20 Aprile 2024

11.03. L’ASSERVIMENTO DI HOLLYWOOD AL GOVERNO USA

Per affrontare il discorso di come Hollywood sia diventata un centro fondamentale della propaganda statunitense occorre riprendere il tema dell’USIA (United States Information Agency), che si interessa presto al potente strumento cinematografico147.
Scrive a riguardo John Kleeves (pseudonimo di Stefano Anelli):
«L’asservimento di Hollywood alle esigenze della propaganda di Stato americana è una storia documentata. Agli inizi Hollywood crebbe in pace e autonomia: non si aveva ancora idea della sua formidabile importanza politica. Essa iniziò ad attrarre l’attenzione dell’establishment negli anni Trenta, quando produsse alcune pellicole di contenuto “sociale”, in linea con la politica apparente del New Deal del presidente Roosevelt […]. La tendenza fu acuita dall’arrivo negli Stati Uniti a partire dal 1936, e in particolare a Hollywood, California, di molti intellettuali tedeschi “progressisti” che fuggivano dal nazismo, come Bertolt Brecht, Thomas Mann, Erich Fromm, Theodor Adorno, Herbert Marcuse, Hans Eisler, Fritz Lang, Billy Wilder e vari altri. In questo periodo la Frontier Film, per la quale lavorava anche il regista Elia Kazan, produsse dei documentari fortemente caratterizzati sul piano sociale, come The Plow that Broke the Plaints e The River di Pare Lorentz, che insospettirono l’establishment, mentre Blockade di William Dieterle del 1938, Grapes of Wrath di John Ford del 1939 e Man Hunt di Fritz Lang del 1941 suscitarono aperte proteste in ambienti politici. Ma poi ci fu la guerra. Durante la guerra Hollywood partecipò massicciamente allo sforzo propagandistico del governo; vi si impegnarono, in genere con documentari, registi come Capra, Ford, Huston, Wyler, e furono prodotti film come Pride of the Marines, Mission to Moscow, Sahara, Action in the North Atlantic, Song of Russia, Tender Comrade, Hitler’s Children, Thirty Seconds Over Tokio. Ciò rese benemerenze a Hollywood, anche se Edgar J. Hoover immediatamente protestò per Mission to Moscow, ma anche dimostrò in pieno la sua tremenda potenzialità politica, la sua capacità unica di influenzare il pubblico mondiale. In più nell’immediato dopoguerra, accoppiando l’esperienza fatta nei documentari di guerra con l’esempio del cinema neorealista italiano (Roma città aperta, Ladri di biciclette, Paisa’ ecc.), Hollywood produsse molti film sul tipo neorealista, e di impegno e denuncia sociale, che ebbero un grande successo di pubblico sia negli Stati Uniti che all’estero; alcuni esempi sono The Best Years of our Lives di William Wyler, Crossfire di Edward Dmytryk, Lost Weekend di Billy Wilder, Snake Pit di Anatole Litvak, Kiss of Death di Henry Hathaway, Brute Force di Jules Dassin, Smash-up di Stuart Heisler, Gentleman’s Agreement di Elia Kazan, tutti usciti fra il 1945 e il 1947. Non erano film politici e tantomeno di propaganda politica; trattavano temi reali di gente reale: problemi di reinserimento per reduci, odio razziale, situazioni carcerarie, malattie psichiatriche. Erano realisti, raccontavano la società – americana – così com’era. Ma era proprio questo il problema: Hollywood andava assolutamente posta sotto controllo, non doveva più produrre film del genere. Ormai si era anche chiarito come bisognava procedere. La legislazione americana scritta garantiva – come ancora certamente garantisce – la libertà di parola e di espressione. Non si poteva istituire un ufficio centralizzato governativo di censura cinematografica, un Minculpop. Bisognava fare capire a Hollywood come si desiderava che si comportasse, trovare in quest’ottica una scusa emblematica per tormentarla sino ad ottenere la sua completa e volontaria, democratica, sudditanza. Dai numerosi e sempre meno timidi tentativi fatti a partire dal 1930 si era capito che tale scusa poteva essere l’esigenza di scoprire i comunisti che lavoravano in un’industria così sensibile come Hollywood. In realtà non si dovevano colpire i comunisti di Hollywood, o almeno non loro in primis. Questi erano pochissimi […] e non avevano quasi influenza alcuna sui film prodotti […]. Si dovevano colpire i molto più numerosi e determinanti progressisti, o liberali, elementi che senza essere affatto comunisti erano però sensibili a istanze o argomenti sociali, o erano semplicemente intelligenti, e che avevano sia la tendenza che la capacità di influenzare, di conseguenza, i lavori cui partecipavano. Soprattutto, e naturalmente, si dovevano convincere i produttori ad eliminare pellicole di un certo tipo, anche se economicamente remunerative».
Il resto della storia è noto: il maccartismo interviene pesantemente impedendo a decine e centinaia di elementi di lavorare, ma soprattutto convincendo «la maggioranza degli operatori di Hollywood, produttori come Jack Warner, David Selznick, Samuel Goldwyn e Louis Mayer in testa», ad accettare una subdola “auto-disciplina”:
«la prassi dell’auto censura politica e culturale. La scrittrice di testi cinematografici Ayn Rand per dimostrare quanto bene avesse capito, compilò e pubblicò anche un manuale di autocensura per Hollywood, intitolato Guida dello schermo per Americani, che conteneva fra gli altri i seguenti principi: “Non insultare il Sistema della Libera Impresa”, “Non deificare l’Uomo Comune”, “Non glorificare il Collettivo”, “Non glorificare il Fallimento”, “Non insultare il Successo”, “Non insultare gli Industriali”. La guida sarà poi incorporata dall’USIA nei suoi manuali interni»148.
