19 Marzo 2024

7. IL SUPERAMENTO DELL'ANTISTALINISMO

Lasciamo direttamente la spiegazione del senso del capitolo e dei titoli trovati finora alla serie di contributi che andiamo a pubblicare qui di seguito. Iniziamo da un estratto del libro Contro il revisionismo di Kurt Gossweiler15, eminente storico e dirigente comunista della DDR:
«Un importante presupposto per la ricostituzione del movimento comunista come movimento unitario marxista-leninista. Per i marxisti non costituisce certo una sorpresa che la fine dell’Unione Sovietica e degli Stati socialisti europei abbia provocato il ritorno della guerra in Europa e l’inizio di un’offensiva generalizzata del capitale contro la classe operaia e tutto il mondo del lavoro. Una simile brutale offensiva del capitale può essere battuta solo con una comune e unitaria difesa da parte di tutti coloro che ne vengono colpiti. Non fosse altro che per questo, apparirebbe evidente la necessità del ripristino di un movimento comunista unitario, per non parlare poi del compito di por fine al dominio dell’imperialismo. Sfortunatamente però il movimento comunista è ben lontano dall’essere un movimento unitario.
In proposito, così almeno mi pare, l’ostacolo principale che si erge contro la realizzazione dell’unità dei comunisti non sta tanto nelle divergenze d’opinione sui compiti del presente quanto piuttosto nel contrasto di idee relativo alla variazione della natura e dalla politica dei paesi socialisti, e in primo luogo dell’Unione Sovietica, nel passato. Secondo alcuni, l’Unione Sovietica e gli altri Stati socialisti, esclusa l’Albania, a partire dal XX Congresso avrebbero perduto completamente la qualità di paesi socialisti e si sarebbero trasformati in paesi a capitalismo di stato: costoro considerano chiunque non condivida questa opinione come un revisionista, con cui non sarebbe possibile avere nulla in comune.
Altri invece ravvisano in Stalin, secondo quanto è stato ad essi propinato fin dal XX Congresso e con crescente ossessività dal tempo di Gorbačev, il corruttore del socialismo e pertanto dichiarano di non poter avere nulla a che fare con gli “stalinisti”. Quest’ultima posizione è quella su cui si attesta la maggior parte delle organizzazioni che dopo la disgregazione dei partiti comunisti si sono riformate dalle loro rovine, e per essere precisi, non solo quelle che ora si professano apertamente come partiti socialdemocratici, ma persino il maggior numero di quelle che si qualificano come partiti comunisti, e financo la PDS (tedesca), che naviga tra le due posizioni che abbiamo individuato. L’antistalinismo è nei fatti oggi il principale ostacolo all’unificazione dei comunisti, così come ieri è stato il fattore principale della distruzione dei partiti comunisti e degli Stati socialisti. Per convalidare un’affermazione del genere, mi limito a citare due testimoni di primo piano, che stanno certo al disopra di ogni sospetto di “stalinismo”.
Il primo è l’ex ministro degli esteri americano John Foster Dulles, il secondo non altri che Gorbačev. Dulles, dopo il XX Congresso del PCUS, così si espresse con animo speranzoso: “La campagna contro Stalin ed il relativo programma di liberalizzazione hanno provocato una reazione a catena che a lungo termine non potrà venir arrestata”.
Gorbačev ha colto nel segno quando, a una domanda sullo “stalinismo” in Unione Sovietica nel quadro di un’intervista del 4 febbraio 1986 all’Humanitè (quotidiano del PC francese), ha così caratterizzato l’antistalinismo, e involontariamente anche il nucleo di fondo della propria opera: “Stalinismo è un concetto inventato dai nemici del comunismo e che sinteticamente viene usato per infangare insieme sia l’Unione Sovietica che il socialismo”. (Nessuno quindi può dire che Gorbačev non sapesse che cosa stesse facendo con la sua campagna contro Stalin!).
L’elemento di gran lunga più efficace nell’antistalinismo è costituito dalla rappresentazione di Stalin come un despota assetato di potere, un sanguinario assassino di milioni di innocenti. Su questo molto ci sarebbe da dire. Qui, in breve, soltanto le seguenti osservazioni.
Primo. Per quanto se ne possa restare profondamente rammaricati, fatto è che mai nella storia una classe oppressa si è liberata dal giogo dell’oppressione senza che la sua lotta rivoluzionaria di liberazione e il rigetto dei tentativi controrivoluzionari di restaurazione siano costati la vita anche di molti innocenti.
