29 Marzo 2024

2.4. IL “LIBRETTO ROSSO” DEL “CHE”

Neanche il “Che” ha mai scritto un proprio “libretto rosso”. Ci si conceda questa licenza di segnalare alcuni suoi scritti davvero meritevoli su svariati temi, che lo confermano anche a livello teorico un grande marxista-leninista46.

Sul concetto di avanguardia:
«Le avanguardie hanno lo sguardo volto al futuro e alla loro ricompensa, ma questa non si intravede come qualcosa di individuale; il premio è la nuova società in cui gli uomini avranno caratteristiche diverse: la società dell'uomo comunista.
L'operaio d'avanguardia deve essere condottiero di masse tramite l'esempio, tramite il proprio convincimento nei confronti del lavoro. E il lavoro deve essere un compito fondamentale del nostro popolo nel corso degli anni. L'operaio d'avanguardia ha oggi una missione fondamentale da compiere: quella di trascinare con il suo esempio, quella di convertirsi in un eroe venerato del lavoro, quella di creare un poco la leggenda del combattente del lavoro, la stessa che si crea quando si tratta del combattente in armi. Un lavoratore d'avanguardia, un membro del Partito dirigente della Rivoluzione sente tutti questi lavori che si chiamano sacrificio con un interesse nuovo, come una parte del suo dovere, ma non del suo dovere imposto, bensì del suo dovere interno e lo fa con interesse. Chiunque abbia un merito qualsiasi che si sia guadagnato col suo sforzo deve dimostrare di essere stato giustamente meritevole di questo riconoscimento per tutto l'anno e per tutto il processo rivoluzionario. Non deve addormentarsi sugli allori. Noi non ci stanchiamo di ripetere che nel caso degli operai d'avanguardia la modestia eccessiva non era una qualità ma un difetto; che l'operaio d'avanguardia deve dar mostra del suo esempio, renderlo vivo e palpabile, comunicarlo, divulgarlo, contagiare del suo entusiasmo tutti gli altri compagni. Se in qualcosa e per qualcosa lottiamo per essere l'avanguardia di questo o di quello è per avere l'onore di dire che siamo in posizione avanzata nel compito di dare al nostro popolo tutto quello che merita, per le sue straordinarie azioni, per il suo straordinario valore, per il suo esempio luminoso per tutti i popoli d'America e del mondo».
Sull'etica:
«Il livello più alto dell'umanità è la dedizione, è la rinuncia al benessere personale quando la maggioranza vive nella miseria, è capire che la rivoluzione è un atto trasformatore della società perché le sue decisioni future siano orientate verso il benessere della specie umana. Quando si capisce questo e si raggiunge quel livello più alto della specie umana, allora si è un rivoluzionario. E il dovere di ogni rivoluzionario è fare la rivoluzione».47
Sul rivoluzionario:
«La prima cosa che deve fare un rivoluzionario che scrive la storia è tenersi aderente alla verità come un dito in un guanto. La Rivoluzione si fa attraverso l'uomo, ma l'uomo deve forgiare giorno per giorno il suo spirito rivoluzionario. La cosa più importante è la nazione, è l'intero popolo di Cuba e bisogna esser sempre pronti a sacrificare qualsiasi beneficio individuale in favore del beneficio collettivo. Il rivoluzionario deve essere un lavoratore infaticabile e, oltre che infaticabile, organizzato; e, se invece di imparare con i colpi della lotta, come abbiamo imparato noi, portate già alla lotta rivoluzionaria quella previa esperienza organizzativa, tanto meglio per i paesi dove vi toccherà lottare per la Rivoluzione. Molto ci rimane da fare, per imprimere nella coscienza dei nostri dirigenti quanto più possibile questa necessità vitale […], per imprimere nella coscienza di ciascuno la certezza assoluta che non c'è sforzo che si faccia verso il popolo e che non si traduca, dopo fatti concreti, in concreti vantaggi per la Rivoluzione, che è la sola cosa che noi rivoluzionari cerchiamo: ingrandire la nostra Rivoluzione, dare quanto più possibile al nostro popolo. Non finisce lì né voi avrete saldato il vostro debito con la società nel momento in cui sarete accolti e vi sarete convertiti in operai qualificati; avrete pagato semplicemente la parte proporzionale del debito che c'era da pagare quell'anno, ma poi continuerete ad avere degli obblighi, obblighi che nessuno vi richiederà, che nessuno vi ricorderà tutti i giorni, ma che voi dovrete sentire tutti i giorni per essere davvero dei rivoluzionari. A volte noi rivoluzionari siamo soli, perfino i nostri figli ci guardano come si guarda un estraneo. Ci vedono meno del soldato di posta che chiamano zio. I dirigenti della Rivoluzione hanno figli che ai loro primi balbettii non imparano a chiamare il padre; mogli che devono essere parte del sacrificio generale della loro vita per portare la Rivoluzione alla sua destinazione; la cerchia degli amici corrisponde rigidamente alla cerchia dei compagni della Rivoluzione. Non esiste vita al di fuori di essa. L'uomo che va avanti spinge gli altri a raggiungerlo, attira gli altri verso il suo livello molto più di colui che da dietro spinge solo con la parola.
