19 Marzo 2024

12. IL DOMINIO FINANZIARIO NEOCOLONIALE, IL FMI E LA BANCA MONDIALE

Tra l'1 e il 22 luglio del 1944 si svolge la Conferenza monetaria e finanziaria delle Nazioni Unite, più nota come Conferenza di Bretton Woods. Vi partecipano 44 paesi, compresa l'Unione Sovietica. Lo scopo dichiarato è evitare un’altra crisi come quella del 1929, il che spinge le potenze occidentali a fondare due potenti strumenti di controllo: il Fondo monetario internazionale (FMI) e la Banca Mondiale (BM).
Secondo i loro fondatori, il FMI deve garantire la stabilità monetaria, fissando il “gold standard” (a confronto del quale tutte le valute possono essere scambiate) e ponendo il dollaro al centro del sistema monetario internazionale, al fine di controllare il movimento di capitali; ufficialmente la BM deve lavorare per la ricostruzione e lo sviluppo dei paesi del “Terzo Mondo”. La delegazione statunitense è guidata da Morgenthau e White, quella britannica da lord John Maynard Keynes.
Sono le delegazioni che dirigono i lavori. I sovietici partecipano in sordina alla conferenza. In base ai negoziati tra Washington, Mosca e Londra, l'URSS avrebbe avuto la terza posizione in termini di diritto di voto, anche se i sovietici volevano la seconda. Insoddisfatta, Mosca non ratifica gli accordi finali e nel 1947 denuncia all'Assemblea delle Nazioni Unite le istituzioni di Bretton Woods come «filiali di Wall Street». Per la rappresentanza sovietica, la Banca Mondiale è «subordinata agli obiettivi politici che ne fanno uno strumento di una grande potenza». La ripartizione dei voti illustra molto bene il predominio degli Stati Uniti e della Gran Bretagna su entrambe le istituzioni. Il 30 agosto 1947 i due paesi totalizzano quasi il 50% dei voti (34.23% Stati Uniti, 14.17% Regno Unito). La distribuzione per categorie di regioni e paesi fornisce un quadro dei rapporti di forza nel campo degli alleati (senza l'URSS) nell'immediato dopoguerra. Gli 11 paesi capitalisti più industrializzati totalizzano oltre il 70% dei voti. Nel complesso il continente africano dispone di un ridicolo 2.34%.31
Come spiega Giovanni Arrighi, è di fatto la nascita del

«mercato globale nato sotto l'egemonia americana, […] una costruzione molto più esplicitamente e consapevolmente politica di quanto non lo sia mai stato il mercato globale sotto l'egemonia britannica. […] La costruzione del mercato globale incentrato sugli Stati Uniti, al contrario, è avvenuta […] come atto consapevole di governo mondiale. […] Secondo le parole di Franz Schumann […] le istituzioni delle Nazioni Unite sarebbero dovute diventare il nucleo di un governo mondiale che gli USA avrebbero dominato».
È soprattutto un dominio fondato «sulla supremazia militare» e «sullo sviluppo degli armamenti». In pratica «nel dopoguerra la ricostruzione del mercato globale fu completamente delineata dalla istituzionalizzazione di questa combinazione di terrore e sicurezza attraverso la guerra fredda». In definitiva «il massiccio riarmo durante e dopo la guerra di Corea risolve in effetti una volta per tutte i problemi di liquidità che impedivano la ricostruzione di un sistema globale integrato».

Il famoso trentennio “glorioso” di espansione economica produttiva e commerciale mondiale dell'Occidente capitalista si fonda insomma sul sostegno militare a governi stranieri e sulle spese militari americane dirette all'estero32. Questo ciclo si basa quindi sul primato del dominio geopolitico statunitense, e a livello monetario su quello del dollaro.
Lo scontro con il socialismo, simboleggiato più di tutti dalla resistenza del Vietnam di Ho Chi Minh, ma anche dall'espansione del welfare state ottenuta dalle organizzazioni operaie in Occidente, metterà in crisi questo sistema.
Sugli sviluppi successivi seguiamo le analisi di Damien Millet e Eric Toussaint33:
«Tutto cambia il 15 agosto 1971: 53 miliardi di dollari sono in circolazione nel mondo, cinque volte più delle riserve d’oro del paese. La fiducia nel dollaro si sta sgretolando. Il presidente degli Stati Uniti Richard Nixon pone allora fine alla “libera convertibilità del dollaro in oro”, il che porta alla fluttuazione delle valute le une in rapporto alle altre. Il FMI perde un po’ del suo smalto... Il 1979 segna una pietra miliare nell’avvento del neoliberismo: ansioso di mettere un freno all’inflazione ( che sta divorando i patrimoni) il presidente della banca centrale degli Stati Uniti (la Federal Reserve) Paul Volcker aumenta improvvisamente i tassi d’interesse americani. Venendo di conseguenza indicizzato il debito del Terzo Mondo, questa misura provoca una grave crisi. Nel 1982, il Messico è sull’orlo del default. Il FMI torna allora in primo piano per “venire in aiuto” ai paesi indebitati. In cambio, impone loro dei “piani di aggiustamento strutturale”: massicce privatizzazioni, svalutazioni, promozione delle esportazioni a scapito delle esigenze locali, tagli di bilancio, ecc. A livello sociale il risultato è drammatico. Contestate nel Sud, le ricette del FMI trovano una nuova vita al Nord, sulla scia della crisi finanziaria del 2007-2008. In Europa il FMI si allea con la Commissione Europea e la Banca Centrale Europea (BCE) in modo da formare una “troika” che impone l’austerità ai paesi in difficoltà (Grecia, Irlanda, Portogallo, Cipro, Spagna…).
Anche se vuole presentarsi con un volto più umano, la BM si basa su principi simili. Fin dalla sua creazione, finanzia delle potenze coloniali come la Francia o i paesi Bassi, allora in guerra contro dei popoli che lottavano per l’indipendenza. Al momento dell’indipendenza, essa organizza il trasferimento del debito di alcune madre patrie verso loro ex colonie. Il debito contratto dal Belgio presso la BM per rafforzare la colonizzazione del Congo Belga viene messo a carico del Congo indipendente (lo stesso avviene con diverse ex colonie francesi e inglesi in Africa). I nuovi paesi indipendenti nascono quindi talvolta con un debito odioso. Sotto la presidenza dell’americano Robert McNamara, a partire dal 1968 la BM partecipa alla esplosione del debito dei paesi del sud finanziando gli alleati del blocco occidentale (anche se sono corrotti e calpestano i diritti umani, come Mobutu nello Zaire e Suharto in Indonesia) e chiudendo il rubinetto del credito a regimi progressisti che vogliono restare padroni del loro sviluppo (il Brasile presieduto da Joao Goulart negli anni 1961-64, il Cile di Salvador Allende negli anni 1970-73, il Nicaragua sandinista negli anni 80). Queste due istituzioni di punta della globalizzazione neoliberista sono sempre state guidate da cittadini statunitensi o europei. Gli Stati Uniti vi esercitano un diritto di veto perché detengono oltre il 15% dei voti, mentre la maggioranza richiesta è dell’85%».

