27 Aprile 2024

04. IL MODELLO ALTERNATIVO DELLA LOTTA ANTICOLONIALE DI GANDHI

«La razza bianca in Sudafrica dovrebbe essere la razza predominante». (Gandhi, 1903)

«I lati oscuri di Gandhi qui evidenziati persistono nella società indiana di oggi - il forte razzismo, il comune disprezzo per il corpo femminile, la miopia sulle condizioni dei Dalit. Non è una coincidenza che questi aspetti della retorica di Gandhi siano stati eliminati dalla sua eredità. Ma la definizione “l'indiano più grande di tutti i tempi” è un fardello colossale per chiunque - soprattutto perché in India vive più di un miliardo di persone. E allora è più facile idolatrare un uomo che non è mai esistito per davvero». (Mayukh Sen)19
L'India costituisce il più grande esempio anticolonialista alternativo alle lotte scaturite dalla Rivoluzione d'Ottobre. È noto infatti che l'India raggiunga l'indipendenza nel 1947 grazie all'azione del Partito del Congresso Nazionale Indiano guidato da Gandhi, diventato così uno dei leader anticoloniali più popolari e influenti del mondo, entrando di diritto anche nella stessa cultura occidentale per il suo proclamato modello di lotta non-violenta. In realtà anche tale modello non ha smentito le teorie e le pratiche di emancipazione di tipo marxista. Il perché lo ha spiegato molto bene Domenico Losurdo nel volume La non-violenza. Una storia fuori dal mito20 di cui proponiamo qui gli estratti di una recensione di Maurizio Brignoli21, riguardanti per l'appunto il modello gandhiano e i suoi grossi limiti:
«Nonostante Gandhi si faccia sostenitore della dottrina dell’ahimsa (la non-violenza da praticare verso ogni essere senziente), di fronte ai conflitti del tempo le sue posizioni non risultano altrettanto coerenti: è favorevole alla presenza di soldati indiani nella repressione della rivolta dei Boxer in Cina, partecipa come volontario, sia pure come trasportatore di feriti inglesi, al conflitto anglo-boero, appoggia la repressione di inglesi e boeri della rivolta zulù e allo scoppio del primo conflitto mondiale si impegna nel reclutamento di volontari per l'esercito inglese, tutto ciò al fine di ottenere la benevolenza degli inglesi per migliorare la condizione degli indiani. Nel 1894, protestando contro la privazione dei diritti politici per gli indiani in Sudafrica, Gandhi non mette in discussione la piramide razziale, ma protesta contro il basso rango assegnato agli indiani che pure appartengono al ceppo indo-ariano. Se non si ricorre alla violenza contro il governo inglese, questa è utile come strumento di persuasione nella lotta a fianco degli inglesi e l'appartenenza indiana al ceppo ariano va dimostrata sui campi di battaglia. Gli inglesi non fanno però concessioni; a questo punto l’Inghilterra diventa l'incarnazione del materialismo violento della modernità occidentale e nel 1909 per la prima volta Gandhi rivendica l'autogoverno dell'India. L'India rappresenta, in base al principio della non-violenza, una civiltà superiore, ma così siamo lontani da una concezione universalistica e la non-violenza rimane espressione di un nazionalismo religioso. Appartenendo all'Occidente, il ricorso alla violenza caratterizza secondo Gandhi il movimento socialista, ma, in contrapposizione al primo Gandhi, è nel movimento socialista che la guerra è vista come manifestazione di barbarie. In Gandhi vi è una condanna della civiltà occidentale che però non fa nessuna distinzione fra il militarismo e il movimento che lotta contro l'espansione imperialistica. Non essendo quindi la posizione assunta nei confronti dell'uso della violenza il discrimine fra il “partito di Lenin” e il “partito di Gandhi”, bisogna individuare questo discrimine nella dicotomia cooptazione (che non mette in discussione la piramide razziale) - emancipazione. Il passaggio di Gandhi ad una lotta per un'emancipazione generale è determinato da due avvenimenti: la rivoluzione bolscevica che incita alla lotta anche i popoli di colore e l'esperienza diretta del popolo indiano che, appena finita la guerra, anziché ottenere il riconoscimento desiderato deve subire il massacro di Amristar nel 1919. L'India ora si considera parte integrante delle razze di colore. Superata la ricerca della cooptazione in nome della comune origine ariana il partito di Gandhi si ritrova, oltre al partito di Lenin, a dirigere la rivoluzione anticoloniale. Si deve mostrare come il potere coloniale e il movimento per l'indipendenza incarnino i due principi contrapposti della violenza e della non-violenza. La non-violenza serve a produrre indignazione morale e, secondo Losurdo, prima di Gandhi nessun altro è stato in grado di comprendere così bene il ruolo che questa può svolgere in un conflitto politico. I due partiti si differenziano però notevolmente nella costruzione dell'identità rivoluzionaria: la celebrazione dell’ahimsa fa sì che Gandhi rivendichi l'indipendenza dell'India poiché questa incarna una civiltà moralmente superiore, in Lenin invece la celebrazione della riscossa dei popoli coloniali procede con la celebrazione dello sviluppo europeo e democratico che in questo momento è incarnato dalla lotta contro l'imperialismo. Mentre nel corso della seconda guerra mondiale il partito di Lenin comprende che i paesi fascisti rappresentano la violenza imperialistica al massimo grado, e quindi il nemico prioritario, Gandhi equipara il governo di Hitler a quello di Churchill; qui agisce una sostanziale incomprensione del fenomeno fascista e l'incapacità di distinguere tra le diverse forme di violenza: “la condanna di principio della violenza rischia di essere in Gandhi la notte in cui tutte le vacche sono nere”. […] Gandhi definisce il suo ideale in primo luogo in opposizione all'imperialismo, mentre oggi l'ideologia dominante dell'Occidente liberale punta a porre Gandhi in contrapposizione ai movimenti rivoluzionari dei popoli coloniali».
In realtà anche nella lotta indiana è stata presente e radicata una parte marxista e comunista che ha mantenuto un suo peso per tutto il periodo della guerra fredda e che prosegue tuttora. Lo ricorda anche Hobsbawm22: «la tradizione di sinistra, profondamente radicata, degli indù del Bengala occidentale, come pure una amministrazione efficiente, conservarono al governo quasi permanentemente il Partito comunista (marxista) nello stato in cui la lotta nazionale contro gli inglesi non si era identificata con la figura di Gandhi e neppure con quella di Nehru, ma con i terroristi e con Subhas Bose».
19. M. Sen, Forse anche Gandhi non era questo gran santo, Vice (web), 7 dicembre 2015.
20. D. Losurdo, La non-violenza, cit.
21. M. Brignoli, Recensione di Losurdo, Domenico, La non-violenza. Una storia fuori dal mito, Recensione Filosofiche, n° 57, febbraio 2011.
22. E. Hobsbawm, Il secolo breve, cit., p. 434.

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