Il miglior indottrinamento rivoluzionario che possa esistere è mostrare, per via d'esempio, il cammino del compimento del dovere. Noi siamo il presente che sta costruendo l'avvenire per i nostri figli e sempre dobbiamo guardare in avanti, verso l'avvenire e distruggere anche il più piccolo rimasuglio del passato. Dobbiamo stare con le armi in pugno, intransigentemente, lottando contro tutto ciò che è cattivo, tutto ciò che è marcio, contro tutto ciò che è pigro, tutto ciò che si trascina, tutto ciò che significa il passato. Dentro le masse rivoluzionarie la vigilanza della loro morale deve essere più rigida, se è il caso, della vigilanza contro il non rivoluzionario o l'indifferente. La condotta rivoluzionaria è specchio della fede rivoluzionaria e quando qualcuno che si proclama rivoluzionario non si comporta come tale non può essere altro che spregevole. Non si può permettere, pena la possibilità che la Rivoluzione si incammini per la pericolosa via dell'opportunismo, che un rivoluzionario, di qualunque categoria e per qualunque criterio, venga assolto da colpe gravi contro il decoro o la morale, per il fatto stesso di essere rivoluzionario. I rivoluzionari non possono prevedere tutte le varianti tattiche che possono presentarsi nel corso della lotta per il loro programma liberatore. La reale capacità di un rivoluzionario si misura dal saper trovare tattiche rivoluzionarie adeguate ad ogni mutamento di situazione, dal tener presente tutte le tattiche e sfruttarle al massimo. Il rivoluzionario, motore ideologico della rivoluzione all'interno del suo partito, si consuma in quell'attività interrotta che non ha altra fine che la morte, a meno che la costruzione non si consegua su scala mondiale. L'atteggiamento comunista di fronte alla vita è mostrare con l'esempio il cammino da seguire, è guidare le masse con il proprio esempio, quali che siano le difficoltà del cammino da superare. E chi può mostrare l'esempio del suo lavoro ripetuto giorno dopo giorno, senza aspettare dalla società altro che il riconoscimento dei suoi meriti di lavoratore, di costruttore di quella nuova società, ha diritto ad esigere nell'ora del sacrificio. E la costruzione della nostra società non potrà farsi in alcun modo se non sulla base del sacrificio. All'interno del paese i dirigenti devono svolgere il loro ruolo d'avanguardia; e, va detto con tutta sincerità, in una rivoluzione vera, a cui si dà tutto, da cui non ci si aspetta alcuna retribuzione materiale, il compito del rivoluzionario d'avanguardia è al tempo stesso magnifico e angoscioso. Noi rivoluzionari dobbiamo dare in ogni momento della nostra vita tutto quanto è possibile a beneficio del lavoro fecondo, a beneficio della Rivoluzione che avanza, a beneficio del popolo, che è tutto uno, che è al nostro fianco, che sta lottando con noi verso l'avvenire. Questo tipo di lotta ci offre l'occasione di diventare rivoluzionari, il gradino più alto della specie umana, ma ci permette anche di laurearci uomini; coloro che non possono raggiungere nessuno di questi due stadi debbono dirlo e abbandonare la lotta».
Sui compiti del militante:
«Come potremmo definire i compiti più importanti di un membro del Partito...? Ve ne sono due fondamentali, due che tornano a ripetersi costantemente e che sono la base su cui poggia tutto lo sviluppo della società: la produzione, lo sviluppo dei beni per il popolo e l'approfondimento della coscienza.
Il membro del Partito nuovo deve essere un uomo che sente intimamente in tutto il suo essere le nuove verità e le sente con naturalezza, che quello che è sacrificio per la gente in genere sia per lui semplicemente l'azione quotidiana, ciò che bisogna fare e ciò che è naturale fare. Il rivoluzionario vero, il membro del Partito dirigente della Rivoluzione dovrà lavorare ogni ora, ogni minuto della sua vita, in questi anni di lotta tanto dura che ci aspettano, con un interesse sempre rinnovato e sempre crescente e sempre fresco. Tutti i membri dei nuclei devono eccellere per il loro lavoro, per il loro amore allo studio, per la loro coscienza del dovere, per il loro quotidiano e costante superamento e devono predicare - sopra ogni cosa - con l'esempio del sacrificio e del lavoro sugli altri compagni. Noi, militanti di un partito nuovo, in una nuova regione liberata del mondo e in nuove situazioni, dobbiamo tenere sempre alta la stessa bandiera di dignità umana che levò il nostro Marti, guida di molte generazioni, presente oggi con la sua freschezza di sempre nella realtà di Cuba: “Ogni vero uomo deve sentire sulla guancia il colpo inferto a qualsiasi guancia d'uomo”».
Sulla figura del dirigente di partito, ossia il quadro:
«Chi aspira ad essere dirigente deve poter affrontare, o meglio, potersi esporre al verdetto delle masse e credere che è stato eletto dirigente o si propone come dirigente perché è il migliore fra i buoni, per il suo lavoro, il suo spirito di sacrificio, il suo costante atteggiamento d'avanguardia in tutte le lotte che il proletariato deve condurre giornalmente per la costruzione del socialismo. In un regime che inizia la costruzione del socialismo non si può supporre un quadro che non abbia uno sviluppo politico, ma per sviluppo politico non deve considerarsi soltanto l'apprendistato della teoria marxista; si deve anche esigere la responsabilità dell'individuo per i suoi atti, la disciplina che coarti qualsiasi debolezza transitoria e che non sia combattuta con un'alta dose d'iniziativa, la preoccupazione costante per tutti i problemi della Rivoluzione. Intimamente legato al concetto di “quadro” è quello della capacità di sacrificio, di dimostrare con il proprio esempio le verità e le consegne della Rivoluzione. Il quadro, come dirigente politico, deve guadagnarsi il rispetto dei lavoratori con la sua azione. È imprescindibile che conti sulla considerazione e l'affetto dei compagni che deve guidare lungo le strade dell'avanguardia. Che cos'è un quadro? Un quadro è un individuo che ha raggiunto lo sviluppo politico sufficiente per potere interpretare le grandi direttive emanate dal potere centrale, farle sue e trasmetterle come orientamento alla massa, accogliendo inoltre le manifestazioni che questa faccia dei suoi desideri e delle sue più intime motivazioni. È un individuo dalla disciplina ideologica e amministrativa, che conosce e pratica il centralismo democratico e sa valutare le contraddizioni esistenti nel metodo per trarre il massimo profitto dalle sue molteplici sfaccettature; che sa praticare nella produzione il principio della discussione collettiva e discussione e responsabilità uniche, la cui fedeltà è provata e il cui coraggio fisico e morale si è sviluppato di concerto con il suo sviluppo ideologico, al punto che è sempre pronto ad affrontare qualunque dibattito e a rispondere perfino con la vita del buon cammino della Rivoluzione. E, inoltre, un individuo con capacità di analisi propria, il che gli consente di prendere le decisioni necessarie e praticare l'iniziativa creatrice in modo che non venga a cozzare con la disciplina. Lo sviluppo di un quadro si ottiene nelle azioni giornaliere, ma deve inoltre assumersi il compito d'un modo sistematico in scuole speciali, dove professori competenti, esempi al contempo della scolaresca, favoriscano la più rapida ascesa ideologica».
