19 Aprile 2024

1.02 LE VERE RESPONSABILITÀ DELLA GUERRA DI COREA

In ogni manuale scolastico occidentale si insegna che la guerra di Corea (1950-53) sia causata dai comunisti del Nord con l'attacco alla Corea del Sud nella prima mattinata del 25 giugno 1950.
Ciò, unito al fatto che l’intervento degli USA avviene con la legittimazione dell’ONU, fa sì che si parli poco del conflitto come di un'azione dell'imperialismo occidentale. Ci sono però alcuni fatti che mettono in discussione questa vulgata. In realtà quel giorno di giugno ha rappresentato semplicemente un atto dell’escalation di una guerra civile già in corso da diverso tempo. Il governo nordcoreano ha affermato che, nel solo 1949, l’Esercito e la polizia sudcoreani abbiano effettuato 2617 incursioni armate nel Nord per compiere omicidi, rapimenti, saccheggi e incendi dolosi, allo scopo di provocare disordini e turbare l’ordine sociale, oltre che per rafforzare la posizione strategica degli stessi invasori. Alle volte, sostiene il governo di Pyongyang, migliaia di soldati sono stati impegnati in una singola battaglia, provocando numerose vittime. In questo quadro il dibattito su chi abbia sparato il primo colpo il 25 giugno va decisamente ridimensionato.
Il governo nordcoreano afferma che l’invasione lanciata in grande stile il 25 giugno sia stata soltanto la risposta a due giorni di bombardamenti effettuati dai sudcoreani, il 23 e il 24, seguiti, il 25, da un attacco a sorpresa attraverso il confine contro la città occidentale di Haeju e altre località. In effetti la versione ufficiale borghese scricchiola nella descrizione di un travolgente attacco a sorpresa comunista, considerando che i sudcoreani già il 26 giugno annunciano la cattura della città nordcoreana di Haeju. Nonostante non manchino conferme indipendenti (tra cui osservatori militari americani) della presa sudcoreana di Haeju, successivamente il governo ha negato che tale conquista abbia mai avuto luogo, rendendosi conto dell’incompatibilità con la ricostruzione della storia “ufficiale” confezionata per il resto del mondo. Stride con il racconto mediatico anche la netta inferiorità numerica nordcoreana all’inizio delle ostilità: nel giugno 1950, secondo i dati dell’intelligence di MacArthur, 74.370 soldati nordcoreani, di cui circa 20.000 posti a guardia del confine, fronteggiano 87.500 soldati sudcoreani, di cui 32.500 schierati alla frontiera e 35.000 a un giorno di marcia dal 38° parallelo, mentre numerosi reparti dell’esercito di Kim Il Sung non sono ancora tornati dalla Cina.3
In realtà ci sono ottime ragioni per imputare il conflitto proprio al governo sudcoreano: il 26 giugno il New York Times ricorda che il suo presidente, Syngman Rhee abbia dichiarato in numerose occasioni che «il suo esercito avrebbe preso l’iniziativa se Washington avesse dato il consenso». Lo stesso giornale mostra come «stranamente quasi tutti i discorsi più bellicosi erano stati pronunciati dai leader della Corea del Sud». Ciò accade anche per la crisi dello stesso governo Rhee, il quale pochi giorni prima, il 30 maggio, aveva subito una sonora sconfitta nelle elezioni per l’Assemblea Nazionale. Una disfatta elettorale causata dall’estrema corruzione e impopolarità del suo governo, che aveva rifiutato di portare avanti progetti come la riforma agraria e l’istituzione formale di pari diritti per le donne, misure invece prese al Nord. William Blum afferma che Rhee è l’uomo scelto da Washington: «assolutamente filoamericano, fortemente anticomunista, sufficientemente controllabile. Il suo regime sarebbe divenuto rapidamente il paradiso dei latifondisti, dei collaborazionisti, dei ricchi capitalisti e di altri elementi conservatori». A ciò va aggiunta la feroce repressione verso i dissidenti: «qualsiasi coreano che non fosse di estrema destra era un comunista e un possibile traditore». Al momento dello scoppio della guerra Blum riferisce che nelle carceri sudcoreane siano rinchiusi almeno 14 mila prigionieri politici.
L’approvazione dell’ONU al mandato dato agli USA di condurre la guerra contro i nordcoreani è difficilmente conciliabile con l’idea che l’intervento bellico sia stato coordinato dai comunisti Stalin e Mao: non si capirebbe infatti l’assenza dell’URSS dalle riunioni del Consiglio di Sicurezza che approva indisturbato l'intervento in un consesso dominato da Stati alleati degli USA. Inoltre la prova esibita per corroborare l’ipotesi di un «attacco dal Nord», il telegramma inviato dal rappresentante americano a Seul John J. Muccio, è stata appositamente manipolata, non comunicando al segretario generale dell’ONU il testo originale di 171 parole in cui l’ambasciatore Muccio esprime dubbi sulla versione fornita dai militari sudcoreani, ma un breve riassunto di 38 parole dal quale è espunta ogni residua incertezza4. Il mandato che ne segue fa emergere le modalità con cui agiscono gli USA per difendere il proprio uomo al potere: uso di napalm e armi batteriologiche sulla popolazione civile, tentativi di assassinio del leader nordcoreano Kim Il Sung, esperimenti di «controllo mentale» sui prigionieri di guerra e frequenti violazioni dello spazio aereo cinese, con tanto di bombardamenti «per errore», il che rafforza l'intento di Mao di sostenere lo sforzo bellico nordcoreano. In conclusione si erge la domanda provocatoria posta da William Blum: «Una volta, tanto tempo fa, gli Stati Uniti combatterono una grande guerra civile durante la quale il Nord cercò di riunificare il paese diviso tramite il ricorso alla forza militare. La Corea o la Cina o qualsiasi altra potenza straniera inviarono mai un esercito per massacrare gli americani, incolpando Lincoln dell’aggressione?»5
3. B. Cumings, The Korean War: A History, Modern Library Edition, 2010, pp. 5-6.
4. C. Liem, The Korean War: an unanswered question, Committee for a New Korea Policy, 1992, p. 7. Il dottor Channing Liem è stato un diplomatico sudcoreano e ambasciatore dell'ONU.
5. Fonte per i dati e le citazioni ulteriori è W. Blum, Il libro nero degli Stati Uniti, cit., pp. 65-80.

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