Il risultato è la sottrazione di immense risorse finanziarie da paesi già stremati dal sottosviluppo:
«In moltissimi casi, le condizioni di vita di centinaia di milioni di persone nel mondo si sono deteriorate a causa di queste politiche di indebitamento imposte dalla Banca Mondiale e dal FMI, con la complicità dei loro stessi governi. Invece di dotare i paesi in via di sviluppo di nuove risorse, il sistema debito li obbligò a dare la priorità al pagamento dei creditori a detrimento dei servizi sociali di base. Secondo i dati della Banca Mondiale, nel solo 2010, i paesi in via di sviluppo hanno destinato 184.000 milioni di dollari al pagamento del servizio del debito, circa tre volte l’ammontare annuale che sarebbe necessario per la realizzazione degli OMD. Tuttavia è più angustiante sapere che, fra il 1985 e il 2010, il trasferimento netto di risorse, ovvero la differenza fra le somme sborsate per il pagamento del debito e quelle ricevute mediante prestiti, è stata negativa e ha raggiunto il valore di 530.000 milioni di dollari. Vale a dire l’equivalente di 5 piani Marshall».34
In altra sede Eric Toussaint è molto “tranchant” nel trarne delle conclusioni politiche:
«La BM e il FMI, sin dalla loro istituzione nel 1944, hanno appoggiato attivamente tutte le dittature e tutti i regimi corrotti alleati degli Stati Uniti. Esse calpestano la sovranità degli Stati violando in maniera evidente il diritto all’autodeterminazione dei popoli, e in special modo a causa ciò si deve soprattutto alle condizioni da loro imposte. Le suddette condizionalità impoveriscono la popolazione, aumentano le disuguaglianze, lasciano il paese nelle mani delle multinazionali e fanno sì che gli Stati modifichino la loro legislazione (attraverso riforme radicali del codice del lavoro, delle leggi sull’attività mineraria e forestale, attraverso l’eliminazione di accordi collettivi, etc.) a favore dei creditori e degli “investitori stranieri”».35
Ciò che manca a Toussaint è il collegamento con il concetto leninista dell'imperialismo, risultando così incapace di vedere il nesso tra tali sovrastrutture economiche e il dominio mondiale politico, militare ed economico degli USA. Si capiscono meglio le ragioni che hanno spinto l'URSS a denunciare per tempo tali organismi al servizio del colonialismo e del neocolonialismo. L'espansione del raggio d'azione di FMI e BM agli stessi paesi periferici dell'Europa è stato peraltro amplificato e possibile proprio grazie alla crisi sopravvenuta a livello mondiale nel movimento comunista internazionale dagli anni '80 in poi.
31. E. Toussaint, 70 anni di Bretton Woods, della Banca Mondiale e del FMI, Nodo50.org-CCDP, 23 luglio 2014.
32. G. Arrighi, La globalizzazione nel Manifesto di Marx ed Engels ed oggi, in R. Rossanda (a cura di), Il Manifesto del Partito Comunista 150 anni dopo, Manifestolibri, Roma 2000, pp. 37-40.
33. D. Millet & E. Toussaint, Storia critica del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, Cadtm.org, 12 ottobre 2016.
34. D. Munevar & E. Toussaint, Banca Mondiale / FMI: la caduta del sistema debito, Cadtm.org, 23 ottobre 2016.
35. E. Toussaint, FMI e Banca Mondiale: l’ora del bilancio, Cadtm.org, 10 ottobre 2013.

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