Sulla pace:
«La pace degli uomini che la desiderino con tutte le loro forze, che siano disposti a giovarsene al massimo per la felicità del loro popolo, ma che sappiano che non possono mettersi in ginocchio per conquistarla, che sappiano che la pace si conquista a colpi di audacia, di coraggio, di incrollabile pertinacia, e che così si difende, e che la pace non è una condizione statica ma qualcosa di dinamico al mondo, e che quanto più forte, unito e belligerante sia un popolo, più facilmente potrà mantenere la pace cui aspira».
Sulla dittatura del proletariato:
«La massa deve essere costantemente attenta a quello che accade nel suo centro di lavoro e rapportarlo alla vita totale della Nazione. Perché bisogna che vi sia pressione delle masse in una serie di cose, perché le masse devono avere interesse a sapere che cos'è un piano economico, che cos'è l'industrializzazione, che cosa deve fare ogni fabbrica, che cos'è il loro dovere, come può aumentare o diminuire quel dovere, quello che sono gli interessi della classe operaia all'interno della fabbrica. In questa nuova fase che stiamo vivendo, nella fase di costruzione del socialismo, in cui si cancellano tutte le discriminazioni e rimane solo come unica e determinante dittatura la dittatura della classe operaia come classe organizzata sopra tutte le altre classi che sono state sconfitte; e la preparazione in un lungo cammino che sarà denso di molte lotte, di molte pene ancora, della società perfetta che sarà la società senza classi, la società dove saranno scomparse tutte le differenze, in questo momento non si può ammettere altro tipo di dittatura che non sia la dittatura del proletariato come classe».
Sul socialismo:
«Noi socialisti siamo più liberi perché siamo più integri; siamo più integri perché siamo più liberi. Non è solo lavoro la costruzione del socialismo, non è solo coscienza la costruzione del socialismo: è lavoro e coscienza, sviluppo della produzione, sviluppo dei beni materiali mediante il lavoro e sviluppo della coscienza. La costruzione del socialismo è basata sul lavoro delle masse, sulla capacità delle masse, perché si possa organizzare e dirigere meglio l'industria, l'agricoltura, tutta l'economia del paese; sulla capacità delle masse di superare di giorno in giorno le loro nozioni. sempre abbiamo definito il socialismo come la creazione dei beni materiali per l'uomo e lo sviluppo della coscienza; e in questo compito della creazione dei beni materiali è imprescindibile la cifra della produttività del lavoro. La tecnica è la base perché l'industria possa svilupparsi e l'industria, che fa la produzione, è la base del socialismo. Il socialismo è un fenomeno economico e anche un fenomeno di coscienza, ma deve realizzarsi sulla base della produzione. Senza una produzione importante non c'è socialismo. Perché il socialismo, adesso in questa fase di costruzione del socialismo e comunismo, non si è fatto semplicemente per avere le nostre fabbriche brillanti, si sta facendo per l'uomo integrale; l'uomo deve trasformarsi congiuntamente alla produzione che avanza e non svolgeremmo un compito idoneo se fossimo solo produttori di articoli, di materia prima e non fossimo insieme produttori di uomini. Il primo punto del piano inclinato, se pure è possibile chiamarlo piano inclinato, che porta al socialismo è la Riforma Agraria. Chi entra nella Riforma Agraria con un senso di recupero nazionale, con un senso onesto, un senso di giustizia sociale, va indefettibilmente […], in condizioni, naturalmente, stiamo parlando in condizioni di America coloniale, va indefettibilmente verso un'economia socialista... Vale a dire, noi ci troviamo in un'epoca in cui la giustizia non è bandita, non possiamo assolutamente bandirla, non possiamo dare a ciascuno secondo il suo bisogno. Stiamo costruendo il socialismo, dobbiamo dare alla gente secondo il suo lavoro... Il socialismo non è una società di beneficenza, non è un regime utopico basato sulla bontà dell'uomo come uomo. Il socialismo è un regime al quale si arriva storicamente e che ha come base la socializzazione dei beni fondamentali di produzione e l'equa distribuzione delle ricchezze della società, entro un ambito in cui vi sia produzione di tipo sociale. Il socialismo è un sistema sociale che si basa sull'equa distribuzione delle ricchezze della società, ma a condizione che tale società abbia ricchezze da spartire, che vi siano macchine per lavorare e che quelle macchine abbiano materie prime per produrre quanto è necessario per il consumo della nostra popolazione. E nella misura in cui aumentiamo quei prodotti per distribuirli fra tutta la popolazione andiamo avanzando nella costruzione del socialismo. Possiamo dire che la definizione del socialismo è molto semplice: si definisce dalla produttività che è data dalla meccanizzazione, dal giusto uso delle macchine al servizio della società e da un crescente aumento della produttività e della coscienza che sta nel mettere tutto quello che si possiede al servizio della società: produttività, vale a dire, maggiore produzione, maggiore coscienza: questo è socialismo. Bisogna pagare qualunque prezzo per il diritto di tenere sempre alta la nostra bandiera e il diritto di costruire il socialismo secondo il volere del nostro popolo! Non può esistere socialismo se nelle coscienze non si opera un mutamento che provochi un nuovo atteggiamento fraterno nei confronti dell'umanità, tanto di carattere individuale, la società in cui si costruisce o è costruito il socialismo, come di carattere mondiale in relazione a tutti i popoli che stiano subendo l'oppressione imperialista. Le