19 Aprile 2024

1. PROBLEMI ECONOMICI DEL SOCIALISMO

Quello che segue è un ampio estratto della relazione di Andrea Catone dedicata ai problemi della transizione al socialismo in URSS; la questione si collega bene con una presentazione di massima dell'ultima opera di Stalin, Problemi economici del socialismo, considerata il suo “testamento filosofico” e utile per capire le problematiche che si ponevano nel percorso di costruzione del socialismo1.
«Le trasformazioni intervenute tra il 1929 (I piano quinquennale) e il 1941 (aggressione hitleriana) sono impressionanti. Ma la pianificazione che le aveva guidate e il sistema economico che si era costruito intorno ad esse erano largamente imperfette. Assumerle come un modello già maturo di socialismo realizzato sarebbe un errore. Poiché non si terrebbe conto delle condizioni eccezionali nelle quali si è svolto il processo di accumulazione primitiva e di industrializzazione in URSS. In cui volontari, lavoratori d'assalto, stachanovisti, ingegneri, tecnici, dirigenti, erano tesi con tutte le forze al raggiungimento degli obiettivi ambiziosi posti dal piano. Cosa che provocava anche notevoli squilibri, cadute produttive, sprechi. L'URSS degli anni trenta non vive in condizioni normali, ma in una continua mobilitazione: campagne produttive, mobilità sociale, che consente la promozione di milioni di analfabeti a tecnici, quadri, membri di partito (che segna il riconoscimento di uno status raggiunto, ma mai permanentemente: ascese e cadute costituiscono una caratteristica dell'instabilità e della mobilitazione di questi anni). Uno stato d'emergenza permanente caratterizza la vita sovietica degli anni trenta. La rapidissima industrializzazione provoca scosse telluriche nella società, che il partito si propone di controllare e indirizzare; provoca un sommovimento nella composizione stessa del partito. Gli anni trenta sono anni di una rivoluzione sociale senza precedenti e la Russia compie in 10 anni il percorso che altre società hanno fatto in oltre un secolo. La guerra introduce un ulteriore fattore di instabilità con il rischio di disgregazione e distruzione dello stato sovietico programmata da Hitler. La struttura sociale sovietica riesce a superare la difficilissima prova.
Gli anni successivi sono dedicati con successo alla ricostruzione postbellica, intrapresa in un paese che ha subito i danni più pesanti della guerra distruttiva hitleriana e senza alcun aiuto esterno, nelle condizioni di una nuova guerra - la “guerra fredda” - che gli USA avevano intrapreso contro l'URSS. Problemi economici del socialismo si colloca dunque ad uno snodo cruciale della storia dell'URSS: si può guardare alla strada percorsa, alle realizzazioni, alle vittorie ottenute in un periodo tumultuoso e senza tregua; si deve guardare al futuro, allo sviluppo della società socialista, ponendo infine l'accento sulla sua necessaria “regolarizzazione”, “stabilizzazione”, fuoriuscita dallo stato d'emergenza. Non è un caso che nel testo si insista tanto sulle leggi oggettive del socialismo. E che cos'è una legge se non regolarità, fine di uno straordinario e prolungato stato d'eccezione? Il “testamento economico-politico” di Stalin è una riflessione sulla struttura economico-sociale che si è costruita, ma non ha assolutamente il carattere di uno scritto sistematico e compiuto, sì quello di un testo “reattivo”, “occasionale”, di risposta e puntualizzazioni (al pari di celebri precedenti nella storia del marxismo, da Miseria della filosofia alla Critica del programma di Gotha, dall'Antidühring alle Osservazioni di Lenin al libro di Bucharin Economia del periodo di transizione).
Raccolti in un piccolo libro, furono pubblicati quattro scritti di Stalin, prodotti in un arco di tempo di alcuni mesi, dal 1° febbraio 1952 al 28 settembre dello stesso anno:
1. Osservazioni sulle questioni economiche relative alla discussione del novembre 1951;
2. Risposta al compagno Aleksandr Il'ič Notkin;
3. Sugli errori del compagno Jarošenko;
4. Risposta ai compagni A. V. Sanina e V. C. Vensger.
Il primo, e più corposo, prende spunto dalla discussione per giudicare il progetto di manuale di economia politica. L'invito a pubblicare un manuale ufficiale del partito per la formazione comunista dei quadri era stato espressamente formulato in una direttiva del CC del partito comunista (bolscevico) pansovietico del 14 novembre 1938, in concomitanza con la pubblicazione del Breve corso di storia del VKP(b): era necessario, si diceva, impostare le questioni teoriche attuali, generalizzare l'esperienza della costruzione del socialismo, rispondere alle questioni poste dai quadri, elaborare nuovi problemi teorici e sviluppare creativamente il dibattito teorico. L'invito segnalava indirettamente le grandi carenze teoriche degli economisti sovietici, che la rivista Problemy Ekonomiki qualche mese dopo (nel n° 3 del 1939) denunciava apertamente: gli economisti si limitano ad una descrizione elementare della costruzione socialista e alla ripetizione di qualche formula dei classici del marxismo, ma non sanno applicare creativamente il marxismo-leninismo allo studio “delle leggi dello sviluppo della società, delle leggi di movimento della nostra società sovietica”. Era questa la ragione per cui il manuale che l'Accademia delle Scienze dell'URSS aveva programmato di terminare nel 1938, non poté essere soddisfacentemente redatto. Nel gennaio 1943 fu pubblicato un articolo redazionale della rivista Pod znamenem marksizma (Sotto la bandiera del marxismo), dal titolo Alcune questioni dell'insegnamento dell'economia politica, in cui si poneva la questione di definire chiaramente l'oggetto dell'economia politica, “scienza dello sviluppo dei rapporti di produzione tra gli uomini”, e di spiegare il carattere delle leggi economiche del socialismo: “negare l'esistenza di tali leggi economiche significa scadere nel più volgare volontarismo, che, in luogo di un processo regolare, conforme a legge (zakonomernyj) di sviluppo della produzione, pone l'arbitrio, la casualità, il caos. È chiaro che con tale approccio alla questione si perde ogni criterio per valutare la correttezza di questa o quella linea, di questa o quella politica, si perde la comprensione della regolarità di questi o quei fenomeni nel nostro sviluppo sociale”.
L'articolo suscitò grande interesse e dibattiti, non solo in URSS, ma anche all'estero, e nella seconda metà degli anni quaranta si intensificò la discussione sovietica tanto sullo statuto teorico dell'economia politica, sul suo oggetto, sulla sua possibilità di estendere tale scienza a tutti i modi di produzione e non solo a quello capitalistico, come aveva invece sostenuto N. Bucharin in Economia del periodo di transizione, quanto sulle leggi economiche del socialismo. Questa discussione, che può apparire al lettore odierno artificiosa, “bizantina”, giocata spesso sull'interpretazione di alcuni termini, su puntualizzazioni esasperate di chi sembra dilettarsi nel mestiere di spaccare il capello in quattro, ha invece - come si può ben intuire - un risvolto pratico-politico di importanza cruciale, che risponde sostanzialmente alla domanda: si procederà nella pianificazione e nella direzione e organizzazione dell'attività economica sulla base del “lavoro d'assalto”, di un volontarismo che rispondeva all'esigenza e all'emergenza di una fase tumultuosa di passaggio che dovette essere - per quanto sinora detto - forzatamente rapido da una società agricolo-industriale ad una industriale-agricola, o si pianificherà e organizzerà la produzione e distribuzione di beni sulla base di una valutazione oggettiva e non arbitraria delle condizioni reali del paese, in modo che il socialismo diventi “regolarità”, abitudine, costume nella pratica dei milioni e milioni di cittadini sovietici?
Stalin avverte il bisogno di intervenire in prima persona, con tutta l'autorevolezza di cui dispone, nella battaglia contro il volontarismo in economia. La prima delle sue osservazioni sulla bozza di manuale di economia politica presentato nel 1951 riguarda proprio la questione del carattere delle leggi economiche del socialismo. Esse, ribadisce Stalin più volte, hanno carattere oggettivo, “riflettono le leggi di sviluppo dei processi della vita economica, i quali si compiono indipendentemente dalla nostra volontà” e precisa: “Si dice che la necessità dello sviluppo pianificato (proporzionale) dell'economia del nostro paese dà la possibilità al potere sovietico di sopprimere le leggi economiche esistenti e di crearne delle nuove. Ciò non è affatto vero. Non si possono confondere i nostri piani annuali e quinquennali con la legge economica obiettiva dello sviluppo pianificato, proporzionale, dell'economia nazionale. La legge dello sviluppo pianificato è sorta come contrapposizione alla legge della concorrenza e dell'anarchia della produzione nel capitalismo […] è entrata in vigore perché un'economia nazionale socialista si può avere soltanto sulla base della legge economica dello sviluppo pianificato dell'economia nazionale. Questo significa che la legge dello sviluppo pianificato dell'economia nazionale dà la possibilità ai nostri organi pianificatori di pianificare in modo giusto la produzione sociale. Ma non si deve confondere la possibilità con la realtà. Per far sì che questa possibilità diventi realtà occorre studiare questa legge economica, impadronirsene, occorre imparare ad applicarla con perfetta cognizione di causa, occorre elaborare dei piani che riflettano per intiero l'esistenza di questa legge. Non si può dire che i nostri piani annuali e quinquennali riflettano per intiero le esigenze di questa legge economica”.
