27 Aprile 2024

13. LA STORIA DELL'APARTHEID SUDAFRICANO

«Il solo paese africano nel quale si potessero applicare parzialmente le classiche analisi marxiste e leniniste era il Sudafrica, paese capitalistico sviluppato e industrializzato data la presenza di coloni bianchi, dove si formò un autentico movimento di liberazione di massa, che andava al di là delle frontiere tribali e razziali – il Congresso Nazionale Africano –, con l'aiuto dell'organizzazione di un autentico sindacato di massa e di un efficiente partito comunista». (Eric Hobsbawm)70

«L'apartheid, in realtà, è stata universale ed è durata secoli».
(Fidel Castro, discorso al Parlamento del Sudafrica del 4 settembre 1998)71
La storia del Sudafrica è particolarmente paradigmatica del ruolo giocato da un lato dall'imperialismo, dall'altro dall'Unione Sovietica e dai comunisti. Perciò è utile in questo caso svolgere una storia particolareggiata di cosa sia stato il '900 in questo paese, che ha visto l'apartheid proseguire indisturbato formalmente fino a metà degli anni '90, ma sostanzialmente tuttora in vigore nella difficile situazione economico-sociale di una realtà che continua ad essere sconvolta da tragici squilibri. Nel ricostruire gli eventi ci avvaliamo dell'opera di Hosea Jaffe, Sudafrica. Storia politica72.
Se i primi insediamenti europei nella regione risalgono al '500, opera dei Portoghesi, la colonizzazione vera e propria è messa in atto dagli olandesi a partire dal '600. Attraverso una serie di feroci guerre e usando l'arma “diplomatica” dei missionari come spie al servizio dei potentati coloniali, le tribù locali vengono progressivamente espropriate delle proprie terre e del proprio bestiame, in un processo che serve anche a trasformare liberi contadini in manodopera salariata a basso costo per i colonizzatori. È nell'800 però che il paese assume le fattezze odierne, raggiungendo l'estensione dei confini attuali. L'apartheid, iniziato a fine 18° secolo in maniera congiunta dai boeri (altro nome degli olandesi locali) e dagli inglesi, viene progressivamente esteso a tutta la regione. A fine '800 nascono i grandi monopoli commercial-finanziari locali, tra cui la British South Africa Chartered Company e la Chamber of Mines, fusione di società minerarie che finanzia e controlla media, scuole, Stato e Chiesa. Nel giro di un secolo la Chambers of Mine estrae il 45% della produzione mondiale di oro, utilizzando come minatori indigeni rinchiusi in recinti abitativi, veri e propri campi di concentramento ante-litteram messi in piedi dal britannico Rhodes. Gli indigeni sono controllati da lavoratori bianchi, usati come vigilanti. Gli unici sindacati leciti sono quelli dei bianchi, mentre quelli degli africani sono illegali. La paga per i minatori indigeni viene fissata a 3 sterline al mese, e rimarrà tale fino a fine '900. Essendo la manodopera insufficiente si attuano misure di ogni tipo (come ad esempio il decreto di Glen Grey, 1894) per espropriare gli africani delle proprie terre, obbligandoli a diventare lavoratori salariati. L'istruzione per gli indigeni è ridotta al minimo con «scuole industriali» affidate alle missioni religiose, che formano gli africani per il lavoro manuale, non prevedendo istruzione accademica. Rhodes ne spiega il motivo: «Dobbiamo affrontare il problema e inculcare nelle loro menti che in futuro nove decimi di loro dovranno passare la vita lavorando ogni giorno, un lavoro fisico, manuale».
Ancora negli anni '90 (del '900!) il 91% delle scuole di meticci e il 95% delle scuole africane sono gestite da chiese confessionali e su 7 grandi università solo 2 accettano non europei (che sono il 7% della popolazione universitaria). Inutile aggiungere che il diritto di voto è sostanzialmente assente per gli indigeni. Questi principi su terra, lavoro, diritti civili e istruzione restano i cardini della politica governativa fino al 1994. Si parla per tutto questo periodo del «fascismo coloniale britannico» che cambia solo forma nel 1909 con la nascita dell'Unione Sudafricana, la quale sancisce l'oppressione politica così consolidatasi. Il Land Act del 1913 proibisce l'acquisto di terreni da parte degli africani, determinando il predominio degli agricoltori bianchi possidenti; solo il 6% degli africani “rurali” possiede in quella data terreni comunitari o privati, per un totale dell'1,2% dell'intera superficie. Il riconoscimento del Land Act verrà imposto a Mandela come una delle condizioni necessarie per la messa a termine dell'apartheid, riconosciuto così dal governo del 1994 come data prima della quale la terra acquisita dai coloni non può venire reclamata dagli africani.