verità del socialismo, più le crude verità dell'imperialismo, sono andate forgiando il nostro popolo, mostrandogli il cammino che dopo abbiamo intrapreso coscientemente. Non vi è altra definizione del socialismo, valida per noi, che l'abolizione dello sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo. Fintanto che ciò non avvenga, si sta nel periodo di costruzione della società socialista e, se invece di verificarsi un tale fenomeno, il compito della soppressione dello sfruttamento ristagna o addirittura si fanno dei passi indietro, non è giusto nemmeno parlare della costruzione del socialismo. Il socialismo si basa sulla fabbrica, il socialismo poggia su di una società sviluppata tecnicamente; non può esistere in condizioni feudali, in condizioni pastorali; si sviluppa sulla tecnica. E noi dobbiamo procedere lungo queste due vie dell'aumento della produzione e dell'approfondimento della coscienza. E vogliate perdonarmi se insisto una volta di più su queste cose, ma il fatto è che bisogna fissarsele bene nella mente per poter giungere ad acquisire la nuova categoria di paese socialista in cui si cancelli ormai totalmente lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo, in cui tutti i mezzi di produzione siano in potere dello Stato e dove si dia inizio al gran balzo, l'ultimo e definitivo balzo avvistato finora dall'umanità, che è quello della società comunista, società senza classi. già dobbiamo pensare - anche se è come un futuro lontano - al comunismo, che è la società perfetta, che è l'aspirazione basilare dei primi uomini che seppero vedere più in là del tempo presente e predire il destino dell'umanità. Nella società socialista o nella costruzione del socialismo il lavoratore lavora perché questo è il suo dovere sociale, perché deve compiere il suo dovere sociale. Questo dovere sociale consiste nel fare uno sforzo medio, conformemente alla sua qualifica e pertanto ricevere un salario individualizzato, conformemente a quella qualifica, in questa fase di costruzione, in questo periodo di transizione e, allo stesso tempo, tutti i benefici che la società gli concede».
Sulla gioventù, ed in particolar modo quella comunista:
«L'argilla fondamentale della nostra opera è la gioventù: in essa poggiamo la nostra speranza e la prepariamo a prendere dalle nostre mani la bandiera. La consegna del momento per tutta la nostra gioventù è di non arrestarsi un attimo nell'impegno culturale, andare sempre avanti, imparare sempre qualcosa di nuovo ed essere sempre disposta a dare questo nuovo che si è appreso a beneficio di tutti. Questo è uno dei compiti della gioventù, dare impulso, dirigere con l'esempio della produzione dell'uomo di domani e in quella produzione e nella direzione è compresa la produzione propria, perché nessuno è perfetto né molto meno di ciò, e tutti devono andar migliorando le proprie qualità mediante il lavoro, i rapporti umani, lo studio profondo, le discussioni critiche: tutto questo è ciò che va trasformando la gente. Il dovere di un giovane rivoluzionario in questa fase di costruzione del socialismo è quello di superarsi tutti i giorni; non far passare un solo giorno senza superare un poco le sue nozioni, senza che nella coscienza di ciascuno si aggiunga qualcosa, senza giungere alla fine della giornata con la soddisfazione di registrare i progressi che giorno dopo giorno si vanno facendo. Quelli che si trovano ancora nel periodo dell'adolescenza o che sono usciti da pochissimi anni dall'adolescenza, devono pensare che adesso bisogna maturare, perché per essere operai d'avanguardia, per essere degli attivisti, per essere dei rivoluzionari, quale che sia l'età che si abbia, si deve essere maturi, non confondere quello che la gioventù di tutto il mondo […] ha di allegro, di fresco, di spontaneo, con la superficialità. Sono due cose assolutamente distinte. Si può e si deve essere spontanei e allegri, ma si deve allo stesso tempo essere profondi. Qui allora si pone uno dei problemi più difficili da risolvere, quando lo si imposta come discussione teorica. Perché è semplicemente così che deve essere la gioventù comunista. L'Unione dei Giovani Comunisti deve definirsi con una sola parola: avanguardia; voi, compagni, dovete essere l'avanguardia di tutti i movimenti, i primi ad essere pronti per i sacrifici che la Rivoluzione richieda, quale che sia la natura di questi sacrifici; i primi nel lavoro, i primi nello studio, i primi nella difesa del paese l'essere un giovane comunista, l'appartenere all'Unione dei Giovani Comunisti non è una grazia che qualcuno vi fa, né una grazia che voi fate allo Stato o alla Rivoluzione; l'appartenere all'Unione dei Giovani Comunisti deve essere il più alto onore di un giovane della società nuova, deve essere l'onore per il quale lottare in ogni istante della vostra esistenza e inoltre l'onore di mantenersi e mantenere alto il nome individuale dentro il gran nome dell'Unione dei Giovani Comunisti, deve essere ugualmente un impegno costante. credo che la prima cosa che deve caratterizzare un Giovane Comunista è l'onore che sente di essere un Giovane Comunista, quell'onore che lo porta a mostrare davanti a tutti la sua condizione di Giovane Comunista, che riversa nella clandestinità, che non riduce a formule ma esprime in ogni momento, che gli esce dallo spirito, che ha interesse a dimostrare perché è il suo marchio d'orgoglio; insieme a ciò, un gran senso del dovere, un senso del dovere verso la nostra società che stiamo costruendo, verso i nostri simili come esseri umani e verso tutti gli uomini del mondo, questo deve caratterizzare il Giovane Comunista.