Secondo. In ogni epoca la controrivoluzione si è servita di questo dato di fatto per marchiare davanti agli occhi delle masse i rivoluzionari come criminali abominevoli, omicidi e assetati di sangue: ad esempio Thomas Münzer, Cromwell, Robespierre, Lenin, Liebknecht, la Luxemburg, ecc.
Terzo. Solo un cieco pregiudizio riesce a far annebbiare o negare il nesso causale che esiste tra la presa del potere, in Germania, da parte del fascismo tedesco con il riarmo e l’incoraggiamento alla sua espansione verso est benevolmente favoriti dalla potenze occidentali vincitrici e, in URSS, i processi di Mosca e le misure repressive contro gli stranieri, compresi gli immigrati stranieri. Bertolt Brecht ha lumeggiato molto bene questo nesso quando ha scritto: “I processi sono un atto di preparazione alla guerra”. Detto in forma ancora più precisa: essi furono una risposta alla preparazione imperialfascista dell’aggressione contro l’Unione Sovietica. Senza la certezza che prima o poi sarebbe stata scatenata contro l’Unione Sovietica l’aggressione fascista, non ci sarebbero stati i processi di Mosca né le “epurazioni” draconiane, che furono posti in essere al fine di evitare che si formasse nel paese una quinta colonna.
Quarto. Soltanto persone politicamente cieche o molto ingenue hanno potuto non accorgersi che i Chruščev ed i Gorbačev con le loro accuse contro Stalin non sono stati guidati da sentimenti di ripulsa nei confronti di ingiustizie e azioni disumane. Se invece così fosse stato, essi avrebbero posto sotto accusa l’imperialismo e i suoi esponenti, almeno con quell’accanimento che hanno dimostrato nei confronti di Stalin. Ma è accaduto il contrario: il tratto più rilevante della loro politica è stato quello di guadagnarsi la fiducia dell’imperialismo, nonostante i suoi crimini sanguinosi contro l’umanità!
Quinto. In stridente contrasto con tale atteggiamento sta il fatto che perfino il rappresentante diplomatico della principale potenza imperialistica, l’ambasciatore USA Joseph A. Davies, dà di Stalin una valutazione lusinghiera, ma che questa ed altre espressioni positive di uguale segno sull’URSS, dovute a testimonianze dell’epoca, siano state cancellate nell’Unione Sovietica stessa a partire dal XX Congresso.
E dunque, prima di tutto, alcune osservazioni con riguardo ai processi di Mosca. Cominciamo da alcuni estratti dal libro di J. A. Davies, uscito nel 1943 a Zurigo: Ambasciatore degli USA a Mosca. Rapporti autentici e confidenziali sull’Unione Sovietica fino all’ottobre 1941. Davies ha seguito, come ogni diplomatico che lo avesse desiderato, i processi di Mosca quale testimone oculare (di professione egli era giurista). Il 17 marzo 1938 Davies ha trasmesso in un dispaccio a Washington le proprie impressioni sul processo contro Bucharin ed altri. Il telegramma è del seguente tenore (estratto): “Malgrado le mie prevenzioni..., dopo aver osservato giorno per giorno i testimoni ed il loro atteggiamento, in forza dell’evidenza che automaticamente me ne derivava, mi sono formato la convinzione, con riguardo agli imputati politici, che un numero sufficiente dei reati contro le leggi sovietiche elencati negli atti di accusa risultasse provato e sottratto ad ogni dubbio ragionevole, sì da giustificare la pronuncia di colpevolezza per alto tradimento e la condanna alle sanzioni previste dalla legge penale sovietica. L’opinione di tutti i diplomatici che hanno presenziato con maggiore regolarità alle udienze è stata in generale che il processo abbia posto allo scoperto il dato di un’accanita opposizione politica e di un complotto estremamente serio, e tutto ciò ha permesso ai diplomatici di intendere molti dei fatti, sino ad allora incomprensibili, svoltisi in Unione Sovietica nei passati mesi”.
