24 Aprile 2024

7.1. SULL'ATTUALE FEMMINISMO E SULLA SITUAZIONE FEMMINILE DOPO L'URSS

«La critica formulata dalla Kollontaj alla politica, che affronta la questione femminile senza mettere in crisi l’intero sistema economico e sociale rimane tuttora valida. Le politiche di genere, come qualsiasi altra politica, non dovrebbero perdere la loro natura di classe e, dunque, dovrebbero essere studiate e affrontate marxisticamente. Purtroppo nella più recente letteratura (straniera e non) sull’argomento non si affronta mai la prima discriminante con la quale le donne devono fare i conti, e che è rappresentata dalla classe o ceto/strato sociale di appartenenza. Dalle analisi delle femministe di orientamento non marxista, l’universo femminile risulta essere al suo interno indifferenziato, privo di contraddizioni e di antagonismi. Le differenze e i contrasti emergono attraverso il confronto con l’altra metà del cielo (in termini di potere e ruoli economici e sociali, stereotipi e simbologie culturali, ecc.). In quest’ottica ciò che conta è, ad esempio, lo studio del gender pay gap (differenziale retributivo di genere) e non quello delle differenze salariali tra donne che emergono in base alla loro diversa posizione ricoperta nel mercato del lavoro e, più in generale, nella società. Un altro argomento affrontato in questi ultimi anni dalle femministe «borghesi» è quello della poverty feminization (femminilizzazione della povertà). Con l’avanzare del processo di globalizzazione le donne di tutto il mondo costituiscono una porzione sempre più elevata di assistiti e poveri […]. E ciò è un fatto indiscutibile. Tuttavia, la povertà femminile non può essere affrontata solo attraverso l’analisi di fattori socio-demografici (età, titolo di studio, sesso, ecc.) o alla luce di trasformazioni in atto, soprattutto nei paesi capitalistici avanzati, e che stanno portando alla luce nuove realtà sociali. Ad esempio, quella delle donne (single, madri e anziane sole, vedove, separate o divorziate) che devono provvedere autonomamente al proprio sostegno e a quello dei figli o di altri componenti del nucleo familiare. Il fattore chiave della femminilizzazione della povertà è prima di tutto l’espulsione delle donne dal mercato del lavoro e lo smantellamento dello stato sociale causati dalle politiche liberiste e devastanti del nuovo fondamentalismo del libero mercato mondializzato. La loro prima vera oppressione sono, dunque, i meccanismi economici e finanziari promossi dalle principali istituzioni della globalizzazione (FMI, WTO, Banca mondiale) che non sradicano la povertà, anzi l’accentuano, e dove i poveri sono sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi.
Esistono, poi, delle discriminazioni che riguardano trasversalmente tutto l’universo femminile e che attengono alla posizione svantaggiata delle donne nel mercato del lavoro, alla loro segregazione in aree e tipi d’impiego dove più basse sono le retribuzioni […], a tassi più bassi d’uscita dalla condizione di disoccupate e d’ingresso in quella di occupate, e cosi via. Ma anche questi fenomeni non dovrebbero essere affrontati fuori del contesto economico e sociale che li ha prodotti. Ciò che si è verificato nei paesi dell’ex Unione sovietica dimostra quanto sia importante non sottovalutare l’impatto dei cambiamenti socioeconomici sul mondo femminile. Gli aggiustamenti strutturali avvenuti nel corso della transizione da un’economia di piano ad una di libero mercato hanno causato un forte riflusso femminile di massa e l’avvento di un nuovo rinascimento patriarcale. Nella storia dei movimenti e dell’immaginario femminile dei paesi ex sovietici, la separazione tra sfera pubblica e sfera privata era stata motivo di lotta, opposizione e resistenza contro un sistema di tipo patriarcale feudale che aveva storicamente assegnato alla donna il ruolo della cura della famiglia e della casa, all’interno della sfera domestica, escludendola dall’ambito pubblico, luogo della politica e del lavoro. Dopo la rivoluzione d’Ottobre, questa storica separazione era stata annullata. Tuttavia, con il passaggio dall’era sovietica a quella russa, essa è riemersa con prepotenza. Con altrettanta prepotenza è riemersa la povertà femminile secondo le modalità con cui il capitalismo gestisce la vita lavorativa salariata, la dipendenza economica femminile, ecc. […] Nei paesi dell’ex Unione sovietica, la divisione di genere […] ha assunto caratteristiche specifiche collegate alle politiche di aggiustamento strutturale intraprese nel corso della transizione liberista. La chiusura della maggior parte delle imprese statali e la mancanza d’incentivi economici a favore delle industrie per creare nuovi posti di lavoro, hanno condotto all’espulsione di milioni di lavoratori dal mercato del lavoro. L’assenza di una social safety net (rete di protezione sociale) ha creato un esercito di diseredati e miserabili. Coloro che sono rimasti nel mercato del lavoro, pur di non entrare a far parte del pool dei disoccupati, hanno accettato di mantenere il posto di lavoro anche a salario zero. In una tale situazione, dove la maggioranza dei nuovi disoccupati manifesti e nascosti sono donne, dove il salario medio maschile non corrisponde al salario di sussistenza (living wage), la divisione di genere ha prodotto forme estreme di povertà tali per cui le donne risultano essere “le più povere tra i poveri”. I meccanismi impietosi dell’economia finanziaria e mondiale applicati nella ex Unione sovietica fanno sì che oggi la moltitudine delle donne di quei paesi non debba preoccuparsi tanto di sfondare il cosiddetto “soffitto di vetro”, quanto di “sfondare” la soglia di povertà».52
52. Ibidem.

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