19 Marzo 2024

13. IL POTERE DELLE MULTINAZIONALI

«Possiamo avere la democrazia o la ricchezza concentrata nelle mani di pochi ma non possiamo avere entrambe le cose». (Louis D. Brandeis, giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti)

«Nella nostra epoca, i padroni del mondo sono le conglomerate multinazionali, le enormi istituzioni finanziarie, gli imperi commerciali e così via. La vile massima che li guida è: “Tutto per noi e niente per gli altri”». (Noam Chomsky, da Chi sono i padroni del mondo, 2016)
Nel gioco della globalizzazione così concepita la fanno da padrone le multinazionali, le quali chiaramente non riguardano solo gli USA. È innegabile però che nel XX secolo le multinazionali più importanti e potenti abbiano avuto come centro operativo strategico, politico ed economico-finanziario proprio gli USA. Nonostante una tendenza verso un sempre maggiore multipolarismo il primato statunitense resta confermato anche dai dati più recenti: nel 2014 nella top 200 delle multinazionali quelle statunitensi sono 61, più di ogni altra nazione, ossia il 33,85% del fatturato complessivo della lista. Per far capire la dimensione assunta dal fenomeno basti pensare che in una classifica delle prime 100 entità economiche mondiali (in cui gli Stati siano rappresentati in base ai bilanci governativi), 68 sono multinazionali e solo 32 governi. La multinazionale con il fatturato più grosso, Wal-Mart, fa girare più soldi di paesi come Spagna, India, Australia o Russia. Ne consegue evidentemente un potere politico non indifferente: molte multinazionali hanno fatturati superiori al prodotto interno lordo degli Stati in cui operano e usano il loro potere per condizionare le scelte di governi e parlamenti.
Nel suo libro Confessioni di un sicario dell’economia, John Perkins descrive i metodi usati per corrompere i capi di Stato del Sud del mondo, anche se l’attività di lobby avviene più spesso in forma organizzata per avere più peso. Alcune delle associazioni create dalle multinazionali appositamente per svolgere attività di lobby politica sono: ERT (European Roundtable of Industrialists), USCIB (United States Council for International Business), ICC (International Chamber of Commerce), TBD (Transatlantic Bussiness Dialogue). Organismi di cui fanno parte Coca-Cola, Procter & Gamble, Danone, Unilever, Fiat e molte altre multinazionali. Cerchiamo di capire meglio come funzioni tale pratica: lo si spiega bene nella sesta edizione del rapporto Top 200. La crescita del potere delle multinazionali elaborato ormai da diversi anni dal “Centro Nuovo Modello di Sviluppo”:
«Contro il loro interesse, gli Stati si stanno sempre più organizzando per garantire alle multinazionali una posizione giuridica pari alla loro. Segno della loro totale sudditanza al potere economico. […] Uno degli accordi che ha fatto scuola è stato il Nafta, trattato stipulato fra Stati Uniti, Messico e Canada ed entrato in vigore il 1° gennaio 1994. In materia di investimenti prevede perfino l’obbligo per lo stato ospitante di garantire un quadro giuridico interno caratterizzato da stabilità, prevedibilità e coerenza. Un chiaro monito a non cambiare le leggi. E chi lo fa deve sapere che qualora la nuova norma arrechi danno alle imprese estere impiantate nel paese, queste possono chiedere un indennizzo per il danno subito. Molti accordi sugli investimenti hanno ripreso questa clausola e il numero di imprese che pretendono un indennizzo per i danni subiti dall’introduzione di nuove leggi è in crescita. I giudizi possono tenersi in varie sedi internazionali, le parti decidono quale. Una sede storica è la Banca Mondiale che già nel 1965 aveva istituito l’Icsid (International Center for Settlement of Investment Dispute) un centro per la risoluzione delle controversie sugli investimenti. Dal 1987 al 2016 i casi giudiziari avviati dalle multinazionali contro gli stati sono stati 696, alcuni dei quali fortemente allarmanti da un punto di vista della sovranità popolare e del bene comune».
In una globalizzazione costruita politicamente su misura per gli interessi statunitensi non deve stupire che le 50 più importanti aziende americane detengano all’estero, in paradisi fiscali, oltre 1600 miliardi di dollari, come denuncia l'OXFAM. È stato recentemente ricordato dalla stampa statunitense che «le grandi multinazionali spendono all’incirca 2,5 miliardi di dollari l’anno in azioni di lobbying tese non solo a comprare il favore della politica nei confronti di riforme del fisco lasche e pro-business, ma anche il silenzio nei confronti di pratiche controproducenti per il benestare sociale come l’evasione fiscale estera».36
Marx ricordava che lo Stato non è altro che il comitato d'affari della borghesia. Quanto detto finora dovrebbe aver chiarito a sufficienza lo strapotere del Capitale negli USA.
Cerchiamo di vedere esempi concreti, casi paradigmatici di settori produttivi chiave della classica economia “secondaria”, cercando di far emergere, attraverso i prossimi capitoli, il collegamento tra le multinazionali e l'imperialismo militar-politico statunitense, ben vivo tutt'oggi e causa del sottosviluppo di ampie aree del “Terzo Mondo”, oltre che di ricadute sociali e umane “interne”. Scegliamo per ora solo alcune multinazionali statunitensi, usando a piene mani la preziosa opera I crimini delle multinazionali di K. Werner & H. Weiss37, ricordando che l'elenco potrebbe essere molto, molto più lungo.
36. D. Morritti, Multinazionali USA detengono 1600 miliardi di dollari in paradisi fiscali, Money.it, 13 aprile 2017; F. Gesualdi (a cura di), Top 200. La crescita del potere delle multinazionali, Cnms.it, ottobre 2016.
37. K. Werner & H. Weiss, I crimini delle multinazionali, Newton Compton, Roma 2010.

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