Davies già nel 1937 aveva seguito il processo contro Radek e altri, e ne aveva fatto rapporto, il 17 febbraio 1937, al segretario di Stato americano. In questa relazione egli tra l’altro scrisse: “Una considerazione oggettiva... (tuttavia) mi ha costretto, per quanto riluttante, a concludere che lo Stato aveva effettivamente provato la propria accusa (almeno per quanto riguardava l’esistenza tra i dirigenti politici di un esteso complotto e di intrighi occulti contro il governo sovietico ogni possibile dubbio è stato eliminato, come pure circa il fatto che i reati indicati in base alle leggi vigenti nell’atto d’accusa erano stati commessi e pertanto risultavano punibili). Ho parlato con molti, anzi con quasi tutti, i membri del corpo diplomatico locale e, salvo forse una sola eccezione, tutti sono stati del parere che le udienze avevano dimostrato inconfutabilmente l’esistenza di un piano politico segreto e di un complotto mirante all’eliminazione del governo”.
L’11 marzo 1937 Davies ebbe ad iscrivere, come nota di diario, il seguente episodio emblematico; “Un altro diplomatico ieri ha formulato in mia presenza una considerazione assai illuminante. Parlavamo del processo ed egli si è espresso nel senso di non nutrire alcun dubbio circa la colpevolezza degli accusati: e che tutti noi che presenziavamo alle udienze ne fossimo convinti… che il mondo esterno invece sembrasse ritenere, in base ai resoconti del processo, che questo fosse una semplice messa in scena (egli ha parlato di 'operazione di facciata')…, che egli da un lato sapeva che tutto ciò non fosse vero, ma che dall’altro era forse un bene che il mondo esterno la pensasse in quel modo”.
Davies riferisce anche dei numerosi arresti e di aver parlato delle “purghe”, il 4 luglio 1937, con il Ministro degli esteri Litvinov. Egli scrive circa le considerazioni di quest’ultimo: “Litvinov... ha spiegato che queste purghe erano necessarie per conseguire la certezza di aver eliminato ogni possibile tradimento connesso all’eventualità di una collaborazione [dei nemici interni: ndr] con Berlino o Tokyo. Un giorno il mondo avrebbe compreso che queste azioni erano state necessarie per proteggere il governo dall’incombente tradimento. Anzi, l’Unione Sovietica in verità stava rendendo un servizio a tutto il mondo, dato che, proteggendo se stessa dalla minaccia del dominio mondiale dei nazisti e di Hitler, essa si sarebbe posta come un potente baluardo contro la minaccia nazionalsocialista. Un giorno il mondo avrebbe capito quale uomo di imponente grandezza fosse Stalin”.

Molto istruttiva è anche la descrizione che Davies fece del suo colloquio con Stalin in una lettera del 9 giugno 1938 alla figlia. Egli era restato molto colpito dalla personalità di Stalin, e infatti scrisse: “se ti riuscirà di raffigurarti una personalità che in tutto è l’esatto contrario di ciò che il nemico più accanito di Stalin sarebbe capace di inventarsi, allora avrai un’immagine di quest’uomo. Le condizioni, che io so qui prevalenti, e questa personalità sono divaricate al punto da formare due poli opposti. La spiegazione naturalmente sta nel fatto che gli uomini sono pronti a fare per la loro religione o per una 'causa' ciò che al di fuori di essa non farebbero mai”.
Nel 1941, dopo l’aggressione dei fascisti all’Unione Sovietica, Davies riassume le proprie osservazioni nell’affermazione che i processi per alto tradimento “l’avevano fatta finita con la quinta colonna di Hitler in Russia”. Già nel 1936 si era celebrato il processo contro Zinov’ev ed altri. Aveva avuto occasione di seguirlo da vicino il noto avvocato della Corona britannica D. N. Pritt. Delle proprie impressioni egli riferì nel suo libro di ricordi From Right to Left, pubblicato a Londra nel 1965:
Ho avuto l’impressione... che in generale il processo fosse tenuto in modo corretto e che gli accusati fossero colpevoli... L’impressione di tutti i giornalisti, con i quali ho potuto parlare, è stata anch’essa che il processo fosse corretto e gli accusati colpevoli; e certamente ogni osservatore straniero, e ce ne erano molti e in maggioranza diplomatici, pensavano la stessa cosa… Da uno di essi ho sentito dire: È chiaro che sono colpevoli, ma noi, per ragioni di propaganda, lo dobbiamo negare”.
