo sovietico:
«La forza del patriottismo sovietico risiede nel fatto che esso non si basa su pregiudizi razziali o nazionalisti, ma sul profondo amore del popolo per la patria sovietica e sulla fedeltà ad essa, che è la comunità fraterna dei lavoratori di tutte le nazioni del nostro paese. Nel patriottismo sovietico, le tradizioni nazionali di tutti i popoli si accoppiano armonicamente con i comuni interessi di tutti i lavoratori sovietici. Il patriottismo sovietico non disgrega, ma unifica tutte le nazioni e popolazioni del paese in un’unica grande famiglia fraterna. In questa situazione si manifestano le basi della indistruttibile e sempre più forte amicizia dei popoli sovietici. Nello stesso tempo, i popoli dell’Unione Sovietica rispettano i diritti e l’indipendenza degli altri popoli ed hanno sempre dimostrato di essere pronti a vivere in pace ed amicizia con gli altri Stati vicini». (dal Rapporto del Presidente del Comitato di Difesa dello Stato alla seduta solenne del Soviet dei Deputati dei Lavoratori di Mosca con la partecipazione delle organizzazioni di partito e sociali della città, in occasione del 17° anniversario della Rivoluzione d'Ottobre, 6 novembre 1944)23
Sull'ordine che si cerca di ottenere vale la risposta data H. G. Wells in un'intervista del 27 ottobre 1934 per il giornale britannico The New Stateman and Nation: «Io non mi schiero a favore di un ordine qualsiasi. Io mi schiero a favore dell’ordine che risponda agli interessi della classe operaia».

Sul 1° maggio, festa degli operai:
«Ogni classe ha le sue feste preferite. I nobili istituirono le loro feste, in cui proclamavano il loro “diritto” di spogliare i contadini. I borghesi hanno le loro, in cui “giustificano” il “diritto” di sfruttare gli operai. Anche i preti hanno le loro feste, ed esaltano in esse gli ordinamenti esistenti, per cui i lavoratori muoiono nella miseria e i fannulloni sguazzano nel lusso. Anche gli operai devono avere la loro festa e in essa devono proclamare: lavoro per tutti, libertà per tutti, eguaglianza per tutti gli uomini. Questa è la festa del Primo Maggio. Così decisero gli operai fin dal 1889».
(da Evviva il Primo Maggio, aprile 1912)
Sulla meritocrazia: «Non è il censo, né l'origine nazionale, né il sesso, né la carica o il grado, ma sono le capacità personali di ogni cittadino che determinano la sua posizione nella società sovietica». (da Sul progetto di Costituzione dell'URSS, 25 novembre 1936)

Sull'Armata Rossa:
«La prima caratteristica fondamentale del nostro Esercito Rosso consiste nel fatto che è l’esercito degli operai e contadini liberati, l’esercito della Rivoluzione di Ottobre, l’esercito della dittatura del proletariato. Tutti gli eserciti che finora esistevano sotto il capitalismo, qualunque fosse la loro composizione. Erano e sono eserciti che consolidano il potere del capitale. Erano e rimangono eserciti del dominio del capitale. I borghesi di tutti i paesi mentono, quando sostengono che l’esercito è politicamente neutrale. Ciò non è vero. Negli stati borghesi, l’esercito è privo di diritti politici, viene tenuto lontano dall’arena politica. Questo è vero. Ma ciò non significa minimamente che esso sia politicamente al contrario, sempre e ovunque, in tutti i paesi capitalisti, l’esercito veniva e viene coinvolto nella lotta politica, in quanto serve come strumento per l’oppressione dei lavoratori. Non è forse vero che in quei paesi l’esercito opprime gli operai, che serve come bastione di padroni? A differenza di questi eserciti, il nostro Esercito Rosso ha la caratteristica di essere uno strumento per il consolidamento del potere degli operai e dei contadini. Uno strumento per il consolidamento della dittatura del proletariato, uno strumento per la liberazione degli operai e contadini dal giogo dei latifondisti e dei capitalisti. Il nostro esercito è un esercito della liberazione dei lavoratori. Avete fatto caso, compagni che, ai vecchi tempi, il popolo temeva l’esercito e lo teme ancora nei paesi capitalisti, che c’è una barriera fra popolo e esercito? E da noi? Da noi, invece, popolo e esercito formano un tutto unico, un’unica famiglia. In nessuna parte del mondo il popolo circonda l’esercito con tanto amore e cura come da noi. Da noi, l’esercito è amato, stimato e curato. Perché? Perché per la prima volta al mondo gli operai e i contadini hanno creato il loro proprio esercito, che non serve i padroni, ma gli schiavi di una volta, gli operai e i contadini ora liberati. Qui risiede la fonte della forza del nostro Esercito Rosso. Che cosa significa l’amore del popolo per il suo esercito? Significa che un esercito del genere avrà la più solida retrovia, che un esercito del genere è invincibile. Cos’è un esercito senza una solida retrovia? Niente. Gli eserciti più grandi, gli eserciti meglio armati si sgretolarono e si dissolsero, non avendo una retrovia solida, non avendo il sostegno e le simpatie della retrovia, della popolazione lavoratrice. Il nostro esercito e l’unico esercito del mondo che possiede simpatie e il sostegno degli operai e dei contadini. Qui è la sua forza, qui il suo vigore».
