20 Aprile 2024

10.1. IL MITO DI PATRICE LUMUMBA


Di seguito un discorso di Lumumba che ci aiuta a capire perché l'imperialismo lo abbia voluto morto. Si tratta di parole pronunciate il 30 giugno 1960 a Léopoldville, in occasione della cerimonia per l'indipendenza congolese59:
«Cittadini e cittadine Congolesi, combattenti per l'indipendenza oggi vittoriosi, vi saluto a nome del governo congolese, a tutti voi, amici miei, che avete lottato senza tregua al nostro fianco, vi chiedo di rendere questo 30 giugno 1960 una data illustre che conserverete indelebilmente incisa nei vostri cuori, una data della quale, fieramente, insegnerete il significato ai vostri figli, perché essi, a loro volta, facciano conoscere ai loro figli la storia gloriosa della nostra lotta per la libertà. Perché quest'indipendenza del Congo, seppur oggi proclamata d'intesa con il Belgio, paese amico col quale trattiamo da pari a pari, non potrà tuttavia mai far dimenticare a nessun Congolese degno di questo nome che è attraverso la lotta che è stata conquistata (applausi), una lotta quotidiana, una lotta ardente e idealista, una lotta nella quale non abbiamo risparmiato né le nostre forze, né privazioni, sofferenze e nemmeno il nostro sangue. Di questa lotta, che fu di lacrime, fuoco e sangue, noi siamo fieri fin nel profondo di noi stessi, perché fu una lotta nobile e giusta, una lotta indispensabile per mettere fine all'umiliante schiavitù che ci è stata imposta con la forza. Di ciò che è stata la nostra sorte in 80 anni di regime coloniale, abbiamo ancora le ferite troppo fresche e dolorose perché noi possiamo dimenticarle; abbiamo conosciuto il lavoro sfibrante, preteso in cambio salari che non ci permettevano né di mangiare per saziare la nostra fame, né di vestirci o alloggiare decentemente, né di crescere i nostri figli come creature amate. Abbiamo conosciuto le ironie, gli insulti, le botte che dovevamo subire mattina pomeriggio e sera perché eravamo negri. Chi dimenticherà che a un nero si dava del “tu”, non certo come a un amico, ma perché il “voi” formale era riservato ai soli bianchi? Abbiamo visto le nostre terre spogliate in nome di testi solo nominalmente legali, che non facevano altro che riconoscere la legge del più forte. Abbiamo visto che la legge non era mai la stessa a seconda che si rivolgesse a un Bianco o a un Nero, accomodante per l'uno, crudele e disumana per l'altro. Abbiamo conosciuto le sofferenze atroci dei carcerati per ragioni politiche o religiose, esuli nella propria stessa patria: la loro sorte era davvero peggiore della morte. […] Chi dimenticherà, infine, le sparatorie in cui perirono tanti dei nostri fratelli, le segrete in cui furono brutalmente gettati coloro che non vollero più sottomettersi al regime di una giustizia oppressiva e sfruttatrice... Tutto questo, fratelli miei, abbiamo sofferto, e profondamente. Ma tutto ciò, noi che il voto dei vostri rappresentanti eletti ha scelto per governare il nostro caro paese, noi che abbiamo sofferto nel corpo e nel cuore per l'oppressione colonialista, noi ve lo diciamo ad alta voce: tutto ciò è ormai finito.
La Repubblica del Congo è stata proclamata e il nostro caro paese è oggi nelle mani dei suoi figli. Insieme, fratelli e sorelle, cominceremo una nuova lotta, una lotta sublime che porterà il nostro paese alla pace, alla prosperità e alla grandezza. Stabiliremo insieme la giustizia sociale e ci assicureremo che ognuno riceva la giusta remunerazione per il suo lavoro. Mostreremo al mondo ciò che può fare l'uomo nero quando lavora da uomo libero, e faremo del Congo il centro di influenza di tutta l'Africa. Vigileremo affinché le terre della nostra patria diano davvero profitto per i suoi figli. Revisioneremo tutte le vecchie leggi e ne faremo di nuove che siano giuste e nobili. Porremo fine all'oppressione del libero pensiero e faremo in modo che tutti i cittadini godano pienamente delle libertà fondamentali previste dalla Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo. Sopprimeremo con forza le discriminazioni, tutte ed ognuna, e daremo ad ognuno la posizione richiesta dalla sua dignità, dal suo lavoro e dalla sua devozione al paese. Faremo regnare non la pace dei fucili e delle baionette, ma la pace dei cuori e della buona volontà. E per fare tutto ciò, cari compatrioti, siate certi che potremo contare non soltanto sulle nostre immense forze e sulle nostre grandi ricchezze, ma sull'aiuto di numerosi paesi stranieri dei quali accetteremo la collaborazione ogni volta che sarà leale e che non cercherà di imporci una qualsivoglia politica. In questo senso, il Belgio, che ha infine compreso il senso della storia, non ha cercato di opporsi alla nostra indipendenza ed è pronto ad offrirci il suo aiuto e la sua amicizia, ed è appena stato firmato un trattato tra i nostri due paesi uguali e indipendenti. Questa cooperazione, ne sono certo, sarà vantaggiosa per entrambi i paesi. Da parte nostra, pur