09 Maggio 2024

B.3. CHE COS'È IL COMUNISMO

«La volontà del capitalista consiste certamente nel prendere quanto più è possibile. Ciò che noi dobbiamo fare non è di parlare della sua volontà, ma di indagare la sua forza, i limiti di questa forza e il carattere di questi limiti». (Karl Marx, da Salario, prezzo e profitto)
In base a questa analisi, gli autori definiscono il comunismo come la dottrina delle condizioni della liberazione del proletariato. È quindi un movimento rivoluzionario che tende all’abolizione della proprietà privata e all’abbattimento dei governi borghesi. Solo il proletariato può e deve essere l’artefice del superamento del modo di produzione capitalista. I comunisti sono quindi l’avanguardia del proletariato che lotta per l’abolizione e il superamento della proprietà privata dei mezzi di produzione, togliendo alla borghesia il potere di sfruttare il proletariato. Per dirla con le parole di Engels:
«Il comunismo è la dottrina delle condizioni della liberazione del proletariato […], quella classe della società, che trae il suo sostentamento soltanto e unicamente dalla vendita del proprio lavoro e non dal profitto di un capitale qualsiasi».
Il comunismo non si propone pertanto di tendere all'uguaglianza totale di tutti gli individui, ma si pone altresì come filosofia della libertà, per la quale la condizione di uguaglianza di partenza è indispensabile. Il socialista Sandro Pertini sintetizzò così la questione:
«La libertà senza giustizia sociale può essere anche una conquista vana. Si può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha un lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli e educarli? Questo non è un uomo libero».
Ecco perché, come dice Marx, «il comunismo non toglie a nessuno il potere d'appropriarsi della sua parte di prodotti sociali, esso non toglie che il potere di assoggettare con l'aiuto di quest'appropriazione, il lavoro degli altri». Il senso della rivendicazione “abolizione della proprietà privata” sta tutto in queste parole:
«Noi non vogliamo affatto abolire l'appropriazione personale dei prodotti del lavoro per la riproduzione della esistenza immediata, appropriazione che non lascia alcun residuo di profitto netto tale da poter conferire potere sul lavoro altrui. Vogliamo eliminare soltanto il carattere miserabile di questa appropriazione, nella quale l'operaio vive solo allo scopo di accrescere il capitale, e vive solo quel tanto che esige l'interesse della classe dominante».

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