Questo riferimento esplicito ad errori nella pianificazione e a interventi arbitrari del Gosplan assume - nello snodo cruciale in cui questo scritto appare, quale passaggio di fase ad una riflessione su quanto e come si è costruito - particolare importanza. Vi sono nel testo staliniano altri riferimenti estremamente critici di plateali errori cui possono essere indotti i pianificatori dall'assenza di una visione oggettiva e realistica e di una teoria del calcolo economico: “I dirigenti d'azienda e i dirigenti della pianificazione avanzarono una proposta che non poté non riempire di stupore i membri del Comitato centrale perché, secondo questa proposta, il prezzo di una tonnellata di grano doveva essere quasi uguale a quello di una tonnellata di cotone, e il prezzo di una tonnellata di grano veniva eguagliato a quello di una tonnellata di pane”.
Lo scritto staliniano non ha qui assolutamente un tono trionfalistico e vi si possono leggere, direttamente o in controluce alcune note critiche, che aprono squarci significativi sulle prospettive dell'URSS in questo passaggio cruciale, in cui appare sostanzialmente terminata la fase della costruzione d'assalto e a qualsiasi costo, nonché la ricostruzione postbellica. Nel 1938, a qualche anno di distanza dall'annunciata vittoria dei rapporti di produzione socialisti in URSS, vittoria sancita dalla Costituzione del 1936 (ed è questa la data che economisti e storici sovietici, ancora negli anni '80, indicavano come fine del “periodo di transizione” e passaggio al socialismo), Stalin scriveva che “i rapporti di produzione corrispondono perfettamente allo stato delle forze produttive, perché il carattere sociale del processo della produzione è rafforzato dalla proprietà sociale dei mezzi di produzione”, nello scritto del 1952, pur ribadendo questa corrispondenza generale, ne indica anche il carattere ancora imperfetto:
I nostri attuali rapporti di produzione attraversano un periodo in cui, corrispondendo appieno alla crescita delle forze produttive, le fanno procedere in avanti a passi da giganti. Ma non sarebbe giusto accontentarsi di questo e ritenere che non esista nessuna contraddizione tra le nostre forze produttive e i rapporti di produzione. Contraddizioni esistono senz'altro ed esisteranno, in quanto lo sviluppo dei rapporti di produzione ritarda e ritarderà rispetto allo sviluppo delle forze produttive”.
Può essere interessante notare a proposito del rapporto tra “volontarismo” e “oggettivismo” come un altro grande dirigente rivoluzionario, impegnato a guidare un paese contadino ben più arretrato della Russia presovietica alla duplice transizione alla fuoriuscita dall'arretratezza e al socialismo, consideri questa posizione di Stalin, in un testo denso di minuziose e puntigliose annotazioni sui Problemi economici del socialismo. Commentando nel 1958 il passo di Stalin in cui si critica la confusione che gli economisti volontaristi fanno tra “leggi scientifiche, che riflettono processi oggettivi che si sviluppano nella natura o nella società in modo autonomo e al di fuori della volontà dell'uomo” e leggi emanate dai governi, “espressione della volontà dell'uomo”, che “hanno valore solo in quanto imposte dal potere giuridico”, Mao Tse-tung scrive:
Questa concezione delle leggi è fondamentalmente giusta; però ha due difetti: primo, non mette abbastanza in luce l'attivismo soggettivo del partito e delle masse; secondo, non è completa; non spiega che le leggi statali sono giuste non solo se nascono dalla volontà della classe operaia, ma riflettono anche correttamente le esigenze delle leggi oggettive dell'economia”.