(dal Discorso alla sessione solenne del Plenum del Soviet di Mosca in occasione del decimo anniversario dell’Esercito Rosso, pubblicato su Pravda, n° 50, 28 febbraio 1928)
Sulle possibili conseguenze reazionarie nel caso di un crollo dell'URSS:
«Cosa succederebbe se il capitalismo ce la facesse a distruggere la Repubblica dei Soviet? Comincerebbe un'era caratterizzata dalla più nera reazione in tutti i paesi capitalisti e coloniali, la classe lavoratrice e i popoli oppressi sarebbero presi per la gola, le posizioni del comunismo internazionale sarebbero perse». (dal Discorso al VII plenum allargato del Comitato Esecutivo dell'Internazionale Comunista, dicembre 1926)
Letta oggi, a distanza di decenni dalla caduta dell'URSS e dopo aver assistito al ritorno trionfante dell'imperialismo occidentale in ogni parte del globo, oltre al peggioramento netto delle condizioni della classe operaia in Europa, non si può che constatare come la lettura materialistica della storia fatta da Stalin sia purtroppo inoppugnabile.
Sulla violenza, non amata ma necessaria per la difesa della Rivoluzione:
«La sostituzione di un sistema sociale con un altro è un processo rivoluzionario lungo e complesso. Non è soltanto un processo spontaneo, ma una lotta; è un processo collegato allo scontro di classe. […] La rivoluzione, la sostituzione di un sistema sociale con un altro è sempre stato una lotta, una lotta dolorosa e crudele, una lotta per la vita e per la morte. E ogni volta che la gente del nuovo mondo è giunta al potere ha dovuto difendersi dai tentativi del vecchio mondo di restaurare il vecchio ordine con la forza; questa gente del nuovo mondo doveva essere sempre in allerta, […] sempre pronta a respingere gli attacchi del vecchio mondo contro il nuovo sistema. Prenda il fascismo, ad esempio, il fascismo è una forza reazionaria che sta cercando di preservare il vecchio mondo con la violenza. Cosa possiamo fare con i fascisti? Vogliamo metterci a discutere con loro? Vogliamo cercare di convincerli? Ma questo non avrebbe nessun effetto su di loro. I comunisti non idealizzano affatto il metodo della violenza. Ma loro, i comunisti, non vogliono essere presi di sorpresa, non possono sperare che il vecchio mondo esca volontariamente di scena, vedono che il vecchio sistema si sta difendendo con la violenza ed è per questo che dicono alla classe operaia: rispondete alla violenza con la violenza, fate tutto il possibile per impedire che il vecchio ordine morente vi schiacci, non consentite che vi incateni le mani, quelle mani con cui rovescerete il vecchio sistema. Come vede i comunisti considerano la sostituzione di un sistema sociale con un altro non come un processo spontaneo e pacifico ma come un processo complesso, lungo e violento. I comunisti non possono ignorare i fatti. […] L’esperienza storica […] insegna che le classi obsolete non abbandonano volontariamente il palcoscenico della storia. […] Non era evidente che il capitalismo russo era in rovina? Ma lei sa bene come è stata forte la resistenza, quanto sangue si è dovuto versare per difendere la Rivoluzione d’Ottobre da tutti i suoi nemici, interni ed esterni […]. Perché le classi che debbono abbandonare il palcoscenico della storia sono le ultime a convincersi che il loro ruolo è finito […] pensano che le crepe dell’edificio in rovina possano essere stuccate, che il traballante edificio del vecchio ordine possa essere riparato e salvato. Ecco perché le classi morenti prendono le armi e ricorrono ad ogni mezzo per salvare la loro esistenza come classe dominante. […] La ricca esperienza della storia ci insegna che fino ad oggi una classe non ha mai lasciato volontariamente il posto ad un’altra classe […]. I comunisti sarebbero ben lieti di assistere ad una volontaria uscita di scena della borghesia. Ma è un’ipotesi improbabile […] ecco perché i comunisti vogliono essere preparati al peggio ed invitano la classe operaia ad essere vigile, ad essere pronta alla lotta. Chi vuole un capitano che allenta la vigilanza del suo esercito, un capitano incapace di rendersi conto che il nemico non si arrende, che dev’essere sconfitto? Essere un tale capitano significa ingannare, tradire la classe operaia. […] Sbaglia se crede che i comunisti siano innamorati della violenza. Sarebbero molto lieti di rinunciare ai metodi violenti se la classe dirigente accettasse di lasciare il posto alla classe operaia, ma l’esperienza della storia smentisce questa possibilità». (da Intervista di H.G. Wells, The New Statesman and Nation, 27 ottobre 1934)24