Da tutto ciò scaturisce evidente che, secondo il competente giudizio di esperti di diritto borghesi del calibro di Davies e Pritt, gli imputati dei processi di Mosca degli anni 1936, 1937 e 1938 erano stati condannati a giusto titolo, dal momento che risultavano provati i reati di cui essi erano stati accusati. A questo proposito vogliamo ancora ricordare le riflessioni che all’epoca espresse su quei tormentosi processi Bertolt Brecht. Riguardo alle idee degli accusati egli scrisse: “Le idee sbagliate li hanno ridotti all’estremo isolamento e indotti al reato comune. Tutta la marmaglia dell’interno e dell’estero, tutti i parassiti, i delinquenti professionali e tutte le spie si sono annidati presso di loro. Con tutta questa canaglia essi avevano in comune gli obbiettivi. Sono convinto che questa è la verità e sono convinto che questa verità dovrà per forza risuonare plausibile, persino in Europa occidentale, a lettori non amichevoli… Il politico, che può giungere al potere solo attraverso la sconfitta, parteggia per la sconfitta. Colui che vuol essere 'il salvatore', provoca la situazione nella quale egli possa riuscire a salvare: dunque, una situazione negativa… Inizialmente Trockij aveva considerato la caduta dello Stato degli operai in seguito ad una guerra come un pericolo, ma poi la guerra sempre più si era fatta per lui il presupposto della propria azione pratica. Se vi sarà la guerra, la affrettata costruzione [del socialismo: ndr] crollerà, l’apparato si isolerà dalle masse, verso l’esterno si dovranno cedere l’Ucraina, la Siberia orientale e così via, all’interno si dovranno fare concessioni, tornare a forme capitalistiche e si dovranno rafforzare o lasciar rafforzare i kulaki: ma tutto ciò sarà ad un tempo il presupposto di una nuova azione, del ritorno di Trockij. I centri antistalinisti smascherati non hanno la forza morale di appellarsi al proletariato, più ancora che per la vigliaccheria di questa gente, perché essa non possiede alcuna base organizzativa tra le masse, non ha nulla da offrire e non fornisce prospettive per le forze produttive del paese. Di questa gente si può altrettanto bene credere che confessi troppe cose o invece troppo poche”.
Se assumiamo come ipotesi che Davies e Pritt (e Brecht) avessero ragione nei loro giudizi sui processi di Mosca, allora scaturisce di necessità la domanda: coloro che, come Chruščev e Gorbačev, hanno in epoche successive dichiarato che i condannati dei processi erano state delle vittime innocenti, non l’hanno per caso fatto in quanto simpatizzavano con essi o addirittura erano stati [nel caso di Chruščev: ndr] segreti complici loro e perché intendevano portare a compimento la loro opera in precedenza fallita? E se poi, attraverso un esame più approfondito della loro (di Chruščev, Gorbačev e simili) attività politica, arrivassimo a costatare che quanto avevano confessato gli imputati dei processi di Mosca in relazione ai propri progetti e obiettivi e ai metodi impiegati per raggiungerli fosse da intendersi come il copione per la loro (di Chruščev e soprattutto di Gorbačev) azione, ciò porterebbe di conseguenza ad una duplice conclusione: primo: che i processi di Mosca possono fornire la chiave per la chiarificazione e la spiegazione di ciò che fin dal XX Congresso del PCUS ha spinto l’Unione Sovietica e gli altri paesi socialisti, nonché il movimento comunista, a deviare dalla retta via; secondo: che l’azione dei Chruščev e dei Gorbačev e il risultato di tale azione portano a concludere che con i processi di Mosca non si è trattato per nulla della messa in scena di processi spettacolo, ma che per mezzo di essi sono stati smascherati e sventati complotti dello stesso genere di quelli che in definitiva Gorbačev ha potuto condurre all’esito sin da quell’epoca pianificato: con la differenza che oramai nessun processo di Mosca lo ha più fermato.
Se aver dipinto Stalin come un despota sanguinario ed il “suo” regime alla stregua di un inferno sulla terra è servito a paralizzare la resistenza nei confronti della controrivoluzione di Chruščev e di Gorbačev, la rappresentazione di uno Stalin falsificatore dei principi di Lenin ha per obiettivi il disarmo teorico ed ideologico del movimento comunista e di tutti i socialisti. La maggior parte delle munizioni di questo tipo proviene dall’arsenale del trotzkismo. Per sostenere quest’affermazione porterò solo alcuni esempi:
La questione della vittoria del socialismo in un solo paese. Il crollo dei paesi socialisti europei e soprattutto dell’Unione Sovietica viene sbandierato come la “prova” della giustezza della tesi di Trockij sull’impossibilità della costruzione del socialismo in un solo paese. In proposito, però, di solito si tace che è stato proprio Lenin il primo a formulare, nel 1915, la tesi della possibilità del socialismo in un solo paese. Come è noto, in un articolo intitolato Gli Stati uniti d’Europa, Lenin asserì: “L’ineguaglianza dello sviluppo economico e politico è una legge assoluta del capitalismo. Da ciò consegue che la vittoria del socialismo è possibile inizialmente in pochi paesi o addirittura in un singolo paese”.