Il giovane comunista deve imporsi di essere il primo in ogni cosa, lottare per essere il primo, infastidirsi quando in qualcosa si occupa un altro spazio, e lottare per migliorare, per essere il primo, certo che non tutti possono essere i primi, ma fra i primi sì, nel gruppo d'avanguardia, ecco, essere un esempio vivo, essere lo specchio dove si specchiano i compagni che non appartengano alle gioventù comuniste.
Il giovane comunista non può essere limitato dalle frontiere d'un territorio, il giovane comunista deve praticare l'internazionalismo e sentirlo come cosa propria e ricordarsi, ricordarci noi giovani comunisti e aspiranti comunisti qui a Cuba, che siamo un esempio reale e palpabile per tutta la nostra America e, più ancora che per la nostra America, per tutti gli altri paesi del mondo che ugualmente combattono in altri continenti per la loro libertà. Dobbiamo essere degni di questo esempio. In ogni momento, in ogni occasione dobbiamo essere degni di questo esempio. Questo è ciò che noi pensiamo debba essere un giovane comunista. E se ci si dicesse che siamo quasi dei romantici, che siamo degli idealisti inveterati, che pensiamo cose impossibili e che non si può ottenere dalla massa di un popolo ciò che è quasi un archetipo umano, noi dovremmo rispondere una, mille volte che sì, sì che si può, che siamo nel vero, che tutto il popolo può avanzare, liquidare le piccolezze umane, come a Cuba si è andato facendo in questi quattro anni di Rivoluzione, perfezionarsi come noi ci perfezioniamo giorno per giorno, liquidando intransigentemente tutti coloro che restano indietro, che non sono capaci di marciare al ritmo in cui marcia la Rivoluzione cubana. Deve essere così, deve essere così e così sarà, compagni. Sarà così perché voi siete Giovani Comunisti, creatori della società perfetta, esseri umani destinati a vivere in un mondo nuovo dove tutto ciò che è vecchio, decrepito, tutto ciò che rappresenta la società le cui basi sono state appena distrutte, sarà definitivamente scomparso».
(dal Discorso al II anniversario della unificazione del movimento giovanile, 20 ottobre 1962)48
Sull'alienazione conseguente alla società capitalista:
«All'interno di questa, l'uomo è guidato da un ordinamento impersonale che, in genere, sfugge alla sua comprensione. L'essere umano, alienato, ha un cordone ombelicale invisibile che lo lega alla società nel suo insieme: la legge del valore. Essa agisce in tutti gli aspetti della sua vita, modellandogli la strada e il destino. Le leggi del capitalismo, cieche e invisibili per il senso comune della gente, agiscono sull'individuo senza che questi se ne accorga. Egli non vede altro che la vastità di un orizzonte che gli appare infinito. Così lo presenta la propaganda capitalistica che pretende di ricavare dal caso Rockefeller - vero o falso che sia - una lezione sulle possibilità di successo. La miseria che è necessario accumulare perché si realizzi un esempio del genere e la somma di iniquità che implica una fortuna di tali dimensioni non fanno parte del quadro, e non è sempre possibile per le forze popolari, avere sempre chiari simili concetti. (A questo punto sarebbe opportuna una disquisizione sul modo in cui gli operai dei paesi imperialisti vadano via via perdendo il proprio spirito internazionalista di classe, sotto l'influenza di una certa complicità nello sfruttamento dei paesi dipendenti e come questo fatto attenui, contemporaneamente, lo spirito di lotta delle masse nel proprio paese; ma questo è un tema che esula dalle finalità di queste note). Al massimo si mostra la strada con gli ostacoli che, apparentemente, un individuo dotato delle qualità necessarie potrebbe superare per giungere alla meta. Il premio si intravede in lontananza; il cammino è solitario. Si tratta, per giunta, di una corsa tra lupi; si può vincere solo grazie all'insuccesso degli altri. Tenterò ora di definire l'individuo, attore di questo straordinario e appassionante dramma che è la costruzione del socialismo, nella sua duplice entità di singolo e membro della società. Credo che la cosa più semplice sia nel riconoscere la sua qualità di essere non-fatto, di prodotto non-terminato. Le tare del passato si trasmettono al presente nella coscienza individuale e c'è bisogno di un lavoro continuo per sradicarle. Il processo è duplice: da un lato è la società che agisce con l'educazione diretta e indiretta; dall'altro è l'individuo che si sottopone ad un processo cosciente di autoeducazione. La nuova società in formazione deve lottare molto duramente con il passato. Ciò si avverte non solo nella coscienza individuale, su cui pesano i residui di un'educazione orientata sistematicamente all'isolamento dell'individuo, ma anche per il carattere stesso di questo periodo di transizione, con il permanere di rapporti di mercato. La merce è la cellula economica della società capitalistica; finché esisterà, i suoi effetti si ripercuoteranno sull'organizzazione della produzione e conseguentemente sulla coscienza». (da Il socialismo e l'uomo a Cuba, 1965)49
«Da molto tempo l’uomo tenta di liberarsi dall’alienazione mediante la cultura e l’arte. Muore ogni giorno durante le otto o più ore in cui è trattato da merce, per resuscitare poi nelle creazioni del suo spinto. Ma questo rimedio porta in sé i germi della stessa malattia: è un individuo solitario che cerca la comunione con la natura. Difende la propria individualità soffocata dall’ambiente e reagisce dinanzi alle idee estetiche come un essere isolato la cui unica aspirazione è quella di rimanere puro». (da Marcha, 12 marzo 1965)50
Sul ruolo dei monopoli e della necessità di lottare contro l'imperialismo:
«Tutti questi concetti di sovranità politica, di sovranità nazionale sono fittizi se non c’è, accanto a essi, l’indipendenza economica. La sovranità politica e l’indipendenza economica vanno di pari passo. Se non c’è economia propria, se si è dominati dal capitale straniero, non si può essere liberi dalla tutela del paese dal quale si dipende tanto meno si può fare la volontà del paese se questa urta contro i grandi interessi della nazione che lo domina economicamente. […] Soffocare la libertà di un paese con la pura e semplice violenza, è molto difficile ormai. Così come invadere un paese che reclama il diritto di esercitare la propria sovranità. E non è facile addormentare su questo punto la propria opinione pubblica né quella del mondo intero. Per ottenerlo è necessario un grande sforzo propagandistico che prepari il terreno per rendere meno odioso l’intervento. […] Questa aggressione potranno effettuarla sul terreno economico fin dove vorranno, ma noi dobbiamo suscitare nel paese una coscienza tale per cui se vorranno effettuarla materialmente, direttamente, coi soldati delle nazioni dei monopoli e coi mercenari degli altri paesi, dovranno pagare un prezzo così alto da riuscir loro insopportabile. […] Per conquistare qualcosa dobbiamo togliere qualcosa a qualcuno. Questo qualcosa che dobbiamo conquistare, cioè la sovranità della nazione, dobbiamo toglierlo a quel qualcuno che si chiama monopolio, anche se generalmente i monopoli non hanno patria, ma hanno una caratteristica comune: tutti i monopoli che hanno operato a Cuba hanno vincoli molto stretti con gli Stati Uniti. […] I capitali stranieri non si muovono per generosità, non si spostano per fare un nobile gesto di carità, non si muovono né si mobilitano per il desiderio di affratellare i popoli. Il capitale straniero si muove solo per il desiderio di aiutare se stesso. Il capitale privato straniero è l’eccedente in un paese che si trasferisce in un altro allo scopo di ottenne guadagni maggiori. Quello che muove il capitale d’investimento privato straniero non è la generosità, ma il guadagno». (conferenza televisiva, 20 marzo 1960)51
Sull'ideologia della rivoluzione cubana e sul rapporto con il marxismo:
«Qualcuno ha creduto di notare che questa singolare Rivoluzione non aderisce a una delle premesse fondamentali dell'ortodossia del movimento rivoluzionario, che Lenin ha così espresso: “Senza teoria rivoluzionaria non vi è movimento rivoluzionario”.
Si potrebbe dire che la teoria rivoluzionaria, come espressione di una verità sociale, è al di sopra di qualsiasi enunciato; vale a dire che si può fare la rivoluzione se si interpreta correttamente la realtà storica e se, altrettanto correttamente, si utilizzano le forze che vi intervengono, anche senza conoscere la teoria. È chiaro che una adeguata conoscenza della teoria semplifica il compito e impedisce di cadere in pericolosi errori: purché però la teoria corrisponda alla verità. Parlando concretamente di questa Rivoluzione, va sottolineato il fatto che i suoi principali protagonisti non erano proprio dei teorici, anche se non ignoravano i grandi fenomeni sociali e l'enunciazione delle leggi che li governano. Questo ha consentito, sulla base di alcune conoscenze teoriche e di una profonda conoscenza della realtà, la nascita graduale di una teoria rivoluzionaria. Ciò che fin qui è stato detto deve essere considerato come un'introduzione alla spiegazione di quello strano fenomeno che ancora desta la meraviglia di tutto il mondo: la Rivoluzione cubana. Come e perché un gruppo di uomini fatto a pezzi da un esercito enormemente superiore per tecnica ed equipaggiamento sia riuscito prima a sopravvivere, poi a rafforzarsi, poi ancora a diventare più forte del nemico nelle zone di battaglia e a spostarsi verso nuove zone di combattimento per sconfiggerlo finalmente in battaglie campali, malgrado la propria inferiorità numerica, è un fatto degno di studio nella storia del mondo contemporaneo. Naturalmente, noi che spesso mostriamo una scarsa preoccupazione per la teoria, non intendiamo oggi esporre, come se fossimo padroni, la verità della Rivoluzione cubana, ma semplicemente cerchiamo di gettare le basi indispensabili per la comprensione di questa verità. Di fatto, bisogna distinguere due fasi assolutamente diverse nella Rivoluzione cubana: quella dell'azione armata fino ai primi di gennaio del 1959; la trasformazione politica, economica e sociale da quel momento in poi. Queste due fasi andrebbero ulteriormente suddivise. Noi però non le considereremo dal punto di vista dell'esposizione storica, bensì da quello dell'evoluzione del pensiero rivoluzionario dei dirigenti attraverso il contatto col popolo. Incidentalmente, bisogna accennare qui a un atteggiamento generale di fronte a uno dei termini più controversi del mondo attuale: il marxismo. La nostra posizione, quando ci viene chiesto se siamo o no marxisti, è quella che adotterebbe un fisico o un biologo a cui si chiedesse se è “newtoniano” o “pasteuriano”. Esistono delle verità così evidenti, così legate alla conoscenza dei popoli, che è inutile discuterle. Si deve essere marxista con la stessa naturalezza con cui si è “newtoniano” in fisica o “pasteuriano” in biologia, considerando che se nuovi fatti determinano nuovi concetti, ciò non priverà mai della loro parte di verità quelli che sono stati superati. Questo è il caso, per esempio, della relatività “einsteniana” o della teoria dei “quanti” di Planck rispetto alle scoperte di Newton; esse non tolgono assolutamente niente alla grandezza dello scienziato inglese: è stato grazie a Newton se la fisica ha potuto progredire fino a raggiungere i nuovi concetti dello spazio. Lo scienziato inglese rappresenta il passaggio necessario per questo ulteriore sviluppo. A Marx, come pensatore, come studioso delle dottrine sociali e del sistema capitalista in cui si trovò a vivere, si possono evidentemente obiettare alcune inesattezze. Noi latino-americani possiamo, per esempio, non essere d'accordo con la sua interpretazione di Bolívar, o con l'analisi che lui ed Engels fecero dei messicani, dando per scontate certe teorie sulla razza o sulla nazionalità che sono oggi inammissibili. Ma i grandi uomini, scopritori di verità luminose, vivono malgrado le loro piccole pecche ed esse servono soltanto