In conclusione:
«attualmente l’attività di Hollywood è controllata centralmente dall’USIA, come accade in pratica dal 1953. Tale controllo consiste nel fare in modo che il contenuto dei suoi prodotti sia in linea con la Retorica di Stato, che sia appunto come descritto all’inizio. La fuga sempre più marcata di Hollywood dal reale, la sua sempre maggiore insistenza verso film di fantasia dominati dagli effetti speciali e dall’inverosimiglianza in generale, dipende dal suo disagio nei riguardi della censura dell’USIA. La tendenza oltretutto fu sin da subito incoraggiata dall’USIA, perché poteva facilmente prestarsi ad un insidioso tipo di propaganda subliminale. Per esempio furono benvenuti i film di “marziani” degli anni Cinquanta: i marziani venivano sulla Terra, ma atterravano sempre, guarda caso, negli Stati Uniti: evidentemente erano il paese più significativo della Terra, il più all’avanguardia. Un analogo tipo di propaganda indiretta è presente in tutti i film americani di fantascienza e “spaziali”, ad esempio come 2001 Odissea nello spazio, Guerre Stellari e Alien. L’USIA svolge la sua mansione come qualunque organismo di censura e propaganda statale. Esamina in anticipo il copione di tutti i film dei quali è stata decisa la produzione e può decidere variazioni. Si occupa anche, tramite agevolazioni fiscali ed usando le sue entrature all’estero, di promuovere l’esportazione di quei film ritenuti particolarmente utili ai fini della propaganda. Nei paesi in cui i film americani sono presentati in lingua locale l’USIA, in virtù di clausole contrattuali, riesce in genere a controllare il doppiaggio, che in effetti in molti squarci di dialogo è diverso dall’originale, e sempre in senso favorevole alla realtà americana (ad esempio in un film americano un personaggio diceva di essere “in cassa integrazione da un anno”: non c’è cassa integrazione negli Stati Uniti)».149
A dimostrazione delle tesi di Anelli vi sarebbe anche una recente ricerca di Tom Secker e Matthew Alford contenuta nel loro libro National Security Cinema: The Shocking New Evidence of Government Control in Hollywood. Gli autori affermano che l’apparato bellico degli Stati Uniti riscriva i successi di Hollywood quando questi non si adattino bene alla propaganda di guerra oppure danneggino in modo irreparabile la sua reputazione. Gli autori sono arrivati a queste conclusioni dopo aver spulciato oltre 4.000 pagine di documenti del Pentagono e della CIA ottenute dopo l’accesso conseguito grazie al Freedom of Information. Sono oltre 800 film e 1000 show televisivi che vedono uno zampino “esterno”, secondo i due autori. La CIA è coinvolta in film come Argo e Zero Dark Thirty, ma anche in pellicole come Ti presento i miei con Ben Stiller e Robert De Niro (che interpreta un simpatico agente della CIA più o meno in pensione), oltre che in spettacoli d’intrattenimento come “Oprah” e “America’s Got Talent”. Secondo Secker e Alford, se un produttore o un autore chiede accesso a documenti dell’esercito per una ricerca, la sceneggiatura deve essere vagliata dalle agenzie di intelligence. I produttori si impegnano proprio a firmare un accordo che li obbliga all’approvazione del Pentagono per la versione definitiva. Il libro – insieme alla pubblicazione del database di collaborazione tra Hollywood e il Department of Defense – riporta come diverse pellicole, compresi James Bond, i Transformers, le produzioni della Marvel e della Universes, siano state modificate nelle sceneggiature proprio per assecondare le richieste dell’apparato militare statunitense150. Peraltro, a proposito di James Bond si è scoperto di recente che la storica serie è stata messa in piedi grazie allo zampino interessato dell’MI6, il vero servizio segreto inglese a cui la saga si ispira. Ad ammetterlo niente meno che il suo capo, Sir John Sawers. La priorità, scrive Sawers, era ricostruire la fiducia dell’opinione pubblica e «le fiction di spionaggio, come i film di James Bond, hanno aiutato a potenziare la reputazione dei servizi di intelligence inglesi», perché «la nostra buona reputazione nelle fiction popolari, come tutti sappiamo, ci ha aiutato a guadagnare fiducia»151.
147. Ci rifacciamo a J. Kleeves, Divi di Stato, cit. Per un altro riscontro si può vedere il saggio D. N. Eldridge, Dear Owen: The CIA, Luigi Luraschi and Hollywood, 1953, Historical Journal of Film, Radio and Television-Tatarte.it, giugno 2000.
148. Su tale manuale si rinvia per una lettura più approfondita all’articolo LinkPop, Regole per realizzare un perfetto film capitalista, Linkiesta.it, 28 maggio 2016.
149. J. Kleeves, Divi di Stato, cit.
150. Redazione L'AntiDiplomatico, National Security Cinema: come la CIA ha preso possesso di Hollywood, L’Antidiplomatico, 6 luglio 2017.
151. S. Maurizi, 007, missione propaganda: così l’intelligence usa il cinema per costruire consenso, L’Espresso (web), 4 novembre 2015.

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