Trockij, già da anni uno degli antagonisti più accaniti di Lenin, immediatamente lo contraddisse, sostenendo che era illusorio credere “che, ad esempio, una Russia rivoluzionaria potesse affermarsi di fronte ad un’Europa conservatrice”.
Stalin, che secondo quanto affermano gli odierni trockijsti sarebbe stato l’inventore della tesi della possibilità di costruire il socialismo in un solo paese, in realtà ha difeso quella tesi di Lenin contro Trockij: “Che cosa significa la possibilità di una vittoria del socialismo in un solo paese? Significa la possibilità di superare le contraddizioni tra proletariato e contadini sulla base delle forze interne del nostro paese, la possibilità che il proletariato prenda il potere e si serva di questo potere per conseguire nel nostro paese la compiuta società socialista, appoggiandosi sulla simpatia e sul sostegno dei proletari degli altri paesi, ma senza una precedente vittoria della rivoluzione proletaria in altri paesi. Che cosa significa l’impossibilità della piena e definitiva vittoria del socialismo in un solo paese senza la vittoria della rivoluzione in altri paesi? Significa l’impossibilità di una piena garanzia contro l’intervento e di conseguenza anche contro la restaurazione dell’ordine borghese, qualora la rivoluzione non abbia vinto in almeno una serie di paesi”.
Ma Stalin non ha solo difeso la tesi di Lenin: con la costruzione del socialismo e l’affermazione del potere sovietico di fronte agli aggressori fascisti, sotto la sua guida, il PCUS ha dato la prova della giustezza della tesi di Lenin. Trockij, al contrario, tutte le volte che ha profetizzato il crollo del potere sovietico, è stato contraddetto dalla storia, e ciò si è verificato anche a più riprese in uno stesso anno. Una delle sue ultime profezie di questo tenore, resa pubblica il 23 giugno 1939, suonava così: “Il regime politico non sopravvivrà ad una guerra”.
Con tutta evidenza, è il desiderio che ha generato questa profezia. Ciò traspariva così chiaramente da tutte le esternazioni di Trockij di quegli anni, da indurre lo scrittore borghese tedesco Lion Feuchtwanger a trarre questa conclusione: “Ma in che cosa dunque è consistito l’obiettivo principale di Trockij durante tutti gli anni dell’esilio e quale può essere ancora oggi? Ritornare nel paese per ritornare al potere, costi quel che costi”.
Perfino al prezzo della collaborazione con i fascisti: “Se Alcibiade è passato ai persiani, perché Trockij non potrebbe passare ai fascisti?”. Anche Feuchtwanger è stato testimone diretto di uno dei processi di Mosca, e precisamente del secondo, quello contro Radek, Pjatakov e altri, nel gennaio 1937.
Stalin e la NEP. Uno dei rimproveri di Gorbačev a Stalin è stato che nei suoi ultimi lavori Lenin avrebbe, attraverso l’elaborazione della “Nuova Politica Economica”, indicato una diversa via per la costruzione della nuova società socialista, che invece Stalin avrebbe abbandonato. Questo rimprovero viene utilizzato dagli antistalinisti di ogni risma, i quali affermano che Stalin avrebbe sostituito la concezione leniniana della NEP con un “corso monopolistico di Stato”, portando in tal modo alla rovina il socialismo. Per Lenin il nucleo della Nuova Politica Economica era rappresentato dal rafforzamento dell’unità politica della classe operaia e del suo Stato con l’ampia classe dei contadini per la via dell’unità economica con l’economia contadina. “Se battiamo il capitalismo e instauriamo l’unità con l’economia contadina, allora saremo una forza assolutamente invincibile”; asserì Lenin nel 1922 all’XI Congresso del PCR(R). Stalin concepiva la NEP esattamente nella stessa maniera e la portò avanti dopo la morte di Lenin: “La NEP è la politica della dittatura del proletariato, la quale mira al superamento degli elementi capitalistici e alla costruzione dell’economia socialista mediante l’utilizzazione del mercato, attraverso il mercato, e non attraverso uno scambio diretto dei prodotti senza mercato, escludendo il mercato. Possono i paesi capitalistici, almeno i più sviluppati di essi, fare a meno della NEP nel passaggio dal capitalismo al socialismo? Penso che non lo possano. In maggior o minor grado la Nuova Politica Economica con i suoi rapporti di mercato è