19 Aprile 2024

3.1. IL DIBATTITO SUI SINDACATI

Approfondiamo la posizione di Trockij sul sindacato, contestualizzandola nelle problematiche del periodo in cui è stata presa, leggendo questo passo di Arvid Brodersen5:
«Le discussioni sulle condizioni delle industrie che si svolsero poco dopo la Rivoluzione, parvero attribuire ai sindacati un importante ruolo amministrativo nell'economia nazionale, ruolo che compare chiaramente anche nel Programma del 1919 (“L'apparato organizzativo dell'industria socializzata deve anzitutto basarsi sui sindacati”) e che ebbe ampia risonanza nei primi congressi dei sindacati. Non si trattava di pure chiacchiere, giacché nei primi due anni i sindacati svolsero effettivamente un ruolo attivo ed ebbero voce in capitolo negli affari economici. Ma quando l'economia tardò a risollevarsi, ed anzi la sua crisi si approfondì, i capi del partito, in specie Lenin e Trockij, cominciarono a pensare a nuovi mezzi per affrontare i problemi e salvare il regime. Ancora una volta, prima del raggiungimento di una decisione definitiva ci furono aspre lotte tra le due estreme, con Lenin nel mezzo che finì anche stavolta col risultare vittorioso. Ad una delle estremità era Trockij che premeva per una soluzione autoritaria […], cioè la militarizzazione dei sindacati, che significava la loro completa subordinazione allo Stato: “Il giovane Stato Socialista richiede che i sindacati siano non strumenti di lotta per ottenere migliori condizioni di lavoro... ma per organizzare la classe operaia ai fini della produzione, per educarla, disciplinarla... perché esercitino la loro autorità d'accordo con lo Stato al fine di inserire i lavoratori nel quadro del piano economico nazionale”.
All'estremo opposto era l'Opposizione Operaia, che reclamava il diritto dei sindacati a gestire l'economia in completa indipendenza dallo Stato e, fra i due Lenin, con la sua formula della “cinghia di trasmissione”, secondo la quale i sindacati, pur mantenendo almeno una parvenza di autonomia, avrebbero funzionato come trait d'union fra la massa dei lavoratori, consistente per la maggior parte di individui apartitici, e lo Stato-partito, svolgendo soprattutto un compito educativo, come “scuola di comunismo”. Lenin saggiamente evitò il linguaggio autoritario, ricorrendo più a mezzi di persuasione che di comando o d'obbligo; eppure, dietro le parole velate non vi poteva esser dubbio su chi realmente avrebbe esercitato il potere: “Il Partito Comunista Russo... incondizionatamente guida come prima, ideologicamente, i sindacati”. Se le unioni dovevano educare le masse, bisognava che sapessero esattamente che cosa dovevano insegnare, e una parte importante del corso di lezioni non era niente affatto di carattere ideologico, ma intesa a inculcare la disciplina del lavoro, e cioè gli usi e costumi tipici della moderna industria, sia essa gestita con criteri “socialisti” o con criteri “capitalistici”. Nell'anno 1921, l'introduzione della Nuova Politica Economica pose fine a gran parte delle discussioni. La tendenza verso la socializzazione della industria fu temporaneamente arrestata, e i sindacati non soltanto furono destituiti dalle precedenti funzioni di dirigenza ma disciplinati e purgati dal Partito quando osarono resistere. Il loro nuovo compito era di proteggere i lavoratori contro i nemici di classe, i capitalisti, ai quali, sotto la NEP, era permessa una relativa libertà di azione conforme alla economia di mercato. Dovevano pertanto difendere gli interessi dei prestatori di opera, senza per altro interferire in alcun modo nella gestione dell'azienda. Privati delle loro funzioni economiche e della maggior parte delle ambizioni politiche, i sindacati divennero nei sette anni seguenti un sostegno per la politica economica del governo. Tomskij, il presidente del Comitato Centrale delle Organizzazioni Operaie, defenestrato nel 1921, fu reintegrato nella carica l'anno seguente, ma parve da allora un uomo “completamente cambiato”. Soltanto nel 1928, rinacque una opposizione dei lavoratori, con Tomskij alla testa, contro la nuova politica di Stalin, che fu questa volta definitivamente sconfitta».
5. A. Brodersen, L'operaio sovietico, cit., pp. 49-51.

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