Sui compiti dei comunisti:
«È nostro compito mettere in guardia tutti i paesi dell'Europa contro la minaccia di una nuova guerra, aumentare la vigilanza degli operai e dei soldati dei paesi capitalistici e preparare, preparare instancabilmente le masse a far fronte, con tutti i mezzi che offre la lotta rivoluzionaria, a qualunque tentativo dei governi borghesi di organizzare una nuova guerra. È nostro compito inchiodare alla gogna tutti quegli esponenti del movimento operaio che “ritengono” la minaccia di una nuova guerra “un'invenzione”, che cullano gli operai con menzogne pacifiste e chiudono gli occhi davanti al fatto che la borghesia sta preparando una nuova guerra perché vogliono che la guerra colga gli operai alla sprovvista». (da Note sui temi d'attualità, 28 luglio 1927)
Sull'intreccio tra le guerre e l'imperialismo:
«Si dice che la tesi di Lenin secondo cui l'imperialismo genera inevitabilmente le guerre deve considerarsi superata, perché attualmente si sono sviluppate potenti forze popolari che agiscono in difesa della pace, contro una nuova guerra mondiale. Questo non è vero. L'attuale movimento per la pace ha lo scopo di sollevare le masse popolari alla lotta per mantenere la pace, per scongiurare una nuova guerra mondiale. Per conseguenza, esso non persegue lo scopo di rovesciare il capitalismo e di istaurare il socialismo, - esso si limita a perseguire i fini democratici della lotta per mantenere la pace. Sotto questo aspetto l'attuale movimento per mantenere la pace si distingue dal movimento svoltosi durante la prima guerra mondiale per trasformare la guerra imperialistica in guerra civile, giacché questo ultimo movimento andava oltre e perseguiva fini socialisti. Può darsi che, per un concorso di circostanze, la lotta per la pace si sviluppi in certe zone trasformandosi in lotta per il socialismo, ma questo non sarebbe più l'attuale movimento per la pace, bensì un movimento per rovesciare il capitalismo. La cosa più probabile è che l'attuale movimento per la pace, inteso come movimento per mantenere la pace, in caso di successo porterà a scongiurare una guerra determinata, a rinviarla per un certo tempo, a mantenere per un certo tempo una pace determinata, a costringere alle dimissioni un governo guerrafondaio sostituendolo con un altro governo, disposto a salvaguardare per un certo tempo la pace. Questa, naturalmente, è una cosa buona. Anzi, è una cosa ottima. Tuttavia questo non basta per eliminare l'inevitabilità delle guerre fra i paesi capitalistici. Non basta, perché, nonostante tutti questi successi del movimento per la difesa della pace, l'imperialismo continua a sussistere, conserva le sue forze, - e per conseguenza, continua a sussistere l'inevitabilità delle guerre. Per eliminare l'inevitabilità delle guerre, è necessario distruggere l'imperialismo». (da Problemi economici del socialismo in URSS, 1952)
Sull'impossibilità di ottenere un progresso senza l'alleanza con le donne lavoratrici:
«Nessun grande movimento degli oppressi si è compiuto nella storia dell’umanità senza la partecipazione delle donne lavoratrici. Le donne lavoratrici, le più oppresse fra tutti gli oppressi, non sono mai restate e non potevano restare ai margini della grande strada del movimento di liberazione. Il movimento di liberazione degli schiavi ha fatto sorgere, com’è noto, centinaia e migliaia di grandi martiri ed eroine. Nelle file dei combattenti per l’emancipazione dei servi della gleba militavano decine di migliaia di donne lavoratrici. Non c’è da meravigliarsi se il movimento rivoluzionario della classe operaia, il più potente di tutti i movimenti di emancipazione delle masse oppresse, ha raccolto sotto la sua bandiera milioni di donne lavoratrici».