a dimostrarci che erano umani, cioè esseri che possono incorrere in errori, senza che questo ci tolga la chiara coscienza del livello raggiunto da quei giganti del pensiero. Ed è per questo che riconosciamo che le verità essenziali del marxismo fanno parte integrante dell'insieme culturale e scientifico dei popoli e le accettiamo con naturalezza, come qualcosa che non ha più bisogno di essere messo in discussione. I progressi nella scienza sociale e politica, come in altri campi, appartengono a un lungo processo storico i cui anelli si saldano, si sommano, si uniscono e si perfezionano costantemente. Originariamente, esisteva una matematica cinese, una araba, una indù; oggi la matematica non ha frontiere. Nella sua storia è possibile un Pitagora greco, un Galileo italiano, un Newton inglese, un Gauss tedesco, un Lobačevskij russo, un Einstein ecc. Così nel campo delle scienze sociali e politiche, da Democrito fino a Marx, una lunga serie di pensatori accumularono le proprie ricerche originali formando un corpo di esperienze e di dottrine. Il merito di Marx risiede nell'avere prodotto di colpo nella storia del pensiero sociale un cambiamento qualitativo. Non solo egli interpreta la storia, ne comprende la dinamica e ne prevede il futuro sviluppo ma, oltre a questo, che segnerebbe il limite del suo dovere scientifico, esprime un concetto rivoluzionario: non basta interpretare la natura bisogna trasformarla. L'uomo cessa di essere schiavo e strumento del mezzo e diventa l'architetto del proprio destino. Da questo momento, Marx comincia a trovarsi in una situazione tale da costituire il bersaglio obbligato di quanti hanno uno speciale interesse a conservare il vecchio, come prima era successo a Democrito, la cui opera fu bruciata da Platone e dai suoi discepoli, ideologi dell'aristocrazia schiavista ateniese. A partire da Marx rivoluzionario, si crea un gruppo politico con idee concrete che, appoggiandosi ai giganti Marx ed Engels e sviluppandosi attraverso tappe successive, con personalità come Lenin, Stalin, Mao Tse-tung e i nuovi governanti sovietici e cinesi, costituiscono un corpo di dottrina e, diciamo, un esempio da seguire. La Rivoluzione cubana ha inizio là dove Marx lascia la scienza per impugnare il fucile rivoluzionario, e non certo con l'intento di “rivedere” Marx, di opporsi a quanto è seguito a Marx, di rivivere Marx “puro”, ma semplicemente perché fino a quel punto Marx, lo studioso collocato fuori della storia, studiava e vaticinava. Dopo, Marx rivoluzionario pratico. Iniziando la nostra lotta, abbiamo realizzato semplicemente leggi previste dal Marx studioso e, per questa strada di ribellione, lottando contro le vecchie strutture del potere, appoggiandosi al popolo per distruggere queste strutture e avendo come base della nostra lotta la felicità del popolo, non facciamo altro che confermare le previsioni di Marx teorico. Vale a dire, conviene precisarlo ancora una volta, le leggi del marxismo sono presenti negli eventi della Rivoluzione cubana, indipendentemente dal fatto che i suoi leader professino o conoscano interamente, da un punto di vista teorico, queste leggi».52
Sul partito marxista-leninista:
«Il Manuale ci mostra con solare chiarezza che cosa è un partito marxista-leninista: “persone fuse da una comunanza di idee che si uniscono per dar vita alle concezioni marxiste, vale a dire, per portare a termine la missione storica della classe operaia”. Spiega inoltre che un partito non può vivere isolato dalle masse, ma deve mantenersi in permanente contatto con esse; deve esercitare la critica e l'autocritica ed essere molto severo riguardo ai propri errori; non deve fondarsi solamente su concetti negativi di lotta contro qualcosa, ma anche su concetti positivi di lotta per qualcosa; spiega infine come i partiti marxisti-leninisti non possano incrociare le braccia aspettando che le condizioni oggettive e soggettive createsi attraverso il complesso meccanismo della lotta di classe abbiano tutti i requisiti necessari perché il potere cada nelle mani del popolo come un frutto maturo. Viene indicato il ruolo dirigente e catalizzatore di questo partito, avanguardia della classe operaia, dirigente della “propria” classe, che sa mostrare ad essa il cammino della vittoria e accelerare il passo verso nuove situazioni sociali. Si insiste sul fatto che anche nei momenti di riflusso sociale è necessario saper retrocedere e mantenere saldi i quadri per sfruttare la prossima ondata e avanzare più lontano, verso il fine fondamentale del partito nella prima fase rivoluzionaria, ossia la presa del potere. Ed è logico che questo partito sia un partito di classe. Un partito marxista-leninista non potrebbe non esserlo: la sua missione è cercare la strada più breve per arrivare alla dittatura del proletariato, e i suoi militanti più preziosi, i suoi quadri dirigenti e la sua tattica, escono dal seno della classe operaia. È inconcepibile che si inizi la costruzione del socialismo con un partito della classe borghese, con un partito che avesse tra i suoi membri un buon numero di sfruttatori e questi avessero il compito di fissarne la linea politica. Evidentemente, un raggruppamento di questo tipo può solamente dirigere la lotta in una fase di liberazione nazionale, fino a certi livelli e in determinate circostanze. Nella fase successiva, la classe rivoluzionaria diventerebbe reazionaria e si instaurerebbero nuove condizioni che portano necessariamente alla ribalta il partito marxista-leninista come dirigente della lotta rivoluzionaria. E ormai, almeno in America, è praticamente impossibile parlare di movimenti di liberazione diretti dalla borghesia. La rivoluzione cubana ha polarizzato le forze; di fronte all'alternativa: popolo o imperialismo, le deboli borghesie nazionali scelgono l'imperialismo e tradiscono definitivamente il proprio paese. Sfuma, così, quasi completamente, la possibilità che in questa parte del mondo si verifichi un passaggio pacifico al socialismo.
