19 Aprile 2024

10.2. CONTRORIVOLUZIONE, DESTABILIZZAZIONE USA E SUPPORTO SOVIETICO

Nel frattempo gli equilibri interni al PDPA si rompono quasi subito, con l'ascesa della fazione Khalq e del suo uomo forte A. Amin, che nel settembre 1979 fa sopprimere Taraki prendendo il potere. Per capire gli eventi successivi occorre fare un passo indietro: nel giugno 1978 nasce il blocco sociale controrivoluzionario che salda numerose fazioni islamiche conservatrici nella guerriglia contro il governo rivoluzionario; l'11 febbraio 1979 la rivoluzione islamica trionfa in Iran, il che spinge gli USA a guardare con rinnovato interesse all'Afghanistan come nuovo possibile avamposto strategico nella regione; il 14 febbraio viene assassinato a Kabul l'ambasciatore statunitense Adolph Dubs dai ribelli afghani, che combattevano contro il governo rivoluzionario nella feroce lotta di classe interna al paese; il 17 febbraio si svolge a Mosca una riunione del Politburo del PCUS in cui si esprime forte preoccupazione per l'escalation del Medio Oriente e per il rischio della tenuta del governo rivoluzionario di Kabul, minacciato dalla controrivoluzione islamica interna, sostenuta dal Pakistan (alleato dell'Occidente).
Nel marzo Herat, la terza città del paese, corre il pericolo di cadere nelle mani degli insorti sciiti, sostenuti dall'Iran e appoggiati da una parte della stessa guarnigione. Le vittime sono 5000. Il presidente Taraki si reca a Mosca per chiedere ai sovietici l'invio di truppe di terra per aiutare l'esercito rivoluzionario. Gli viene promesso aiuto militare ma il Primo ministro sovietico Kosygin gli rende noto che «l'ingresso delle nostre truppe in Afghanistan scandalizzerebbe la comunità internazionale, scatenando in diverse parti una serie di conseguenze estremamente negative. I nostri comuni nemici aspettano solo il momento in cui le truppe sovietiche faranno la loro comparsa in Afghanistan. Questo fornirebbe loro la scusa di cui hanno bisogno per inviare nel paese delle bande armate». Il Politburo, riunitosi il 18 marzo, ha insomma piena consapevolezza del fatto che un intervento militare diretto, come chiesto dagli afghani, avrebbe avuto conseguenze internazionali sfavorevoli, danneggiando la distensione e gli accordi per la riduzione degli armamenti, ma sapendo anche bene che la propaganda borghese avrebbe presentato l'azione come un'invasione imperialista, rovinando così l'immagine sovietica nei paesi non-allineati e rafforzando peraltro la Cina. Ciononostante alla fine di marzo comincia per ogni evenienza la mobilitazione dell'Armata Rossa; a giugno, spinto dalle continue richieste dell'ambasciatore afghano, il Politburo decide di mandare reparti speciali a presidiare alcune basi e sedi dove operano consiglieri sovietici. Il 3 luglio il presidente USA Carter, sollecitato da Brzezinski, autorizza le prime operazioni clandestine della CIA, ordinando di fornire materiale medico, denaro e propaganda ai ribelli afghani, i cui attacchi si intensificano. Durante l'estate i sovietici iniziano ad accusare pubblicamente la CIA di armare gli esuli afghani in Pakistan; lo stesso governo afghano accusa Pakistan e Iran di aiutare i guerriglieri e di oltrepassare i confini allo scopo di partecipare ai combattimenti.
Da notare che per decenni la versione ufficiale sostenuta dagli USA è stata che gli aiuti ai ribelli siano iniziati durante il 1980, ovvero dopo «l'invasione sovietica» dell'Afghanistan, datata 24 dicembre 1979. In realtà, di fronte al deterioramento della situazione, già nei mesi precedenti, a partire almeno dall'agosto, il PCUS, d'accordo con il governo locale, ha autorizzato il trasporto a Kabul di truppe d'assalto aviotrasportate che a metà dicembre (1979) assommano a circa 5000 uomini.
