26 Aprile 2024

7.5. RIAPPROPRIARSI DEL LESSICO PIÙ APPROPRIATO

Alla luce di quanto esposto finora verrebbe da chiedersi se non sia il caso di tornare ad utilizzare le parole che sono necessarie per definire le cose come sono, piuttosto che cercare nuovi linguaggi e nuove “narrazioni” che nulla fanno per svelare il grande inganno quotidiano perpetuato nei confronti di milioni di proletari sottomessi anzitutto culturalmente prima ancora che economicamente e socialmente. Chiaramente però questa provocazione non pretende di esaurire in poche righe un tema, quello della comunicazione politica e della propaganda, che richiederebbe ben altre riflessioni di quelle che ha saputo mettere in campo la variegata sinistra italiana negli ultimi decenni. Quest’ultima dovrebbe anzitutto interrogarsi sulla propria stessa identità, sulla quale tali dinamiche linguistiche influiscono certo non poco: cosa vuol dire infatti “sinistra italiana” oggi in un contesto in cui la maggioranza della società identifica il concetto di sinistra con l’organizzazione del PD? Che cosa significava “sinistra” invece in questo stesso paese 50 anni fa? È accettabile che perfino in documenti politici di partiti comunisti si trovino espressioni desolanti come “sinistra radicale”, termini imposti dalla borghesia con una risemantizzazione estremistica e denigratoria? Forse il percorso culturale da seguire l’aveva avviato assai bene una personalità che pure marxista non era: Luciano Gallino, il quale, in polemica anche terminologica, aveva denominato uno dei suoi ultimi libri La lotta di classe dopo la lotta di classe87, non esitando a spiegare la realtà utilizzando le parole e le categorie del marxismo. «Le parole sono importanti», diceva Nanni Moretti in un suo famoso film [Palombella rossa, 1989]. In quell’occasione aveva ragione da vendere.
87. L. Gallino, La lotta di classe dopo la lotta di classe, Laterza, Roma-Bari 2012.

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