28 Aprile 2024

1. L'IMPERO RUSSO A FINE '800

«Abbiamo fatto marcire in prigione milioni di persone senza scopo, senza alcuna considerazione e in modo barbaro, abbiamo cacciato questa gente in catene nel gelo per decine di migliaia di verste, l'abbiamo fatta contagiare di sifilide e corrotta, abbiamo corrotto e aumentato i criminali, ma siamo noi tutti che invece prendiamo da questa faccenda le debite distanze, quasi che non ci riguardasse». (Anton Čechov, 1890)1
Come si viveva all'epoca degli Zar? Il Paese era in effetti uno dei più arretrati d'Europa sotto ogni aspetto. Già dalla sconfitta subita nella guerra di Crimea (1853-56) aveva posto la necessità di avviare delle riforme per modernizzare e industrializzare il Paese, anche se ciò veniva fatto nella mera ottica di garantire il mantenimento del potere autocratico. Le riforme che seguirono furono attuate “dall'alto” e controllate dallo Zar Alessandro II (1855-1881) avendo come direttrici basilari il mantenimento dell'assetto dei rapporti di produzione e del potere assoluto zarista. In Russia vigeva ancora la servitù della gleba, ormai un anacronismo storico di stampo feudal-medievale, tanto che nel 1857 partono i lavori segreti di una commissione ad hoc che ragiona su come risolvere il problema dell'emancipazione «con o senza la terra». L'abolizione della servitù della gleba, con un provvedimento del 1861, prevede la concessione della terra ai contadini emancipati, ma dietro un pagamento spalmabile in 60 anni di rate. Un sostanziale modo per prolungare l'asservimento. La libertà di critica rimaneva pari a zero: pur in presenza di una leggera attenuazione della censura (specie dal 1865), i dibattiti pubblici rimanevano limitati e non erano ammesse critiche allo Zar, allo Stato e agli istituti della famiglia e della religione. Nel 1864 una riforma giudiziaria e amministrativa crea gli zemstvo: consigli amministrativi locali eletti «dal popolo» (che vuol dire dai nobili) che rimangono molto controllati dallo Stato e dispongono di poche prerogative, per lo più riguardanti l'amministrazione locale. Una riforma giudiziaria introduceva invece processi pubblici con maggiori garanzie per gli imputati, con l'uso dei verdetti della giuria. I giudici venivano ora nominati dal Ministero Giustizia ma non erano più removibili, sancendo una maggiore autonomia del potere giudiziario. All'epoca era questo uno dei sistemi all'avanguardia in Europa. Rimaneva sempre la possibilità per i governatori e il Governo di mandare gli oppositori politici al “confino” senza passare per i giudici. La riforma dell'esercito (approvata nel 1862, pienamente attuata nel 1874) riduceva la leva obbligatoria, che passava da 25 a 6 anni, più periodi in riserva (9 anni) e nella milizia popolare (5 anni). Rimaneva estremamente difficile per i contadini accedere alle cariche più elevate dell'esercito, riservate agli strati aristocratici. Le opposizioni politiche erano scarse e variegate. In questo periodo è il nascente movimento rivoluzionario la maggiore minaccia politica, sociale, culturale allo Stato: tra gli anni '60 e '70 nascono molti piccoli gruppi clandestini (radicali-populisti) formati per lo più da studenti universitari. Questi si proponevano di abbattere il regime con ogni mezzo, compreso l'uso di attentati terroristici: nel 1866 uno di loro, Karakozov, fallisce nell'assassinio dello zar Alessandro II, che decide per reazione di rallentare il ritmo delle riforme. Negli anni '70 i populisti si rivolgono al mondo contadino, ma con scarso successo, andando poi a spaccarsi tra un'ala moderata (che mira a concentrare l'azione sulla propaganda e sull'agitazione politica) e un'ala terrorista (Narodnaja Volja). Nel 1881 riesce l'attentato allo zar Alessandro II, colpito a morte. Timorosi di fare la stessa fine, i successivi zar appariranno pochissimo in pubblico. La regola vale ancora per l'ultimo zar, Nicola II.
Dal punto di vista socio-economico il secondo '800 è in Russia l'epoca dell'affermazione del capitalismo, con la conseguente emersione di una nuova classe media e della classe operaia (1 milione tra minatori e operai nel 1861; 4 milioni di lavoratori nel 1913). Vengono sviluppate industrie (in particolare a San Pietroburgo, nei dintorni di Mosca, nelle province baltiche, nel Donbass e in Polonia) con misure protezioniste e infrastrutture (ferrovie) e si espande il settore bancario-finanziario. Rimane però l'idea costante che il mantenimento delle relazioni gerarchiche tra nobiltà terriera e comunità contadina abbiano la precedenza sullo sviluppo industriale. L'agricoltura infatti non si sviluppa di pari passo con gli altri settori e le fattorie russe restano quelle meno produttive d'Europa. Mancano fertilizzanti chimici e macchinari agricoli. Contadini sono gravati dai rimborsi e dagli affitti. Solo in alcune zone (Ucraina e Sud) si sviluppano colture commerciali di tipo industriale e moderne per l'esportazione. Le carestie, debellate nel resto d'Europa, restano un problema costante (ancora nel 1891). Mentre comincia ad emergere il fenomeno dei contadini ricchi (i kulaki, ancora pochi), la maggior parte della popolazione è costituita da contadini poveri che soffrono condizioni di vita pessime, con frequenti epidemie (tra cui il vaiolo), mentre la mortalità infantile arriva al 40% a metà '800. Per sopportare questa vita è frequente l'alcolismo. Trionfa il patriarcato familiare, l'analfabetismo è straripante e la credenza