(da La giornata internazionale della donna, Pravda, n° 56, 8 marzo 1925)25
Sul materialismo dialettico, la filosofia dei comunisti:
«Il materialismo dialettico è la concezione del mondo del partito marxista-leninista. Si chiama materialismo dialettico perché il suo modo di considerare i fenomeni della natura, il suo metodo per investigare e per conoscere i fenomeni della natura è dialettico, mentre la sua interpretazione, la sua concezione di questi fenomeni, la sua teoria, è materialistica. Il materialismo storico estende i princìpi del materialismo dialettico allo studio della vita sociale, li applica ai fenomeni della vita sociale, allo studio della società, allo studio della storia della società. […] Nella sua essenza, la dialettica è diametralmente l'opposto della metafisica. Il metodo dialettico marxista è caratterizzato dai seguenti tratti essenziali:
a) Contrariamente alla metafisica, la dialettica considera la natura non come un ammasso casuale di oggetti, di fenomeni, staccati gli uni dagli altri, isolali e indipendenti gli uni dagli altri, ma come un tutto coerente unico, nel quale gli oggetti, i fenomeni sono organicamente collegati tra loro, dipendono l'uno dall'altro e si condizionano reciprocamente. Perciò il metodo dialettico ritiene che nessun fenomeno della natura può essere capito se preso a sé, isolatamente, senza legami coi fenomeni che lo circondano, poiché qualsiasi fenomeno, in qualsiasi campo della natura, può diventare un assurdo se lo si considera al di fuori delle condizioni che lo circondano, distaccato da esse; e, al contrario, qualsiasi fenomeno può essere compreso e spiegato se lo si considera nei suoi legami inscindibili coi fenomeni che lo circondano, condizionato dai fenomeni che lo circondano.
b) Contrariamente alla metafisica, la dialettica considera la natura non come uno stato di riposo e di immobilità, di stagnazione e di immutabilità, ma come uno stato di movimento e di cambiamento perpetui, di rinnovamento e sviluppo incessanti, dove sempre qualche cosa nasce e si sviluppa, qualche cosa si disgrega e scompare. Perciò il metodo dialettico esige che i fenomeni vengano considerati non solo dal punto di vista dei loro mutui legami e del loro condizionamento reciproco, ma anche dal punto di vista del loro movimento, del loro cambiamento e del loro sviluppo, dal punto di vista del loro sorgere e del loro sparire. Per il metodo dialettico è soprattutto importante non già ciò che, a un dato momento, sembra stabile ma già comincia a deperire, bensì ciò che nasce e si sviluppa, anche se nel momento dato sembra instabile poiché per il metodo dialettico solo ciò che nasce e si sviluppa è invincibile. […]
c) Contrariamente alla metafisica, la dialettica considera il processo di sviluppo non come un semplice processo di crescenza, nel quale i cambiamenti quantitativi non portano a cambiamenti qualitativi, ma come uno sviluppo che passa da cambiamenti quantitativi insignificanti e latenti a cambiamenti aperti e radicali, a cambiamenti qualitativi, uno sviluppo nel quale i cambiamenti qualitativi non si producono gradualmente ma rapidamente, all'improvviso, a salti da uno stato all'altro, e non si producono a caso ma secondo leggi oggettive, come risultato dell'accumulazione d'impercettibile e graduali cambiamenti quantitativi. Perciò il metodo dialettico ritiene che il processo di sviluppo deve essere compreso non come un movimento circolare, non come una semplice ripetizione di ciò che è già avvenuto, ma come un movimento progressivo, ascendente, come il passaggio dal vecchio stato qualitativo a un nuovo stato qualitativo, come uno sviluppo dal semplice al complesso, dall'inferiore al superiore.