Dopo la prima guerra mondiale nascono anche qui i primi sindacati e il partito comunista (SACP), all'inizio però egemonizzato dai razzisti bianchi, che usano slogan come «Sudafrica bianco e socialista». È negli anni '20 che il Comintern inizia a rimettere in riga l'organizzazione mettendola al servizio della lotta all'apartheid attraverso l'unità d'azione con le organizzazioni degli indigeni africani. Dopo la seconda guerra mondiale si intensificano le leggi mirate ad attuare uno stretto controllo della popolazione non bianca e con l'avvento della guerra fredda si dà avvio alla repressione di ogni organizzazione comunista e sindacale, vietando riunioni e discorsi in pubblico: è l'imposizione di un sistema totalitario e fascista applicato a tutti i non europei (oltre agli indigeni africani è sempre stata forte una minoranza indiana, favorita dai traffici britannici per aumentare le riserve di manodopera). L'apartheid in questa fase si intensifica: una legge del 1949 ostacola i matrimoni misti, mentre una legge sull'immoralità del 1950 proibisce rapporti tra europei e non europei. Obiettivo resta la separazione-segregazione dei tre gruppi etnici secondo criteri «etnici, linguistici, culturali e altri», compresa la segregazione degli africani in base alle diverse tribù. L'ottica è il consueto “divide et impera”. Viene condannato come comunista chiunque partecipi ad una manifestazione o dia un opuscolo. L'effetto è retroattivo e le pene previste sono: deportazioni, confino, intimidazioni, destituzioni, confische di beni, carcere. La legge sull'anagrafe sancisce infine la creazione di registri con dettagli razziali. In questa fase il 5% della popolazione gode del 60% del reddito nazionale. Un altro 16% di bianchi (classe lavoratrice e burocrazia) ha il 24% della ricchezza. 26 milioni di neri, l'80% della popolazione, deve invece accontentarsi del 16% del reddito nazionale. I lavoratori neri essenziali sono contadini emigranti, hanno il “posto fisso” ma sono obbligati a vivere nelle riserve dove la Polizia gestisce l'ordine con brutalità e frequenti stragi. Frequenti sono poi gli incidenti sul lavoro nelle miniere. L'indice di mortalità nei recinti abitativi è il più alto del mondo. Pur in un contesto estremamente difficile, le lotte più o meno radicali non mancano, ma vengono represse nel sangue. Famosi a riguardo sono il 21 marzo 1960 i massacri di Sharpeville e Langa, dove la polizia spara su dimostranti disarmati. Seguono una serie di rivolte e scioperi in un clima da guerra civile.
È dopo Sharpeville che nascono gruppi terroristici come il Poqo e l'Umkonto we sizwe (“lancia della nazione”, dell'ANC). All'inizio degli anni '60 si svolgono rivolte agricole anti-sistema, anti-fiscali e contro i capi tribù collaborazionisti, bollati come traditori. Seguono migliaia di arresti arbitrari, torture, processi e condanne a morte. L'ondata di repressioni rafforza però i movimenti di guerriglia con basi in Tanzania e Zambia. La direzione è in mano all'ANC e ai comunisti ma non mancano svariate altre organizzazioni politiche in lotta contro il sistema, seppur con metodi e approcci diversificati. In parallelo alla lotta armata svolge un ruolo importante la campagna di sensibilizzazione internazionale con cui le opposizioni politiche invocano sanzioni e boicottaggio economico verso il Sudafrica.
