28 Marzo 2024

11.04. IL CINEMA DI PROPAGANDA ANTICOMUNISTA

Approfondiamo la questione con un ottimo saggio, La propaganda atlantica indiretta: i film hollywoodiani di Paolo Tebaldelli152, il quale parla di «due tipi di propaganda, quella diretta e quella indiretta», distinguendo in quest’ultima quella riguardante il settore cinematografico (e non solo). Essa infatti comprende
«l’elaborazione e trasmissione di fiction culturale ad alto spettro che crei un’opinione di massa media amica; avente cioè i tratti virtuali di giustificazione dell’operato del potere. Tali tratti sono opportunamente scelti dall’ideologia dominante capitalistico-occidentale per autolegittimarsi e per provvedere una visione storico ideologica del mondo che non contrasti con il suo esercizio del potere ma anzi lo favorisca […]. L’obiettivo è cioè quello di rafforzare nella maggioranza dell’audience un’immagine rassicurante della società occidentale quale il migliore dei mondi possibili così da impedire il formarsi di gruppi di opinione contrari che possano mettere in dubbio il potere […]. La società occidentale si auto-rappresenta nella maggioranza delle trasmissioni di qualunque tipo, come la società più giusta, più avanzata tecnologicamente e con il grado di benessere più diffuso, e lo fa spesso in maniera non esplicita raffigurando semplicemente una realtà virtuale costruita in studio che nel suo rassomigliare a quella reale conferisce a quest’ultima tratti razionali che provengono dall’astrazione più che dalla verificazione di tali caratteri […]. Un’altra caratteristica della propaganda indiretta è quella che tratteremo qui, cioè il rapporto con la storia, la quale appunto viene continuamente riscritta subdolamente in maniera indiretta nelle varie fictions. Ultimamente tale uso storico della propaganda si sta addirittura dedicando alla storia presente. Tutto ciò in maniera subdola, cioè indirettamente. Facciamo un esempio. In un film poliziesco ambientato a New York, ad un certo punto i trafficanti di droga devono essere rincorsi fin nel loro covo lontano che guarda caso si trova non negli States ma a Cuba. Ecco che la polizia appronta un piano per intervenire all’interno dell’isola per catturare con gran spiegamento di uomini e mezzi i narcotrafficanti nonostante gli sforzi di proteggerli dei cattivi comunisti. In tal modo subdolamente si dà per scontato che Cuba sia abitualmente dedita al narcotraffico (calunnia che la propaganda atlantica da decenni persegue […]) e inoltre che per il rispetto delle leggi degli Stati Uniti si debba intervenire superando persino le frontiere nazionali in altri Stati, magari “Stati Canaglia”».
Tebaldelli ritiene che nelle attuali condizioni di oligopolio vi sia un ampio controllo del settore cinematografico, sia a livello di produzioni che di distribuzioni:
«Certo ci sono le produzioni indipendenti, il giornalismo indipendente, ma tali fenomeni sono marginalizzati perché privi del capitale che li supporta, che li sostiene per raggiungere quei canali distributivi di massa che invece sono monopolizzati dalle grandi produzioni. Un esempio lampante è quello delle major hollywoodiane che obbligano i gestori dei cinema che desiderano proiettare i film da queste prodotti, a trasmettere film delle major nella quota maggioritaria dell’80/85% della propria proiezione totale, pena il non trasmetterne affatto. Così i gestori sono obbligati o a trasmettere solamente i film delle major oppure ad affidarsi al mercato considerato più insicuro del film indipendente, più insicuro perché non usufruisce di quella promozione generalizzata ad alto costo (trailer nelle principali tivù, recensioni nei giornali e riviste, ecc.) propria delle major hollywoodiane (da notare poi che tale situazione è vista da molti come una delle ragioni della crisi odierna del cinema). In tal modo il modello maggioritario di rappresentazione è quello auto-legittimantesi dell’ideologia dominante, cioè il capitalismo. Esso reiterato ad libitum su giornali, televisioni, teatri e cinema, è come un enorme velo di Maya che copre la realtà quotidiana di una coltre patinata che nasconde agli occhi dell’uomo medio, reso solo e passivo di fronte al teleschermo, le ingiustizie sociali, la povertà, la degradazione, la corruzione, il controllo sociale, la repressione del dissenso, la protesta, insomma tutti quei risvolti reali che costituiscono il compromesso sociale nelle società capitaliste. Tuttavia la propaganda si smaschera nelle sue pretese di verità rispetto al reale allorquando la si pone, tramite un’accurata analisi semiotica, in rapporto al reale che essa pretende di rappresentare».
In questo senso è possibile (e sarebbe doveroso farlo) riscrivere l’analisi di decine, se non centinaia di film che hanno avuto maggiore o minore successo, svelandone le strategie sottese, gli obiettivi politici e gli errori storici più smaccati. Tebaldelli si sofferma nel mostrare la faziosità e partigianeria nel rappresentare la battaglia di Stalingrado in due film molto diversi tra loro, come Stalingrad (1993, di Joseph Vilsmaier) e Il nemico alle porte (2001, di Jean-Jacques Annaud): il primo che racconta la battaglia dal punto di vista dei poveri soldati tedeschi (idealizzandoli forse non poco) con un taglio estremamente psicologico e astratto dalla Storia più ampia del nazismo; il secondo giocato più sottilmente sull’idea che in fondo la vittoria sovietica sia stata merito solo di eroismi personali e collettivi, di contro perfino alla tirannia e crudeltà del regime comunista e della sua dirigenza. Lo stesso Annaud viene messo sulla graticola anche per il precedente Sette anni in Tibet (1997) in cui emerge un ritratto evangelico del Tibet e del Dalai Lama, formulato con ampie omissioni storiche (ad esempio che il protagonista impersonato da Brad Pitt, lo scalatore austriaco Heinrich Harrar, fosse un nazista) e un viscerale anticomunismo teso a demonizzare la Repubblica Popolare Cinese. Recentemente il sito Wired153 ha realizzato un post sui 10 migliori film di propaganda hollywoodiani di successo. Strano che a questo elenco manchi un grande classico come Caccia a Ottobre Rosso, che ipotizza il tradimento di un ufficiale militare sovietico sulla base di un romanzo di Tom Clancy (anche lui a lungo collaboratore della CIA). Leggiamo le descrizioni di quelli più smaccatamente anticomunisti:
«- Alba rossa. John Milius era un genio, uno dei più grandi sceneggiatori che abbiano mai scritto per il cinema, e Alba rossa è un pezzo da museo della guerra fredda. I russi si alleano con Cuba e Nicaragua e invadono di colpo gli Stati Uniti. Tutto cambia dalla sera alla mattina e un gruppo di ragazzi si organizza per resistere e combattere.
- L’invasione degli ultracorpi. In epoca di caccia alle streghe in un film dell’orrore, genere popolare per eccellenza, un gruppo di alieni malvagi cancella l’individualità. Sono tra noi, sono indistinguibili da noi e minacciano il nostro stile di vita, ci vogliono tutti uguali. Sono i comunisti, non lo dice mai il film, ma le parole che usa per descrivere la minaccia aliena erano le stesse che venivano usate per descrivere il pericolo comunista. Cosa ancor più efficace il film non finisce con la sconfitta della minaccia ma con l’idea che “sono tra noi e dobbiamo stare attenti”.
- Berretti verdi. Uno dei pochissimi film da regista di John Wayne era un progetto a lui molto caro, rimasto nella storia come esempio di propaganda pro-bellica patriottica. Uscito in Italia tagliato per edulcorarne l’anticomunismo, il film esalta lo spirito americano, giustifica ampiamente l’intervento in Vietnam e lo mostra come un conflitto nuovo e terribile in cui il nemico usa qualsiasi arma, anche le più infide e scorrette, per uccidere americani.
- Rambo III. Rambo si trasferisce in Afghanistan, a combattere la minaccia russa dalla parte dei talebani. Sono loro il bene, la parte affettiva del film, le persone da salvare con cui l’America militare si allea e che promuove come i buoni. I mujaheddin e la guerra santa sono la parte morale del conflitto, quella che conquista il cuore di Rambo. Solo più di un decennio dopo abbiamo scoperto che proprio in quel conflitto erano stati piantati i germi che poi hanno dato vita da Al-Qaeda.
- Top gun. È uno dei film di propaganda più noti e meglio modellati. Incrocia la propaganda esplicita (i russi effettivamente sono il nemico) con quella implicita (l’esaltazione delle virtù e dello stile di vita americano), mette l’edonismo reaganiano a frutto e lo direziona verso un bersaglio. I russi hanno caschi neri che ne nascondono il volto, sono spersonalizzati, non parlano, non hanno volontà; gli americani invece giocano a beach volley in spiaggia. Quell’idea individualista per la quale “uno dei nostri vale 100 dei vostri” si colora anche di un’attrattiva sessuale e romantica sconosciuta a Stallone e Schwarzenegger».
Ancora di recente Hollywood costruisce smaccati film che sensibilizzano il pubblico mondiale contro il pericolo presunto di certi popoli: Attacco al potere (2013) è una sorta di Alba Rossa in cui i nemici sono dei terroristi nordcoreani che su mandato del proprio governo attaccano direttamente la Casa Bianca. Infine un esempio su uno degli ultimi film di Steven Spielberg:
«Il ponte delle spie (2015), dedicato al leggendario scambio di spie prigioniere tra l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti nel 1962 a Berlino. James Donovan, avvocato di Rudolf Abel, non era un “semplice avvocato d’ufficio”, ma un ufficiale della Marina americana e assistente del procuratore degli Stati Uniti al processo di Norimberga nel 1945. Gary Powers non era una sorta di eroe-superman, che si era rifiutato di rivelare i segreti USA all’URSS. Questo pilota, per definizione, non era a conoscenza di informazioni particolarmente riservate, e attivamente aveva collaborato nelle indagini e al processo nel suo discorso conclusivo aveva definito il suo crimine “degno di punizione”. Per la perdita di un aereo nuovo e per non aver scelto di suicidarsi con l’aiuto di un ago avvelenato dato dalla CIA prima della missione, Powers venne accolto negli Stati Uniti quasi come un traditore e la sua carriera di pilota nell’esercito dopo la prigionia sovietica finì, e venne premiato con le onorificenze del governo americano solo dopo la sua morte. La spia sovietica Rudolf Abel non è stata smascherata a seguito di un’operazione speciale dell’FBI, ma consegnato da un altro agente. William Fischer (il suo vero nome), senza aver dato alcuna informazione ai servizi segreti degli Stati Uniti, è tornato a lavorare nel KGB come consulente e non è stato “dimenticato dal suo paese”. Il ponte delle spie ha portato ai suoi produttori 162 milioni di dollari ed ha ottenuto 6 nomination agli “Oscar”. Lo hanno visto migliaia di persone in tutto il mondo»154.
Una buona quantità di ottime recensioni “critiche” che mistificano una serie di film oscenamente propagandistici sono state realizzate da John Kleeves (pseudonimo di Stefano Anelli) e si possono reperire online155. Un lavoro utile e importante sarebbe quello di organizzare spazi adeguati di critica marxista e militante sulla cinematografia passata e presente.

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