28 Marzo 2024

19.2. LE DIFFICOLTÀ DEL PARTITO D'AVANGUARDIA

Abbiamo già sottolineato più volte nei capitoli precedenti la principale problematica manifestatasi per i Partiti comunisti: la difficoltà di garantire un adeguato ricambio del gruppo dirigente. Il tema è evidente: Lenin aveva impostato il Partito d'avanguardia, formato da rivoluzionari di professione, ideologicamente ben formati, compatto, coeso e disciplinato. Questa tipologia di Partito ha dimostrato evidenti limiti nell'URSS degli anni '20 e '30, disgregandosi al punto da scatenare una “guerra civile” interna al Partito, riverberandosi su tutta la società. La necessità di mantenere il centralismo democratico è fuori questione. Il fatto che questo si configuri come centralismo burocratico è una palese degenerazione. La difficoltà di evitare che ciò accada dipende certamente anche da fattori soggettivi, sui quali è difficile identificare una soluzione, ma è più fattibile ragionare sui fattori oggettivi che hanno portato a questo percorso. Il ristretto Partito d'avanguardia nel '900 si è dovuto trasformare per varie ragioni in un Partito di massa: laddove i comunisti hanno preso il potere l'espansione del Partito è stata una conseguenza della dittatura del proletariato, configuratasi come una dittatura dell'avanguardia dei lavoratori, raccoltisi nel Partito Comunista. L'allargamento del Partito è stato insomma una conseguenza determinata dalla necessità di governare i territori facendovi applicare le decisioni politiche imposte dal livello centrale. L'espansione del Partito si è però configurata come un processo disarmonico, contraddittorio, poco controllato e che hanno sfruttato per scopi politici o per interesse personale delle componenti oggettivamente controrivoluzionarie. Ciò ha favorito la formazione di una burocrazia e di un gruppo dirigente opportunista e poco coeso ideologicamente, il quale ha determinato in ultima istanza l'ascesa alla massima carica politica di un anticomunista. Questa è la storia della degenerazione progressiva del PCUS, caratterizzato da una lenta, impercettibile ma progressiva deviazione dal marxismo-leninismo, secondo istanze e motivi minoritari fino al 1953, legittimati negli anni '50 ed esplosi nelle contraddizioni degli anni '80. Uguali limiti si sono riscontrati nella logica gramsciana della “guerra di posizione”, ossia nella strutturazione di un Partito di massa teso non a governare il paese ma a contendere sul lungo periodo l'egemonia e il potere politico alla borghesia. Anche in questo caso si è registrata la tendenza all'allargamento indiscriminato del Partito a elementi sociali eterogenei, sia per classe di appartenenza, sia per cultura e ideologia. Il caso paradigmatico del PCI è eloquente. Il problema che si pone per i Partiti comunisti che si trovino ad agire in un contesto di democrazia liberale è quindi il seguente: se si mantiene un Partito ristretto di rivoluzionari di professione, di “quadri”, esso risulta incapace di acquisire una massa critica adeguata per conquistare l'egemonia borghese sulla società. Se si allarga a Partito di massa rischia di contaminarsi al punto da perdere la propria stessa identità nel giro di una o due generazioni, con il progressivo abbandono non solo del marxismo-leninismo, ma anche dello stesso marxismo. Il problema è stringente, urgente e chiama in causa gli intellettuali organici chiamati ad interrogarsi e ad esprimersi a riguardo. Le soluzioni date dal “marxismo occidentale” si sono rivelate asfittiche: l'incentivazione delle “vie nazionali al socialismo” si è concretizzata nel completo ripudio del marxismo-leninismo, favorendo il fenomeno di degenerazione ideologica già insito in potenza nella “deviazione”; la retorica dello sviluppo indiscriminato di forme di partecipazione popolare e democratica nei processi decisionali del Partito ha svuotato di senso lo stesso concetto dell'avanguardia: è il caso questo del percorso intrapreso da alcune organizzazioni post-comuniste come il Partito Democratico italiano, giunto al livello di far eleggere i propri dirigenti direttamente dal “popolo” sul modello delle “primarie” statunitensi. La questione può probabilmente risolversi oggi solo attraverso il ripristino di una ferrea formazione politica richiesta ad ogni singolo militante che domandi l'iscrizione al Partito. La sottovalutazione di tale aspetto primario e l'accentuazione eccessiva del “principio di autorità” delle alte sfere del Partito sono stati i limiti principali che hanno impedito al centralismo democratico di funzionare correttamente. La necessità di allargare e rafforzare l'organizzazione comunista non può svolgersi in maniera indiscriminata, ma occorre trovare un equilibrio soddisfacente per cui ad una formazione di base corrisponda un'evoluzione progressiva delle acquisizioni fondamentali della teoria e della prassi. Non ci si può nascondere che anche la Cina e Cuba corrano costantemente il rischio di inadeguati ricambi al vertice politico. Il Partito Comunista Cinese ha un problema opposto a quello della gran parte delle organizzazioni comuniste mondiali: la richiesta di nuove iscrizioni è costante e abnorme, considerato che l'appartenenza al Partito diventa la modalità con cui si può detenere un potere effettivo di compartecipazione al processo decisionale politico, oltre a consentire l'acquisizione di uno status sociale individuale più prestigioso. Il percorso intrapreso dalla Cina, che prevede una formazione ideologico-politica che dura fino ad un anno per i neo-iscritti, affiancato da uno stringente controllo della vita personale dei richiedenti, è una soluzione che andrebbe maggiormente studiata e approfondita, nella consapevolezza che i rischi conseguenti alla strategia messa in atto dai cinesi comportano sempre la sopravvivenza molto forte nella società di una mentalità capitalistica che influisce inevitabilmente anche sui centri del potere economico e politico. Questo è il principale motivo per cui il gioco della Cina diventa particolarmente rischioso e suscettibile di svolte improvvise e clamorose qualora la situazione sfugga di mano alle correnti leniniste del Partito. Si può affermare che la questione rimarrà problematica e contraddittoria finché a livello mondiale rimarranno sopravvivenze dell'imperialismo e del capitalismo, capaci con la loro sola presenza di corrompere ideologicamente e valorialmente ampi strati delle classi lavoratrici. Solo la sconfitta definitiva del capitalismo consentirà di tirare un sospiro di sollievo e capire come procedere, in parallelo alla costruzione e al rafforzamento del socialismo, alla nascita progressiva dell'homo novus, un compito che l'URSS ha avviato con successo nel periodo di Lenin e Stalin ma che ha smesso di portare avanti nel periodo successivo.

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