assolutamente indispensabile ad ogni paese capitalistico nel periodo della dittatura del proletariato. Da noi ci sono compagni che contestano questa tesi. Che significa tuttavia contestare questa tesi? Significa, per prima cosa: assumere che noi, immediatamente dopo la presa del potere da parte del proletariato, disporremmo già di apparati di distribuzione e approvvigionamento bell’e pronti al cento per cento per realizzare lo scambio tra città e campagna, tra industria e piccola produzione, che rendano possibile l’attuazione di uno scambio diretto dei prodotti senza mercato, senza smercio, senza economia monetaria. È sufficiente porre una questione del genere per capire quanto sia assurda una simile ipotesi. Ciò significa, in secondo luogo: assumere che la rivoluzione proletaria dopo la presa del potere da parte del proletariato debba incamminarsi sulla via dell’esproprio della media e della piccola borghesia e debba caricarsi del fardello enorme di procurare lavoro ai milioni di nuovi disoccupati così creati artificialmente e di occuparsi del loro sostentamento. Basta porsi questa domanda per capire quanto sarebbe insensata e folle una tale politica da parte della dittatura del proletariato”.
Perché una citazione tanto estesa su un tema così poco attuale? Primo, perché siamo convinti che questo tema, la politica economica per la costruzione del socialismo, sia stato tolto dall’ordine del giorno in Europa soltanto temporaneamente (e altrove per nulla affatto). Secondo, perché è necessario ricordare che esiste un enorme patrimonio di cognizione teoriche e di esperienze pratiche relative a una costruzione del socialismo effettuata con successo, che però è stato messo all’indice con la taccia di “stalinismo” dai successori revisionisti di Lenin e Stalin, affinché cadesse nel dimenticatoio. Infine, terzo, perché nella sinistra anticapitalistica si sta diffondendo un’ideologia pseudo-di-sinistra, il cui promotore più noto è Robert Kurz: secondo costui la radice di tutto il male non è il capitalismo, bensì la produzione delle merci, invece di passare al diretto scambio dei prodotti.
Di fronte a simili tesi le sopraccitate argomentazioni sono senz’altro di grande attualità! Come mai il revisionismo è riuscito a distruggere i risultati di decenni di costruzione del socialismo? Ovviamente vi sono molte ragioni. Una di grandissimo peso è, secondo me, la seguente: per molto tempo il revisionismo si è mimetizzato tenacemente come antirevisionismo, come difesa del leninismo contro la asserita falsificazione di questo da parte di Stalin. Soltanto dopo aver praticamente completato la sua opera di distruzione, Gorbačev si è tolto la maschera di comunista, di leninista, confessando pubblicamente di essere un simpatizzante della socialdemocrazia, dunque un anticomunista e un antileninista. Ma l’antistalinismo fin dal principio è stato per sua intrinseca natura antileninismo, antimarxismo e anticomunismo. Ancora oggi tuttavia molti, perfino nel campo comunista, non riconoscono ciò, perché soggiacciono tuttora all’influenza di decenni di propaganda di odio contro Stalin da parte dei segretari generali anticomunisti del PCUS a partire dal XX Congresso: costoro hanno equiparato Stalin a Hitler, proprio quello Stalin, il quale, come aveva predetto Ernst Thälmann, ha spezzato a Hitler l’osso del collo! Dobbiamo aver chiaro che, nella lotta contro l’antistalinismo, solo in apparenza si tratta della persona di Stalin, nella sostanza si tratta invece dell’esistenza stessa del movimento comunista: restiamo, come Marx e Engels, Lenin e Stalin, fermamente ancorati alla realtà della lotta alla classe oppure ci spostiamo, al pari degli antistalinisti Chruščev, Gorbačev e dei loro simili, sul terreno della riconciliazione con l’imperialismo? Qui sta la questione, dalla cui risposta dipende il destino del movimento comunista. E poiché il problema può trovare una soluzione giusta solo se viene espulso il veleno revisionista in tutte le sue forme e manifestazioni, il movimento comunista deve vincere nelle proprie file anche l’antistalinismo».
15. K. Gossweiler, Contro il revisionismo, cit., pagg. 101-114; il passo è disponibile anche su CCDP.

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