nella religiosità cristiano-ortodossa. Nel 1913 ancora la metà delle terre è in mano a poche decine di migliaia di famiglie. L'altra metà è di 120 milioni di contadini. La situazione è aggravata nel quinquennio 1900-05 da una recessione economico-finanziaria che costituisce la causa principale della rivoluzione del 1905. Lentamente gli operai, ex-contadini urbanizzati, imparano a leggere e scrivere e dagli anni 1880s compare e si diffonde lentamente il marxismo, per opera di Plechanov, che respinge le idee retrograde dei populisti (contrari ad esempio all'industrializzazione) e ritiene invece lo sviluppo industriale inevitabile, avendo come obiettivo quello di organizzare la classe operaia e di realizzare il socialismo. L'influenza dei marxisti sugli operai cresce dagli anni '90s, fino a sfociare, nel 1898, nella nascita del Partito dei lavoratori socialdemocratici russi. I populisti invece si radunano nel 1901-02 nel Partito dei socialisti-rivoluzionari, che resterà per il successivo ventennio in rivalità e competizione con i marxisti.
Dal punto di vista delle nazionalità minori inquadrate nell'impero Russo, occorre segnalare che la maggior parte di esse prendono coscienza nazionale proprio nel secondo '800. Il “problema” delle nazionalità riguardava soprattutto la zona occidentale (polacchi ed ebrei) in zone economicamente prospere. La Finlandia fino agli '90s resta invece tranquilla. Da notare che in questa fase il 17% della popolazione imperiale è costituita da ucraini. La tattica seguita dagli Zar è stata per lo più quella dell'integrazione nelle nazionalità attraverso l'inclusione delle élite locali nella struttura potere, ad esempio concedendo molte poltrone ministeriali. Il problema maggiore era la Polonia: nonostante la creazione nel 1815 di un regno di Polonia, avente lo Zar come re, ma caratterizzato da una certa autonomia (un proprio governo, un'assemblea legislativa, un esercito e un viceré) nel 1830 scoppiava un'insurrezione (subito repressa) che portò ad accentuare il controllo del viceré russo. Una nuova rivolta nel 1863-64 portò a ridurre l'autonomia dando luogo alla «russificazione del Paese, che perdeva lo statuto di «regno» per diventare la «Terra della Vistola»; il russo diventava la lingua ufficiale nell'insegnamento scolastico. Nelle Province Baltiche le classi nobiliari, di etnia tedesca e relativamente autonome, governano d'accordo con lo Zar. La diffusione dagli anni '60 di giornali lettoni ed estoni porterà il nascente movimento nazionale, di carattere urbano, a identificare il nemico dal punto di vista etnico come i tedeschi, piuttosto che lo Zar.
La Finlandia, annessa alla Russia nel 1809, rimase con istituzioni autonome fino al 1917, mantenendo complessivamente buoni rapporti con lo Zar, tranne che nel periodo 1896-1902, quando questi approvò il tentativo di russificazione della regione, alimentando nazionalismo e protesta locale. Gli Ebrei erano 5 milioni di abitanti (il 4% sul totale dell'impero), concentrati per lo più in Polonia. Fino agli anni 1850s gli ebrei erano obbligati a restare in zone di residenza stanziali. Dagli anni '60s si ebbe un'integrazione selettiva alle categorie economiche più importanti (banchieri, mercanti, artigiani, ai quali è ora consentito spostarsi), che non prevedeva però l'assimilazione o la “russificazione”. Con l'epoca delle riforme si concede loro l'ingresso nelle università a cui accedono in massa (nel 1886 gli ebrei costituiscono il 14% degli studenti universitari). Ciò porta molti studenti ebrei a radicalizzarsi politicamente, dato che porta il Governo alla svolta del 1881, con il ripristino sostanziale dei pogrom, rafforzato nel 1887 dall'introduzione di “quote” universitarie e l'avvio di un antisemitismo di governo. Per quanto riguarda gli ucraini, fino al 1905 hanno un ruolo marginale dovuto ad una coscienza nazionale ancora ambigua. Le iniziative culturali ucraine erano state anzi a lungo favorite dagli stessi Zar in ottica anti-polacca. Fino al 1917 le città sono russofone e il nazionalismo è ristretto a pochissime élite intellettuali. Nella zona del Caucaso a metà '800 c'erano state prolungate rivolte di carattere islamico (in Cecenia iniziarono nel 1830 e furono debellate completamente solo nel 1859) ma poi era seguita la consueta via dell'accordo con le élite locali, tant'è che nel 1914 erano presenti 10 generali e 186 colonnelli islamici nell'esercito russo. Anche in Georgia dagli anni '90 si erano diffuse organizzazioni nazionaliste e socialiste, in un Paese importante per la presenza del petrolio nella zona di Baku. L'Asia centrale era stata conquistata tra gli anni '60 e il 1881, eliminando le ultime resistenze dei vari khanati e portando il confine diretto con Iran e Afghanistan. In questa regione la nascita di un'intelligencija locale non ostacolò i primi provvedimenti di sviluppo economico, anche se diede impulso a movimenti culturali riconducibili al panturchismo e al jadidismo (quest'ultimo una sorta di islam modernizzato), senza dar mai luogo comunque a grosse rivolte). Nel complesso fino agli anni '90s non ci sono richieste di indipendenza tra popoli non russi (con l'eccezione della Polonia e della Finlandia) ma al limite di una maggiore autonomia.2
  1. Citato in D. Losurdo, Stalin. Storia e critica di una leggenda nera, Carocci, Roma 2008, p. 150.
  2. P. Bushkovitch, Breve storia della Russia. Dalle origini a Putin, Torino, Einaudi, 2013, capp. 11, 12, 14.

cookie