d) Contrariamente alla metafisica, la dialettica parte dal principio che gli oggetti e i fenomeni della natura implicano contraddizioni interne, poiché hanno tutti un lato negativo e un lato positivo, un passato e un avvenire, elementi che deperiscono ed elementi che si sviluppano, e che la lotta tra questi opposti, tra il vecchio e il nuovo, tra ciò che muore e ciò che nasce, tra ciò che deperisce e ciò che si sviluppa, è l'intimo contenuto del processo di sviluppo, il contenuto intimo della trasformazione dei cambiamenti quantitativi in cambiamenti qualitativi. Perciò il metodo dialettico ritiene che il processo di sviluppo dall'inferiore al superiore si operi non già attraverso un'armonica evoluzione dei fenomeni, bensì attraverso il manifestarsi delle contraddizioni inerenti agli oggetti, ai fenomeni, attraverso una “lotta” delle tendenze opposte che agiscono sulla base di queste contraddizioni. “La dialettica nel senso proprio della parola — dice Lenin — è lo studio delle contraddizioni nell'essenza stessa delle cose”. E più avanti: “Lo sviluppo è la lotta degli opposti”.
Tali, in breve, i tratti fondamentali del metodo dialettico marxista. Non è difficile comprendere di quale immensa importanza sia l'estensione dei princìpi del metodo dialettico allo studio della vita sociale, allo studio della storia della società, di quale immensa importanza sia l'applicazione di questi princìpi alla storia della società, all'attività pratica del partito del proletariato. Se è vero che non vi sono al mondo fenomeni isolati, se tutti i fenomeni sono collegati tra loro e si condizionano a vicenda, è chiaro che ogni regime sociale e ogni movimento sociale, nella storia, devono essere giudicati non dal punto di vista della “giustizia eterna” o di qualsiasi altra idea preconcetta, come fanno non di rado gli storici, ma dal punto di vista delle condizioni che hanno generato quel regime e quel movimento sociale, e con le quali essi sono legati. […] Proseguiamo. Se è vero che il mondo è in perpetuo movimento e sviluppo, se è vero che la scomparsa di ciò che è vecchio e la nascita di ciò che è nuovo sono una legge dello sviluppo, è chiaro che non esistono più regimi sociali “immutabili”, né “princìpi eterni” di proprietà privata e di sfruttamento, né “idee eterne” di sottomissione dei contadini ai proprietari fondiari e degli operai ai capitalisti. Vuol dire che il regime capitalista può essere sostituito dal regime socialista, nello stesso modo che il regime capitalista ha sostituito, a suo tempo, il regime feudale. Vuol dire che è necessario fondare la propria azione non già sugli strati sociali che non si sviluppano più, ancorché rappresentino in un momento dato la forza predominante, bensì sugli strati che si sviluppano e che hanno davanti a sé l'avvenire, anche se per il momento non rappresentano la forza predominante».
(da Del materialismo dialettico e del materialismo storico, novembre 1938)26
In risposta alla possibilità di costruire il “marxismo-leninismo-stalinismo” riportiamo un passaggio di Domenico Losurdo27:
«E nonostante autori liberali quali Giovanni Sartori si ostinino a parlare di leninismo-stalinismo, dà poi da pensare il fatto che Stalin risponda in malo modo a chi, come Kaganovič, gli proponeva di istituire questa nuova categoria dicendo “vuoi paragonare il cazzo con la torre dei pompieri!”»
Sulla necessità di intendere il marxismo in maniera non dogmatica:
«I dogmatici e i talmudisti considerano il marxismo, le singole conclusioni e formule del marxismo, come una collezione di dogmi “mai” mutabili, nonostante i cambiamenti nelle condizioni di sviluppo della società. […] Il marxismo non conosce le conclusioni e le formule immutabili, obbligatorie per tutte le epoche, per tutti i periodi. Il marxismo è nemico di ogni dogmatismo».
(dalla Lettera al compagno Kholopov, 1950)
18. Il testo è disponibile in formato integrale su CCDP.
19. L'intero discorso è disponibile su Pmli.it.
20. Disponibile anche su Piattaformacomunista.com.
21. Disponibile anche su Piattaformacomunista.com.
22. Citazioni riportate da D. Losurdo, Stalin, cit., pp. 59-60.
23. Il testo integrale è disponibile su Scintillarossa.forumcommunity.net.
24. Il testo integrale è disponibile su CCDP.
25. L'articolo in formato integrale è disponibile su Scintillarossa.forumcommunity.net.
26. L'opera completa è disponibile gratuitamente au Marxists.org.
27. Citato in D. Losurdo, da Stalin, cit.

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