A Mosca si ragiona ormai sul fatto che di fronte al sempre più massiccio intervento imperialista, il supporto al governo rivoluzionario richieda uno sforzo maggiore; inoltre il rischio di trovarsi ai confini uno Stato controllato da fanatici islamici anticomunisti alleati dell'imperialismo statunitense spaventa molto il Cremlino, anche per le possibili conseguenze nell'aumento del terrorismo internazionale e per l'influsso destabilizzante che ciò potrebbe avere per le repubbliche sovietiche dell'Asia centrale. Il 22 dicembre la National Security Agency riceve un dispaccio con cui apprende che 100 mila soldati sovietici sono pronti ad entrare in Afghanistan per organizzare operazioni anti-guerriglia su scala nazionale. Fino a quel momento la CIA non ha creduto che i sovietici sarebbero intervenuti in forze. Il presidente Carter autorizza immediatamente ulteriori operazioni clandestine, improntate ad un sostegno militare più massiccio ai ribelli afghani, pur sapendo della loro contrarietà all'emancipazione femminile e all'uscita del paese dal suo storico sottosviluppo semi-feudale. Il 23 dicembre il Washington Post ricorda come il Dipartimento di Stato degli USA non abbia accusato i sovietici «di avere invaso l'Afghanistan, dato che sembra che le truppe siano state invitate». Questo è il contesto in cui occorre situare la presa del potere di Amin, avvenuta nel settembre 1979:
«l’instabilità interna al regime, accompagnata dall’acutizzarsi dello scontro di classe e dal sempre maggiore intervento indiretto delle potenze imperialiste, USA e Gran Bretagna in primo luogo, porteranno il paese in uno stato di crisi sempre più evidente. Il pericolo di una guerra civile interna al PDPA convincerà Mosca ad intervenire direttamente e il 27 dicembre del 1979 un corpo di spedizione sovietico coadiuvato da alcuni reparti afgani rovescerà il regime di Amin riportando al vertice dello stato B. Karmal, fino ad allora praticamente in esilio a Praga».
Karmal, nuovo leader della fazione Parcham dopo l'assassinio di Taraki, era stato esiliato (trovando rifugio nella Cecoslovacchia socialista) da Amin dopo aver fatto parte del governo rivoluzionario (in qualità di vicepresidente e vice primo ministro) nei primi mesi della Rivoluzione. L'intervento sovietico a Kabul presenta un parallelo evidente con la situazione di Budapest del 1956, dove i sovietici erano intervenuti per impedire la vittoria della controrivoluzione contro un nemico interno allo stesso Partito locale. È difficile capire quanto anche qui abbia pesato il tema del revisionismo ideologico (anche se la maggiore vicinanza teorico-politica, già nel periodo precedente, era stata trovata da Breznev e dagli analisti sovietici proprio con Taraki e Karmal, ossia con la fazione Parcham). Breznev, che pure ha negato il coinvolgimento militare diretto dell'URSS nel cambio al vertice del potere, ha poi spiegato così il ruolo nefasto giocato di Amin:
«le azioni degli aggressori dell'Afghanistan sono state facilitate da Amin che, dopo essersi impadronito del potere, cominciò a reprimere crudelmente larghi settori della società afghana, dei quadri militari e del partito, membri dell'intellighenzia e del clero musulmani, ossia proprio i settori sui quali faceva affidamento la rivoluzione di aprile. […] Adesso a Washington e in alcune altre capitali piangono Amin. Questo rivela chiaramente la loro ipocrisia. Dov'erano questi dolenti quando Amin metteva in atto repressioni di massa, quando destituiva con la forza e uccideva illegittimamente Taraki, il fondatore del nuovo Stato afghano?»