Se il partito marxista-leninista è capace di prevedere le fasi storiche successive ed è capace di trasformarsi in bandiera e avanguardia di un popolo ancor prima di aver liquidato la fase della liberazione nazionale - nell'ipotesi dei paesi colonizzati - allora quel partito avrà compiuto una duplice missione storica e potrà affrontare i compiti della costruzione del socialismo con più forza, con più prestigio tra le masse. […] Il marxista deve essere il migliore, il più retto, il più completo degli esseri umani, ma sempre, al di sopra di tutto, un essere umano; un militante di un partito che vive e vibra a contatto con le masse; una guida che plasma in direttive concrete i desideri a volte oscuri delle masse; un lavoratore instancabile, che dà tutto al suo popolo, un lavoratore che con abnegazione pone al servizio della rivoluzione le sue ore di riposo, la sua tranquillità personale, la sua famiglia o la sua vita, ma che non si estrania mai dal calore del contatto umano. In campo internazionale il nostro partito avrà doveri importantissimi: siamo il primo paese socialista d'America, un esempio da seguire per altri paesi, un'esperienza viva per essere recepita dagli altri paesi fratelli, un'esperienza vivente e in continua evoluzione, che mostra alla comprensione pubblica tutti i suoi successi e i suoi errori. In questo modo il suo esempio è soprattutto un insegnamento e non aspira ad essere innalzato solamente di fronte a chi ha fatto professione di fede marxista-leninista, ma di fronte alle masse popolari d'America. […] Il partito del futuro sarà intimamente legato alle masse, e assorbirà da essa le grandi idee che poi si plasmeranno in direttive concrete; un partito che applicherà rigidamente la propria disciplina secondo le regole del centralismo democratico e, nello stesso tempo, un partito in cui esistano sempre la discussione, la critica e l'autocritica aperte, per migliorare continuamente il lavoro. Sarà in questa fase un partito di quadri, degli uomini migliori, e questi ultimi dovranno adempiere al loro compito dinamico di stare a contatto col popolo, di trasmettere le esperienze alle sfere superiori, di trasmettere alle masse le direttive concrete e mettersi in cammino alla testa di esse. Primi nello studio, primi nel lavoro, primi nell'entusiasmo rivoluzionario, primi nel sacrificio; in ogni momento i quadri del nostro partito debbono essere più buoni, più puri, più umani di tutti gli altri. […] Dobbiamo esser degni del ruolo che abbiamo, dobbiamo lavorare ogni giorno pensando alla nostra America, e rafforzare sempre più le basi del nostro stato, la sua organizzazione economica e il suo sviluppo politico, per potere, attraverso i nostri progressi, convincere sempre di più i popoli d'America della possibilità pratica di iniziare il cammino dello sviluppo socialista nella attuale fase dei rapporti di forze intenzionali. Tutto ciò, senza scordarci che la nostra capacità emotiva di fronte agli abusi degli aggressori e alle sofferenze dei popoli non può limitarsi ai confini della sola America, e neppure all'America e ai paesi socialisti messi insieme; dobbiamo praticare il vero internazionalismo proletario, sentire come un'offesa personale qualsiasi aggressione, qualsiasi offesa, qualsiasi azione che vada contro la dignità dell'uomo, contro la sua felicità in qualsiasi parte del mondo. Noi, militanti di un partito nuovo, in una nuova regione libera del mondo e in una condizione nuova, dobbiamo tenere sempre alta la stessa bandiera di dignità umana che alzò il nostro Martí, guida di molte generazioni, presente oggi con la sua freschezza di sempre nella realtà di Cuba: “ogni uomo vero deve sentire sulla propria guancia lo schiaffo dato sulla guancia di qualsiasi uomo”.»
(dalla Prefazione al libro El Partido marxista-leninista, La Havana, 1963)53
46. Salvo laddove non diversamente specificato tutte le citazioni che seguono fanno riferimento all'opera E. “Che” Guevara, Ideario, Newton Compton, Roma 1996, del quale abbiamo fatto chiaramente una selezione. Buona parte dei brani non riportati si trovano anche su Scribd.com.
47. Riportato da Luis Sepúlveda in L. Sepúlveda, I deliri sul Che del piccolo Alvarito Llosa, Il Manifesto-Antoniomoscato.altervista.org, 17 luglio 2005.
48. E. “Che” Guevara, Cosa dev'essere un giovane comunista, Discorso al II anniversario della unificazione del movimento giovanile, CCDP, 20 ottobre 1962.
49. E. “Che” Guevara, Il socialismo e l'uomo a Cuba, CCDP, 1965.
50. M. Colasanti, Ernesto “Che” Guevara, cit.
51. Ibidem.
52. E. “Che” Guevara, Note per lo studio dell'ideologia della Rivoluzione Cubana, CCDP, ottobre 1960.
53. E. “Che” Guevara, Il Partito Marxista-Leninista, cit.

cookie