Siamo all'epoca del “grande balzo in avanti” e delle comuni popolari, dell'accelerazione estrema e volontaristica che i dirigenti cinesi intendono imporre allo sviluppo dell'economia, ripercorrendo, in qualche modo, un'analoga strada di “lavoro d'assalto” che aveva caratterizzato la prima fase della pianificazione sovietica: l'attivismo soggettivo, non riuscì ad evitare - né in URSS, né in Cina — pesanti errori nell'organizzazione economica. L'altro grande problema affrontato da Stalin nel suo scritto è quello della produzione mercantile e dell'azione della legge del valore nel socialismo, questione che sarà poi trattata nel complesso nella pubblicistica sovietica successiva come “questione dell'esistenza di rapporti mercantil-monetari nel socialismo”. Anche qui Stalin scioglie un nodo a lungo dibattuto sin dai tempi del “comunismo di guerra”, chiarendo che di per sé la forma merce non implica immediatamente rapporti capitalistici, mentre questi ultimi non possono darsi senza la forma merce: “Si dice che la produzione mercantile in qualsiasi condizione deve portare e necessariamente porterà al capitalismo. Questo non è vero. Non sempre e non in qualsiasi condizione! Non si può identificare la produzione mercantile con la produzione capitalistica. Son due cose diverse. La produzione capitalistica è la forma più alta di produzione mercantile. La produzione mercantile porta al capitalismo solamente se esiste la proprietà privata, se la forza lavoro si presenta sul mercato come una merce che il capitalista può comprare e sfruttare nel processo di produzione, se, di conseguenza, esiste nel paese un sistema di sfruttamento degli operai salariati da parte dei capitalisti. La produzione capitalistica incomincia là, dove i mezzi di produzione sono concentrati in mani private e gli operai, privi dei mezzi di produzione, sono costretti a vendere la loro forza-lavoro come una merce. Senza di ciò non vi è produzione capitalistica”.
Nella società sovietica tale produzione, continua Stalin, è invece limitata e controllata. Essa si deve essenzialmente allo scambio che intercorre tra le due principali forme della proprietà socialista, statale e cooperativo-colcosiana. Tale forma di produzione scomparirà, ma in un futuro non prossimo, con l'unificazione - volontaria e non coatta, poiché la proprietà colcosiana è una forma di proprietà socialista — delle due forme di proprietà e col passaggio alla fase superiore del comunismo, quando anche lo stato si estinguerà:
Con l'estendersi del campo d'azione del socialismo nella maggior parte dei paesi del mondo lo stato si estinguerà e, naturalmente, in legame con ciò cadrà la questione del passaggio del patrimonio di singole persone e di singoli gruppi in proprietà dello stato. Lo stato si sarà estinto, ma la società continuerà ad esistere. Di conseguenza, erede della proprietà di tutto il popolo non sarà lo stato, che si sarà estinto, ma sarà la società stessa, rappresentata dal suo organo economico dirigente centrale”.
Ma perché questo passaggio al comunismo si realizzi occorrono condizioni di sviluppo economico e culturale, che consentano la riduzione della giornata lavorativa a sei-cinque ore (era l'idea espressa da Lenin nella prima stesura dei Compiti immediati del potere sovietico), una ricchezza diffusa e un'istruzione politecnica che dia la possibilità a ciascuno di scegliere liberamente il proprio lavoro e non essere inchiodato alla stessa professione (riecheggiano qui i passi marxiani dell'Ideologia tedesca e del Capitale). La soluzione teorica adottata da Stalin sulla questione della persistenza di forme economiche mercantil-monetarie e della legge del valore nell'economia sovietica (le ragioni di esistenza delle quali sono individuate essenzialmente nella presenza di due forme di proprietà, statale e cooperativo-colcosiana), se apre la strada al riconoscimento della produzione mercantile nel socialismo e al calcolo economico in termini di valore, lascia tuttavia ancora irrisolto il problema più generale del rapporto economico e del calcolo economico nel socialismo. Le categorie del valore - merce, salario, denaro -, dice correttamente Stalin, non sono necessariamente categorie capitalistiche e possono essere presenti, in forma controllata e subordinata, anche in modi di produzione non capitalistici. Il che significa, però, che la presenza di rapporti mercantil-monetari in una formazione economico-sociale che abbia attuato la nazionalizzazione generalizzata dei mezzi di produzione — prima forma della socializzazione socialista — può essere spiegata anche senza far ricorso alla peculiarità storica della costruzione socialista in URSS caratterizzata dalla compresenza di una forma statale ed una cooperativo-colcosiana. Un vasto filone di teorici marxisti “di sinistra” ha criticato a