19 Aprile 2024

5. IL “MARXISMO FEMMINISTA” DI ALEKSANDRA KOLLONTAJ

«Ma qualcuno dirà: perché separare la lotta delle donne? Perché esiste un giorno della donna, con speciali volantini per le lavoratrici, incontri e conferenze? Non è questa, in ultima analisi, una concessione alle femministe e alle suffragette borghesi? Solo coloro che non comprendono la differenza radicale tra il movimento delle donne socialiste e le suffragette possono pensarla così. Qual è lo scopo delle femministe? Ottenere nella società capitalista gli stessi vantaggi, lo stesso potere, gli stessi diritti che possiedono adesso i loro mariti, padri e fratelli. Qual è l'obiettivo delle operaie socialiste? Abolire tutti i tipi di diritti che derivano dalla nascita o dalla ricchezza. Per la donna operaia è indifferente se il suo padrone è un uomo o una donna. Le femministe borghesi domandano l'uguaglianza dei diritti sempre e in ogni luogo. Le lavoratrici rispondono: rivendichiamo gli stessi diritti per tutti i cittadini, uomini e donne, ma noi non siamo soltanto donne e lavoratrici, siamo anche madri. E come madri, come donne che un giorno avremo un figlio, chiediamo una speciale cura per noi stesse e per i nostri figli da parte del governo, una speciale protezione dallo stato e dalla società. Le femministe si battono per conquistare i diritti politici. Anche qui i nostri cammini si separano: per le donne borghesi, i diritti politici sono un modo più comodo e più sicuro per raggiungere i propri obiettivi in questo mondo basato sullo sfruttamento dei lavoratori. Per le operaie i diritti politici sono un passo nel cammino aspro e difficile che conduce al desiderato regno del lavoro. Le strade delle lavoratrici e delle suffragette si sono separate da tempo. C'è una enorme differenza tra i loro obiettivi. C'è anche una enorme contraddizione tra gli interessi della lavoratrice e quelli della signora, della serva e della padrona...Non c'è e non può esserci alcun punto di contatto, convergenza o conciliazione. Perciò i lavoratori non devono temere che ci sia un giorno a parte per la donna, né speciali conferenze per le lavoratrici né una stampa particolare. Ogni speciale, distinta forma di lavoro tra le donne della classe lavoratrice è semplicemente un modo per aumentare la coscienza delle lavoratrici e avvicinarle alle fila di quelli che combattono per un futuro migliore. Il Giorno della donna e il lento, meticoloso lavoro condotto per elevare l'auto-coscienza della donna lavoratrice, stanno servendo la causa non della divisione, quanto dell'unione della classe operaia». (Aleksandra Kollontaj, da Il giorno della donna, 1913)41
«Ricordo quanto allegramente e a lungo egli rise quando lesse le parole di Martov: ci sono solo due comunisti in Russia: Lenin e la signora Kollontaj». (M. Gorkij)42
Aleksandra Michajlovna Demontovič, in prime nozze sposata Kollontaj, nasce a San Pietroburgo il 31 marzo 1872, da Mikhail Domontovič, generale dell'esercito zarista, e da Alexandra Masalin-Mravinskij, figlia di un ricco commerciante finlandese di legname. Sposatasi a 19 anni, a 26 anni abbandona il marito e si trasferisce a Zurigo per studiare. Qui aderisce al movimento socialdemocratico, rimanendo neutrale quando si verifica la scissione dello stesso tra menscevichi e bolscevichi nel 1903; in seguito (1906-1915) scelse la corrente (poi partito) dei menscevichi. Visse molti anni in esilio, dove fu attiva come scrittrice e oratrice in Germania, Belgio, Francia, Gran Bretagna, Scandinavia ed America: tra le sue opere si ricorda il romanzo Amore rosso. Nel 1915 divenne membro del Partito bolscevico. Dal 1908 al 1917 fece parte dell'emigrazione dei rivoluzionari. Tornata in Russia dopo la Rivoluzione di Febbraio, fu membro del Comitato Esecutivo del Soviet di Pietrogrado, lavorò tra i marinai della Flotta del Baltico e tra i soldati della guarnigione locale. Dopo essere stata anche arrestata nelle giornate del luglio, dall'agosto 1917 fu eletta come membro del Comitato Centrale del Partito (prima donna). Dopo la Rivoluzione d'Ottobre (per la quale è tra coloro che hanno votato a favore dell'insurrezione) venne nominata Commissario del popolo alla Salute, partecipando attivamente all'elaborazione del Codice del 1918. Fu la donna più illustre del governo bolscevico e nel 1919 fondò lo Zenotdel’ o “Reparto delle donne”. Questa organizzazione si impegnò a migliorare la qualità della vita delle donne in Unione Sovietica, promuovendo la lotta contro l'analfabetismo ed in favore dei diritti civili. In tal senso lo Zenotdel’ (che verrà poi chiuso nel 1930) diventò una vera e propria scuola di cittadine attraverso la quale, verso la fine degli anni '20, passarono circa 10 milioni di donne. Non a caso, dato che per tutti gli anni '20 la Kollontaj fu una delle organizzatrici del movimento femminile internazionale, non slegando mai però la questione del femminismo (che rimane per lei incoffessato, e anzi combattuto in sé) dalla questione della lotta di classe e del marxismo. La Kollontaj svolse però anche una decisa attività critica interna al Partito, arrivando a formare nel 1920-21 con il suo amico, Alexander Šljapnikov, una fazione conosciuta come “L'opposizione degli operai”, favorevole all'indipendenza dei sindacati e contraria alla NEP. Fu autrice di gran parte della legislazione sociale della repubblica sovietica. Nonostante vi fosse con la Kollontaj “un legame privilegiato”, Lenin (nel congresso del 1922) riuscì a sciogliere “L'opposizione degli operai”, cosa che spinse Alexandra Kollontaj a defilarsi dalle cariche principali della politica. Grazie alle sue conoscenze linguistiche, dal 1922, occupò vari incarichi diplomatici. diventando ambasciatrice (fu la prima donna al mondo a ricoprire quel ruolo ) dell'URSS in Norvegia, Messico e Svezia. Se la sua figura è al centro del dibattito sulla donna e la famiglia nel primo decennio del potere sovietico, negli anni successivi, fino alla morte (9 marzo 1952), avvenuta a Mosca (dove era tornata nel 1945), avrà poca influenza sulle vicende politiche interne sovietiche. Tra le sue opere più note ci sono Le basi sociali della questione femminile (1909), La famiglia e lo Stato comunista (1918), La nuova morale e la classe operaia (1918).43
In cosa consiste l'essenza del suo pensiero? Vediamo quanto ci dice Francoise Navailh44:

«seppure datata per alcuni aspetti, quella della Kollontaj rimane nel suo insieme un'opera moderna. […] Riprende da Marx ed Engels – l disgregazione della famiglia borghese, il rinnovamento della famiglia dopo la Rivoluzione; prende molto da Bebel – una certa unità delle donne nell'oppressione. Tenta però di andare oltre queste generalità. Consapevole che la Rivoluzione è soltanto un punto di partenza, ritiene che per garantire alla coppia un contenuto nuovo si debbano cambiare anche la mentalità e i costumi. Insiste, ad esempio, sulla volontà reificante degli uomini e sull'alienazione delle donne, le quali preferiscono un matrimonio purchessia alla solitudine e puntano tutto sull'amore. Kollontaj sviluppa così una pedagogia sentimentale: la pratica dell'“amore-gioco”, delicata amicizia erotica basata sul rispetto reciproco, deve eliminare la gelosia e l'istinto del possesso. Definisce la Donna Nuova (termine ricorrente in lei) in base all'energia e all'affermazione di sé: le sue caratteristiche sono un atteggiamento esigente nei confronti degli uomini, il rifiuto della dipendenza materiale e affettiva, la rivolta contro gli ostacoli socio-economici, la morale ipocrita e la “prigionia amorosa”. Autonoma e attiva, la donna conosce allora la “monogamia successiva”. In Spazio all'Eros alato, un articolo del 1923, la Kollontaj analizza l'amore e le sue molteplici sfaccettature: amicizia, passione, tenerezza materna, affinità spirituale, abitudine, ecc. L'“Eros senza ali”, l'attrazione puramente fisica, deve fare posto all'“Eros alato”, nel quale l'intesa dei corpi si combina con il sentimento del dovere verso la collettività, indispensabile nella fase transitoria di edificazione del socialismo. Nella società socialista sviluppata subentrerà quindi l'“Eros trasfigurato”, in cui l'unione sarà fondata su un'attrazione sessuale sana, libera e naturale. Perché la coppia possa svilupparsi, bisogna operare la “separazione tra la cucina e il matrimonio” e moltiplicare le mense, i nidi d'infanzia, gli ambulatori... Viene rivalutata infine la maternità, la quale “non è un problema privato, familiare, bensì un problema sociale”. In nome della comunità, la donna deve avere dei figli. La Kollontaj considera l'aborto un male temporaneo, in attesa che prevalga la coscienza delle lavoratrici. Condanna il rifiuto della maternità come una forma di egoismo piccolo-borghese. I figli tuttavia non sono collettivizzati; spetta ai genitori la scelta dell'educazione, al nido o in casa. Nondimeno, l'amore in generale – e il sesso – prevale sull'istinto materno in quanto valore spirituale.
Lo Stato dei lavoratori ha bisogno di una forma nuova di rapporti tra i sessi. L'affetto ristretto ed esclusivo della madre per suo figlio deve ampliarsi per abbracciare tutti i figli della grande famiglia proletaria. Al posto del matrimonio indissolubile, fondato sulla schiavitù della donna, si vedrà nascere la libera unione, forte dell'amore e del rispetto reciproco di due membri dello Stato del lavoro, uguali nei loro diritti e nei loro doveri. Al posto della famiglia individuale ed egoista, sorgerà la grande famiglia universale operaia, in cui tutti i lavoratori, uomini e donne, saranno prima di tutto fratelli e compagni”.
La Kollontaj invita la donna a difendere, imporre e interiorizzare l'idea del proprio valore. Certo, l'argomentazione della Kollontaj rientra nel marxismo classico con il suo primato dell'economia, ma la dirigente bolscevica si spinge oltre ed esige anche dei rapporti di qualità, premurosi e ludici. Ai suoi occhi l'etica è importante quanto la politica. È tra le prime – e prima ancora di Wilhelm Reich – a legare sessualità e lotta di classe».
Le idee della Kollontaj non saranno evidentemente realizzate in maniera integrale, e rimangono una pietra miliare che sarà di ispirazione per i movimenti femministi che sorgeranno in Occidente mezzo secolo dopo, entrando perfino nel senso comune per molti aspetti. Si è spesso imputato al bigottismo di Stalin la svolta controrivoluzionaria che portò la Kollontaj ad allontanarsi dalla politica attiva interna al Paese, oltre che al rifiuto di mettere in atto le sue concezioni più rivoluzionarie. In realtà

