25 Aprile 2024

1.1. L'IRRAZIONALITÀ DEI RAPPORTI DI PRODUZIONE CAPITALISTICI

Tra le maggiori contraddizioni che i marxisti adducono al capitalismo vi è quella di essere un sistema totalmente irrazionale dal punto di vista produttivo, in quanto foriero di enormi sprechi di risorse, ammissibili solo sfruttando in maniera intensiva le risorse naturali presenti sul pianeta, senza considerare che molte di esse hanno una durata ed una disponibilità limitata. Il tutto con la mera logica non del benessere sociale ma unicamente del profitto individuale. L'ABC del Comunismo parla espressamente di «anarchia produttiva», in considerazione della totale assenza di regole che caratterizza il libero mercato capitalistico:
«Ogni imprenditore capitalista (od ogni associazione capitalistica) produce merci indipendentemente dall'altro. Non è che la società stabilisca quanto e che cosa ad essa occorre, ma gli industriali fanno semplicemente produrre col miraggio di un maggiore profitto ed al fine di battere la concorrenza. Perciò avviene talvolta che vengono prodotte troppe merci (si tratta naturalmente dell'anteguerra) che non possono venir vendute (gli operai non possono acquistare non avendo sufficiente denaro). In questi casi subentra una crisi: si chiudono le fabbriche, gli operai vengono messi sul lastrico. L'anarchia della produzione ha per conseguenza la lotta per il mercato. Ognuno tende a portare via la clientela all'altro, a conquistare il mercato. Questa lotta assume varie forme, vari aspetti; essa comincia con la concorrenza fra due fabbricanti e finisce con una guerra mondiale fra gli Stati capitalistici per la ripartizione dei mercati in tutto il mondo. Qui abbiamo, anziché un combaciare degli organi della società capitalistica, il loro cozzo diretto. La prima ragione del caos capitalistico sta quindi nell'anarchia della produzione, che trova la sua manifestazione nella crisi, nella concorrenza e nella guerra».
Dall’analisi marxista del modo di produzione capitalistico abbiamo capito che l’unico fine della produzione capitalista non è certo il soddisfacimento di bisogni umani, ma è l’accumulazione sempre maggiore di capitale, cioè la produzione di plusvalore e la sua realizzazione mediante la vendita. Se la vendita non avviene, non si realizza il profitto e si perde capitale. Per conservare l’equilibrio economico l’insieme del potere d’acquisto esistente deve servire a comprare l’insieme delle merci prodotte. Questo equilibrio però è destinato a rompersi a causa della scissione tra il carattere sociale (utile) del lavoro dal carattere anarchico (non pianificato) della produzione capitalistica e da una distribuzione ineguale della ricchezza. Nel modo di produzione capitalistico si tende alla produzione illimitata e si considerano tutte le persone come potenziali clienti. Il paradossale sogno di ogni capitalista è che i suoi concorrenti aumentino i salari degli operai (che rappresentano potere d’acquisto) mentre lui abbassa i salari dei suoi per aumentare il profitto. La tendenza all’aumento della produttività è quindi in contraddizione con la limitata capacità di assorbimento delle merci prodotte da parte del mercato. La contraddizione capitalista tra la socializzazione della produzione e l’appropriazione privata esplode gravemente nelle crisi economiche. Le crisi del capitalismo sono diverse da quelle dei sistemi che lo precedono. Prima la causa della crisi era la mancanza di beni, mentre nel capitalismo ci troviamo di fronte a crisi di sovrapproduzione. In pratica vengono prodotte più merci di quelle che il mercato riesce ad assorbire (non quindi più di quelle necessarie alla soddisfazione dei bisogni, ma alla capacità di spesa dei salariati). Le crisi del capitalismo non sono di scarsità, ma di sovrapproduzione. Si tratta di crisi di realizzo. La sovrapproduzione di capitale (che si presenta anche nella forma di sovrapproduzione di merci) è la condizione in cui il capitale investito produce una massa di plusvalore uguale o inferiore a quella prodotta prima che il capitale addizionale fosse investito. «Le crisi di sovrapproduzione sono la più evidente manifestazione della contraddizione di fondo del modo di produzione capitalistico».
Nella sua fase di maturità il capitalismo porta al massimo livello le proprie contraddizioni, generando una concentrazione di capitali in poche mani e aumentando la polarizzazione sociale (pochissimi possiedono moltissimo e molti possiedono poco o nulla). Il capitalismo tende anche alla formazione di un mercato mondiale. Notiamo infatti che gli investimenti all’estero non derivano dall’impossibilità di investire nel proprio paese, ma dalla possibilità di investire altrove, dove il saggio di profitto è più alto. Marx aveva individuato lo sviluppo delle forze produttive quale elemento progressivo del modo di produzione capitalistico (grazie all’inserimento della scienza nella produzione). Ma nel capitalismo lo sviluppo della produttività non serve alla liberazione di tempo vitale dal lavoro, bensì solo ad aumentare il saggio di sfruttamento della forza-lavoro. Se quindi lo sviluppo delle forze produttive è stato un elemento progressivo nella prima fase del capitalismo, quando questo modo di produzione giunge alla maturità, le sue contraddizioni (e le crisi da esse generate) impediscono l’ulteriore sviluppo delle forze produttive, mostrando in maniera evidente il limite storico del capitalismo. L’analisi di Marx dimostra quindi il carattere storico e transitorio del capitalismo e la necessità di superare questo modo di produzione verso la struttura economico-sociale del comunismo, in cui anziché essere la mano invisibile del mercato a determinare le scelte economiche, sono gli uomini a stabilire cosa e come produrre e come ripartire i beni prodotti. La società socialista è quindi chiamata sul piano teorico a risolvere innanzitutto la contraddizione prima del capitalismo; deve cioè riuscire a razionalizzare la produzione, attraverso il contemporaneo ribaltamento dei rapporti di produzione, in cui a divenire classe dominante non è più cioè la borghesia ma il proletariato.2
2. Ibidem.

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