24 Aprile 2024

8.1. IN AFRICA È COOPERAZIONE O NEOCOLONIALISMO?

Una delle maggiori contestazioni fatte oggi in Occidente alla Cina, anche in ambienti “di sinistra”, è l'accusa di svolgere un ruolo neocolonialista in Africa.
Offriamo due articoli di spunto sull'argomento. Di seguito il primo56:
«Il 25 marzo 2013 è iniziata la serie di visite ufficiali in Africa del nuovo Presidente cinese Xi Jinping […]. Gli Stati che hanno ospitato il Capo di Stato cinese sono la Tanzania, il Sudafrica e il Congo Brazzaville. Durante la visita a Dar es Salaam, Xi ha sottolineato le ottime relazioni tra Cina e Tanzania, primo partner commerciale del paese africano. Nonostante gli scambi si focalizzino per la maggior parte sul settore agricolo, i due leader hanno confermato la volontà di estendere la cooperazione anche per quanto riguarda le infrastrutture, il miglioramento della qualità della vita e l’energia. Inoltre, il neoeletto Presidente, ha aggiunto e ribadito durante tutte le tappe del tour africano l’impegno cinese nella cooperazione tra paesi in Via di Sviluppo, rifiutando le accuse di neocolonialismo e ponendosi allo stesso livello dei paesi africani. […]
L’interscambio commerciale tra Cina e Africa ha raggiunto 200 milioni di dollari nel 2012 e la recente visita conferma che Pechino continua a voler rafforzare i suoi rapporti con il continente africano, ed è per questo che è stata firmata una linea di credito che impegnerà la Cina a finanziare i paesi africani per una cifra pari a 20 miliardi di dollari in due anni. La presenza cinese in Africa è relativamente una novità per il mondo occidentale e per gli stessi africani. Dopo secoli di dominio occidentale, la Cina si è inserita nel continente in maniera differente rispetto ai suoi predecessori: non avendo mai avuto a che fare con il colonialismo in tali territori, la Cina ha impostato il rapporto con i paesi africani ponendosi sullo stesso piano ed eliminando quindi il classico approccio occidentale caratterizzato dalla visione dell’Occidente quale parte industrializzata, civilizzata e superiore che porta nuovo valori, nuove conoscenze, cibo e cure mediche ai paesi del Terzo Mondo. Il rapporto cinese si basa sulla collaborazione e, a differenza dei paesi occidentali, richiede ben pochi requisiti per stringere dei legami. Come è noto, anche se nella prassi non è mai stato così, ufficialmente l’Occidente ha sempre richiesto di rispondere a determinati requisiti, quali democrazia, il rispetto dei diritti umani e così via, per poter collaborare. L’unica cosa che, invece, la Cina ha richiesto è stato il non-riconoscimento dello stato di Taiwan, seguendo il “principio di una sola Cina”. Da alcuni anni la Cina ha superato gli Stati Uniti come principale partner commerciale dell’Africa (le esportazioni dell’Africa subsahariana verso la Cina hanno raggiunto nel 2005 la somma di 19 miliardi di dollari, mentre solo cinque anni prima si attestavano a 5 miliardi), ma è senz’altro vero che iniziano a manifestarsi segnali di insofferenza da parte degli africani nei confronti di un rapporto economico con Pechino troppo sbilanciato. Il paese è accusato di affossare l’economia africana praticando prezzi troppo bassi sugli articoli messi in vendita e di usare solo manodopera cinese nella costruzione di infrastrutture. Nonostante la Cina vanti un nuovo approccio verso i paesi africani, i rapporti restano ancorati ad uno schema caratterizzato da esportazioni africane composte quasi esclusivamente da materie prime e da importazioni di manufatti cinesi di basso costo. Oltre allo sfruttamento energetico e di materie prime, Pechino ha fortemente aumentato l’aiuto che fornisce in diverse forme, come assistenza tecnica, basata sulla formazione in istituzioni cinesi, doni, prestiti senza interesse e prestiti a condizioni preferenziali che comportano un abbuono d’interesse e riduzioni del debito, nonché cooperazione su operazioni di peace-keeping e attività antipirateria. Questa crescente cooperazione ha fatto sì che nel 2000 nascesse la FOCAC (Forum on China-Africa Cooperation), un forum ufficiale che si tiene ogni tre anni alternando Cina e Africa. L’ultimo si è tenuto ad agosto 2012 a Pechino. Quindi, se è pur vero che Pechino sfrutta le ingenti risorse minerarie africane, non si può dimenticare il suo importante aiuto alla cooperazione, in un continente in cui nuovi servizi e infrastrutture non sono mai abbastanza per soddisfare i bisogni delle numerose popolazioni. Resta solo un quesito: si tratta di neocolonialismo o cooperazione? Quanto è labile il confine tra le due?»