restando attenti, sapremo rispettare gli impegni presi liberamente. Quindi, tanto all'interno quanto all'esterno, la nostra cara Repubblica del Congo che il mio governo forgerà sarà un paese ricco, libero e prospero. Ma per arrivare rapidamente a questo obiettivo, a tutti voi legislatori e cittadini congolesi, chiedo di aiutarmi con tutte le vostre forze. Chiedo a tutti di dimenticare le faide tribali che consumano le nostre forze e che rischiano di farci disprezzare all'estero. Chiedo alla minoranza parlamentare di aiutare il mio governo con un'opposizione costruttiva e di rimanere strettamente nell'ambito della legalità e della democrazia. Chiedo a tutti di non indugiare di fronte a nessun ostacolo per assicurare la riuscita della nostra grandiosa impresa. Vi chiedo infine di rispettare incondizionatamente la vita e i beni dei vostri concittadini e degli stranieri che abitano nel nostro paese. Se il comportamento di questi stranieri lascia a desiderare, la nostra Giustizia sarà pronta ad espellerli dal territorio della Repubblica. Se invece il loro comportamento sarà corretto, bisogna lasciarli in pace, perché anche loro contribuiscono alla prosperità del nostro paese. L'indipendenza del Congo costituisce un passo verso la liberazione di tutto il continente africano.
Ecco, Sire, Eccellenze, Signore, Signori, miei cari compatrioti, fratelli della mia razza, fratelli di lotta, ciò che ho voluto dirvi a nome del governo in questo magnifico giorno della nostra indipendenza completa e sovrana. Il nostro governo forte, nazionale, popolare sarà la salvezza di questo paese. Invito tutti i cittadini congolesi, uomini, donne e bambini, a mettersi risolutamente al lavoro al fine di creare un'economia nazionale fiorente che consacrerà la nostra indipendenza economica. Onore ai combattenti per la libertà nazionale! Viva il Congo indipendente e sovrano!»
Un discorso considerato all'epoca da molti come eversivo, tant'è che abbiamo visto quali siano state le reazioni delle potenze occidentali al rischio di un Congo realmente libero e indipendente. Questa che segue invece è l'ultima lettera scritta alla moglie.
Emerge l'aspetto più umano di Lumumba, un eroe tragico che non bisogna dimenticare:
«Mia cara compagna, ti scrivo queste righe senza sapere se e quando ti arriveranno e se sarò ancora in vita quando le leggerai. Durante tutta la lotta per l'indipendenza del mio paese, non ho mai dubitato un solo istante del trionfo finale della causa sacra alla quale i miei compagni ed io abbiamo dedicato la vita. Ma quel che volevamo per il nostro paese, il suo diritto a una vita onorevole, a una dignità senza macchia, a un'indipendenza senza restrizioni, il colonialismo belga e i suoi alleati occidentali – che hanno trovato sostegni diretti e indiretti, deliberati e non, fra certi alti funzionari delle Nazioni Unite, quest'organismo nel quale avevamo riposto tutta la nostra fiducia quando abbiamo fatto appello al suo aiuto – non lo hanno mai voluto. Hanno corrotto dei nostri compatrioti, hanno contribuito a deformare la verità e a macchiare la nostra indipendenza... Morto, vivo, libero o in prigione per ordine dei colonialisti, non è la mia persona che conta. È il Congo, il nostro povero popolo... Ma la mia fede resterà incrollabile. So e sento in fondo a me stesso che presto o tardi il mio popolo si solleverà come un sol uomo per dire no al capitalismo degradante e vergognoso e per riprendere la sua dignità sotto un sole puro... Ai miei figli, che lascio e forse non rivedrò più, voglio che si dica che il futuro del Congo è bello e che aspetta da loro, come da ogni congolese, che completino il compito sacro della ricostruzione della nostra indipendenza e della nostra sovranità, poiché senza dignità non c'è libertà, senza giustizia non c'è dignità e senza indipendenza non ci sono uomini liberi. Né le brutalità, né le sevizie né le torture mi hanno mai spinto a domandare la grazia, perché preferisco morire a testa alta, con la mia fede incrollabile e la fiducia profonda nel destino del mio paese, piuttosto che vivere nella sottomissione e nel disprezzo dei sacri princìpi. La storia si pronuncerà un giorno, ma non sarà la storia che si insegnerà a Bruxelles, a Washington, a Parigi o alle Nazioni Unite, ma quella che si insegnerà nei paesi liberati dal colonialismo e dai suoi fantocci. L'Africa scriverà la sua storia, una storia di gloria e di dignità a nord e a sud del Sahara. Non piangermi, compagna mia. Io so che il mio paese, che tanto soffre, saprà difendere la sua indipendenza e la sua libertà».60
59. P. Lumumba, Discours à la cérémonie de l’indépendance congolaise, Léopoldville, Etoilerouge.chez-alice.fr, 30 giugno 1960, traduzione dal francese a cura di Doriano Pozzi.
60. Reperibile in diversi siti, si è scelta la versione riportata su Infoaut, 17 Gennaio 1961: Patrice Lumumba, Infoaut.org, 17 gennaio 2017.

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