Ancora nel 1978 la CEE conferma però il proprio orientamento pro-apartheid e respinge la richiesta di un embargo; un progressivo cambio di linea avviene solo dalla metà degli anni '80. Più delle sanzioni economiche, spesso inefficaci o non effettuate, riesce a fare la crisi del sistema mondiale, che porta al crollo del prezzo dell'oro: la crisi economica del paese (inflazione, indebitamento e disoccupazione cronica) porta ad una stagnazione economica che, unita alle persistenti lotte popolari, convince finalmente il governo sudafricano a collaborare.
È il periodo della «crisi costituzionale» (1985-94) che conduce alle elezioni dell'aprile 1994 e alla nascita del governo di unità nazionale guidato da Mandela.
Il risultato è una politica di compromesso che non riesce ad incidere sull'assetto imperialista, classista e razzista del paese, ma apre quantomeno all'affermazione universale dei diritti politici e civili. ANC e SACP accettano di avviare i negoziati a fine anni '80 anche in conseguenza della crisi dell'URSS, che ormai non riesce più a sostenere con rifornimenti militari e finanziari la guerriglia anti-apartheid. Si può affermare tranquillamente che senza tale sostegno non ci sarebbe molto probabilmente mai stata neanche la fine formale della segregazione razziale, anche se il risultato finale del nuovo regime non è esaltante, dato che già dal 1989 l'ANC è costretto ad accettare nelle proprie linee-guida per il post-apartheid misure come l'economia mista, la «diversità culturale», la conservazione, sia pur mutata, dell'istituzione dei capi ereditari (i capiclan monarchi delle tribù). Il processo viene riconosciuto e incoraggiato dagli stessi comunisti, che accettano il principio dell'«economia mista» proponendo un percorso «in due tappe» verso il socialismo (prima la fine dell'apartheid, poi in futuro le progressive nazionalizzazioni). La politica di Mandela è insomma molto prudente, tesa a favorire l'arrivo di capitali esteri, l’estensione dei contatti diplomatici e l’avvio di buoni rapporti internazionali a tutto campo (compreso Israele). È una politica dell'equilibrio che cerca di accontentare sia gli oppressi che i bianchi, ma che nella sua moderazione e nella disuguaglianza esistente va paradossalmente più a vantaggio dei secondi, almeno sul breve periodo. D'altronde tali negoziati si svolgono in un clima di violenze sociali persistenti: nel 1990-91 si contano oltre 3000 morti. Nel 1992 si verificano i massacri di Boipatong (38 morti) e di Bisho (40 morti, dimostranti dell'ANC). La Commissione per la Verità provvederà a concedere una larga amnistia per tutti i crimini verso gli oppositori politici compiuti fino all'aprile 1994. Secondo Jaffe il Sudafrica resta un imperialismo in cui la maggioranza della popolazione ha la funzione di neocolonia interna. Nel 2001 George Soros sembrerebbe dargli ragione, dichiarando al Forum economico di Davos: «Il Sudafrica è nelle mani del capitale internazionale».73 In questo contesto il SACP ha mantenuto dal 1994 in poi l'alleanza organica con l'ANC, ma nel proprio 14° congresso (luglio 2017), «il rieletto segretario generale del SACP, Blade Nzimande, ha dichiarato che settori dell'ANC hanno tradito l'obiettivo dell'alleanza ed ha espresso la profonda preoccupazione del SACP in merito al futuro dell'alleanza nel suo attuale formato».
Il compito principale che si danno ora i comunisti è quello di ancorare la propria «prospettiva strategica di medio termine a una seconda e più radicale fase nella transizione del paese con la demonopolizzazione dell'economia del Sudafrica».74
70. E. Hobsbawm, Il secolo breve, cit., p. 525.
71. F. Castro, Discorso al parlamento sudafricano, Civilizacionsocialista.blogspot.it-CCDP, 4 settembre 1998.
72. H. Jaffe, Sudafrica. Storia politica, Jaca Book, Milano 1997.
73. J. Pilger, Dall’apartheid al neoliberismo in Sudafrica. L’eredità problematica di Mandela, Counterpunch.org-CCDP, 24 luglio 2013.
74. Da un sintetico resoconto del 14° Congresso del Sacp, redatto da Marian Alexander Baby, uno dei dirigenti del Partito Comunista dell’India (Marxista): M. A. Baby, Il quattordicesimo Congresso del Partito Comunista Sudafricano (SACP), People's Democracy-Marx21 (web), 2 agosto 2017.

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