«nell'URSS degli anni '20 la Kollontaj ha uno scarso seguito. Per i suoi compagni, queste idee sono frivole e inopportune. La sua visione presuppone infatti un'infrastruttura sociale ed economica la quale, benché promessa, non si è ancora realizzata. La Kollontaj viene duramente attaccata nel 1923 in un articolo della bolscevica P. Vinogradskaja, sua collaboratrice nel 1920 al Zenotdel’. Quest'ultima le rimprovera di sovvertire le priorità, di trascurare la lotta di classe e di incoraggiare in modo irresponsabile l'anarchia sessuale, là dove il disordine nella vita privata genera l'agitazione controrivoluzionaria. Bisogna invece occuparsi anzitutto del presente, difendere le mogli e i figli, promuovere le donne anziché attaccare gli uomini. Su questo problema Marx ed Engels hanno già detto: inutile fare del “georgesandismo”. Lenin, dal canto suo, lega tutto all'economia e sceglie il matrimonio monogamico, egualitario e serio, devoto alla causa […]. I suoi colloqui con Klara Zetkin, avvenuti nel 1920 ma resi pubblici nel 1925, dopo la sua morte, riflettono bene il suo rifiuto del disordine amoroso e sessuale, nel quale Lenin scorge un segno di decadenza e un rischio per la salute dei giovani, quindi una minaccia per la Rivoluzione».
Nonostante tutto Lenin omaggiò sempre la Kollontaj, non polemizzò mai pubblicamente con lei, e non rinunciò, come abbiamo visto, a denunciare la schiavitù del focolare subita dalle donne. Vedremo più avanti come evolverà la condizione delle donne nell'epoca staliniana, ma possiamo fin da subito anticipare che se le idee della Kollontaj mantengono un'attualità e una vivacità intellettuale tuttora, occorre segnalare che le ragioni della non-applicazione dei loro aspetti più radicali, sono dovute principalmente al fatto che erano troppo avanzate per la mentalità arcaica del tempo, sia (soprattutto) nella società sovietica, già sconquassata abbastanza dallo storico cambio di regime socio-economico, sia (per varie ragioni, prime tra tutte quelle riguardanti un realismo politico contingente) all'interno del Partito, che in questo come per altre questioni, risponderà alla crisi e all'assedio internazionale continuo con uno “stato di eccezione” che mise temporaneamente da parte alcuni degli aspetti più utopistici e/o rivoluzionari delle riforme femminili, avendo sempre come obiettivo primario la salvaguardia della regime rivoluzionario messo a rischio da svariati fattori. Saranno spesso gli stessi sovietici (e sovietiche) a chiedere a gran voce controriforme sugli aspetti più radicali.
41. A. Kollontaj, Il giorno della donna, cit.
42. A. Kollontaj (a cura di I. Fetscher), Autobiografia, Feltrinelli, Milano 1975, p. 68.
43. Fonti usate: Autore ignoto, Aleksandra Kollontaj, una femminista nel cuore del Soviet, L'Ernesto, pubblicato su http://www.marx21.it/index.php/rivista/20823-aleksandra-kollontaj-una-femminista-nel-cuore-del-soviet in data 1 gennaio 2009; A. V. Tiskov, Dzerzinskij, cit., p. 566; F. Navailh, Il modello sovietico, cit., pp. 274-275; inoltre si è consultato http://www.1917.org/Biografie_Kollontaj.html.
44. F. Navailh, Il modello sovietico, cit., pp. 274-279.

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