Il secondo57:
«Oggi la Cina è il primo investitore e partner commerciale dell'Africa e due terzi degli eserciti africani sono equipaggiati dai cinesi. La Nuova Via della Seta sta portando le multinazionali di Stato alla conquista del continente, attraverso un piano di sviluppo di oltre $60 miliardi di investimenti infrastrutturali, delocalizzazione di produzione e manodopera, sfruttamento di risorse naturali e prestiti agevolati per i governi che godono del “beneficio diplomatico”. Nonostante il “piano di crescita pacifica” di Pechino non preveda l'interferenza politica, i critici non considerano questa pretesa verosimile. Infatti, l'impatto socio-economico in Africa sta già mostrando forti ripercussioni geopolitiche nell'ascesa della Cina a leader globale. Si parla sempre più spesso di neocolonialismo e di un Made in Africa pronto a emergere come il nuovo Made in China, la futura fabbrica del mondo. Eppure, sotto l'armatura del conquistatore c'è una parte umana della Cina in Africa che pochi conoscono. Delle oltre 500 mila Organizzazione non governative (Ong) in Cina, solo un centinaio operano in Africa. Queste poche realtà sono però riuscite a connettere innovatori, imprenditori, artisti e volontari per portare lo sviluppo sociale laddove i piani economici non arrivano. Nel 2011, attraverso la China Youth Development Foundation, imprenditori e filantropi cinesi hanno finanziato in Kenya, Burundi e Rwanda il “China-Africa Hope Project” per la costruzione di mille scuole primarie. La China Foundation for Poverty Alleviation ha investito $9,7 milioni nella costruzione di 13 ospedali in Sudan e nella formazione del personale medico. Progetti che vorrebbe replicare in Ciad, Kenya ed Etiopia. Da anni, China House si impegna invece per favorire l'integrazione sociale e culturale, portando avanti di recente importanti iniziative contro il commercio d'avorio, che anche la Cina vieterà entro la fine del 2017. Altre Ong sono attive nel miglioramento della qualità di vita e nella formazione di migranti e lavoratori, nella prevenzione dell'Hiv così come nella mitigazione degli effetti del cambiamento climatico. Vi sono poi organizzazioni come la Chinese-African People's Friendship Association o la China Association for NGO Co-operation che assistono a livello organizzativo le Ong africane fornendo strutture, facendo formazione e promuovendo la cooperazione interculturale. Iniziative ritenute fondamentali anche per lo sviluppo della responsabilità sociale d'impresa nel continente. Sono numerosi inoltre gli esempi di artisti indipendenti che attraverso le loro opere, lavorano per umanizzare le relazioni tra cinesi e africani. Tuttavia, a differenza delle Ong occidentali, le organizzazioni cinesi hanno di fronte una doppia sfida. Esse, infatti, non si scontrano solo con le criticità del paese in cui operano, ma principalmente con gli ostacoli posti dal loro stesso governo. Più che delle Ong sono infatti delle Gongo (Government-Organized NGO), ovvero delle Ong autorizzate dal governo. I fondi di queste organizzazioni in Africa non sono sufficienti per gli obiettivi preposti dagli stessi piani di sviluppo e, nell'ultimo anno, Pechino ha stretto la morsa intorno a loro. Allo stesso modo ha intensificato le persecuzioni contro gli attivisti per i diritti umani, come per l'arresto dei membri della Chinese Urgent Action Working Group, un gruppo di avvocati sino-svedesi impegnati nel fornire assistenza legale gratuita ai bisognosi e nel denunciare l'inefficienza e la corruzione delle autorità. È chiaro dunque come la doppia sfida delle Ong cinesi in Africa non sia solo una questione africana, ma anche un’occasione di sviluppo e tutela delle società civili in Cina e in Europa. Questo perché pur essendo sottoposte alle direttive del governo, tali organizzazioni operano con un piede dentro e uno fuori dal sistema-Cina, in giurisdizioni straniere con maggiore libertà di movimento e influenza esterna. Situazioni che hanno mostrato un potenziale di emancipazione civile significativo per entrambi i paesi e, di conseguenza, anche per il resto del mondo».
56. F. Congiu, Cina e Africa: cooperazione o neocolonialismo?, Cronacheinternazionali.com, 20 aprile 2013.
57. G. L. Atzori, L'inaspettato volto umano della Cina che sta “colonizzando” l'Africa, Agi.it, 2 maggio 2017.

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