lungo la presenza delle forme mercantil-monetarie come sintomo rivelatore di rapporti capitalistici in URSS: dalle critiche di A. Bordiga, fino a Le capital socialiste di Bernard Chavance, allievo di Bettelheim, per citarne solo alcuni tra i tanti. A questi critici si può rispondere che essi ignorano le categorie dialettiche della transizione, che pensano strutturalmente in termini di sostituzione di un modo di produzione all'altro. In termini di aut aut. O socialismo o capitalismo. Ma già Lenin aveva posto la questione della pluralità di modi di produzione all'interno di un'unica formazione economico-sociale e del kto pobedit? (chi vincerà?) ritenendo non scontato il risultato della vittoria del socialismo, ma fortemente problematico. A quella domanda Stalin rispondeva nel 1936 affermando la vittoria del socialismo che la nuova costituzione era chiamata a sancire. Sedici anni dopo, tuttavia, le cose non appaiono del tutto scontate. Stalin denuncia l'incapacità dei quadri della pianificazione di avvalersi della legge del piano, la pianificazione non è affatto ottimale. E denuncia gli errori nel calcolo economico. Il problema del calcolo economico e della “pianificazione ottimale” nell'ambito di una oramai data per scontata “regolarità” di un sistema socialista che veniva designato come “maturo” (e dunque, per definizione, estraneo alle intemperanze e alle mobilitazioni emergenziali della sua “fase giovanile” di formazione degli anni '30) continuerà negli anni successivi a travagliare gli economisti sovietici e del “campo socialista”, costituitosi all'indomani della seconda guerra mondiale e fonte di ulteriori esperienze e studi di “costruzione del socialismo”. È un problema teorico e politico ad un tempo, poiché la pianificazione, in URSS e nelle altre “democrazie popolari”, se riesce ancora negli anni '60 a tenere un certo ritmo, comincia negli anni '70 ad incontrare crescenti difficoltà, tanto meno giustificabili quanto più si dichiarava “sviluppato” o “maturo” il “socialismo reale”. Tra gli anni '50 e gli anni '70 si svolgeranno ricerche, dibattiti teorici e tentativi di riformare il sistema economico. Non sarà assolutamente un percorso lineare: processi di decentramento e autonomizzazione delle imprese, come con la riforma Kosygin del 1965, si alterneranno a momenti di riaccentramento amministrativo, in un movimento complesso di ricerca di soluzioni ottimali nell'ambito di un sistema socialista e di difesa di interessi particolaristici e settoriali che il ricorso alla categoria di “revisionismo” non riesce a comprendere e spiegare pienamente. Vi è certamente un “revisionismo” nella teoria e nelle riforme economiche degli anni 1950-1970, ma sarebbe sbagliato e fuorviarne qualificare l'insieme di questi tentativi di trovare una soluzione ai problemi della pianificazione e del calcolo economico in un'economia basata sulla proprietà statale generalizzata dei mezzi di produzione come responsabili dello scacco successivo del socialismo sovietico e delle democrazie popolari. È una spiegazione mitologica e semplificatoria e, in definitiva, “tranquillizzante”, che parte dal presupposto che le questioni fondamentali — teoriche e pratiche — di un'economia socialista fossero tutte già risolte nel 1936 o nel 1952, e che, dunque, la revisione sia stata un deliberato tradimento. Ma i problemi c'erano - ci sono - e non sono soddisfacentemente risolti. Lo scritto di Stalin lo rivela - per quel che dice e per i problemi che lascia aperti.
L'URSS sotto la guida del gruppo dirigente staliniano riuscì a vincere battaglie decisive, prima di tutto quella di conservare una trincea rivoluzionaria. Riuscì a realizzare una transizione dall'arretratezza all'industrializzazione nel giro di pochi, decisivi anni, con il concorso partecipe e consapevole della parte più attiva e generosa della società (senza il quale i piani “tesi” sarebbero stati irrealizzabili). E, dunque, il giudizio storico che a distanza di mezzo secolo si può pronunciare su quell'esperienza non può non essere nel complesso positivo. Al di là di errori e contingenze storiche, Stalin consolidò la vittoria della rivoluzione russa, lasciando aperta la possibilità di ulteriori trasformazioni e rotture rivoluzionarie. Ma assumere quanto si realizzò in URSS come il modello perfetto e assoluto, come il classico di una transizione al socialismo, sarebbe errato, antidialettico, e, in definitiva, contrario allo spirito dell'ultimo scritto staliniano».
1. A. Catone, I problemi dell'economia sovietica nel periodo 1924-1953, Associazionestalin.it, all'interno di A. Catone & E. Susca (a cura di), Problemi della transizione al socialismo in URSS. Atti del convegno Napoli 21-23 novembre 2003, La Città del Sole, Napoli 2004, pp. 199-220.

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