Il Times riferisce che dopo la destituzione e l'esecuzione di Amin il popolo abbia affollato le strade «con spirito festoso», tanto era riuscito a screditare il processo rivoluzionario. È bene ricordare che lo stesso Amin, su pressioni del resto del gruppo dirigente del Partito, ha richiesto il sostegno militare sovietico. Ancora il giorno prima di morire, il 26 dicembre 1979, in un'intervista a un giornalista arabo loda i sovietici che forniscono al paese «aiuti economici e militari, ma allo stesso tempo rispettano la nostra indipendenza e la nostra sovranità». Karmal, lungi dall'essere un fantoccio instaurato da Mosca, è un autorevole dirigente rivoluzionario con un curriculum di lungo corso, e provvede immediatamente a confermare la richiesta di assistenza militare sovietica, concordata prima ancora di entrare a Kabul, ed accusa Amin di essere stato un agente della CIA, avanzando al governo statunitense la richiesta di consegnare tutta la documentazione dei loro passati rapporti.
Nel 1988 Kim Philby, in un'intervista rilasciata poco prima di morire, confermerà che «c'era più di un motivo per sospettare che Amin se la intendesse con gli americani».
Pur non essendo (ancora) disponibili documenti declassificati della CIA, anche William Blum ritiene che ci siano «abbastanza prove circostanziali a sostegno di questa accusa e quindi, forse, non dovrebbe essere definitivamente accantonata», citando il passato da studente di Amin in università statunitensi che costituivano campi di reclutamento della CIA, oltre che legami con associazioni asiatiche controllate dall'agenzia e i troppo frequenti incontri con l'ambasciatore statunitense una volta preso il potere. Di fronte all'intervento sovietico, la propaganda statunitense alza un polverone enorme, lanciando ogni genere di accusa possibile. L'URSS risponde che gli USA sono semplicemente infuriati per aver perso la facile occasione di trasformare il paese in una base americana sopperendo così alla perdita dell'Iran. Un compito che sarebbe stato infine portato a termine nel 2001 a seguito dell'attentato alle Twin Towers, con un'occupazione militare non ancora terminata. Si calcola che gli USA abbiano speso tre miliardi di dollari per finanziare la guerriglia afghana, con finanziamenti approvati in maniera bipartisan dal Congresso USA per tutta la durata del conflitto. Secondo le fonti di Tim Weiner potrebbero essere anche di più, considerando che sul finire del conflitto il programma della CIA aveva acquisito un budget da 700 milioni di dollari l'anno, ossia l'80% del budget del servizio clandestino all'estero: «fin dall'inizio i sauditi fornirono ai ribelli un sostegno pari a quello della CIA, non un dollaro di meno. I cinesi contribuirono offrendo armi per un valore di milioni di dollari, così come fecero gli egiziani e gli inglesi. La CIA coordinava le spedizioni» attraverso i servizi segreti pakistani, che «se ne prendevano una parte consistente prima di consegnarle ai leader politici della resistenza afghana», i quali a loro volta «mettevano da parte la loro quota prima che le armi arrivassero in Afghanistan. […] I capi dei servizi segreti pakistani che distribuivano le armi e il denaro della CIA, favorivano le fazioni afghane che si dimostravano più abili in battaglia. Tali fazioni erano anche, guarda caso, quelle composte dagli islamici più radicali». Fino al 1987 alcune stime parlano di 65 mila tonnellate di armi (fra cui i micidiali missili Stinger) fornite dagli USA ai ribelli. Con l'appoggio della CIA l'ISI arriva ad avere uno staff segreto di ben 150 mila persone: una vera e propria struttura parallela di governo.
L'URSS risponde fornendo una presenza stabile oscillante tra i 90 e i 120 mila uomini.137
137. Fonti usate: T. Weiner, CIA, cit., pp. 350-352, 368-369, 396-397; C. Andrew & O. Gordievskij, La storia segreta del KGB, cit., pp. 605-608; W. Blum, Il libro nero degli Stati Uniti, cit., pp. 506-511; A. Graziosi, L'URSS dal trionfo al degrado, cit., pp. 458-459; Collettivo di Fisica Università “La Sapienza” di Roma (a cura di, per Centro Studi per la Pace), Afghanistan: la storia vera, Studiperlapace.it, 22 dicembre 2001.

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