27 Aprile 2024

4.2. L'ARTE DEL COMPROMESSO INSEGNATA DA LENIN

Un aspetto fondamentale nel bolscevismo è la capacità di non improvvisare la direzione strategica, grazie ad una adeguata cultura politica. Nella scelta di realizzare un compromesso come quello fatto con Hitler, Stalin si mostra in tutto e per tutto figlio della cultura “leninista”. Lenin ha teorizzato e giustificato in maniera precisa come l'unica cosa che conti sia non l'atto morale in sé, ma l'avanzamento del livello di potenza dell'organizzazione della classe operaia. Così si spiega ad esempio il patto di Brest-Litovsk del 1918 fatto con gli imperialisti tedeschi per raggiungere la tanto necessaria pace. Cade un'altra delle argomentazioni storiche su cui battono coloro che sostengono la non-continuità ideologica tra Lenin e Stalin. Uno dei motivi più usati con cui si è inteso parlare di “degenerazione stalinista” è stato proprio il riferimento al patto Molotov-Von Ribbentrop. Leggiamo cosa dice Lenin sulla necessità di non essere dogmatici sapendosi districare nella realpolitik:
«“Il dogmatismo, il dottrinarismo, la fossilizzazione del partito sono il castigo inevitabile della violenta compressione del pensiero”: ecco i nemici contro i quali scendono in campo i campioni della “libertà di critica” […]. Siamo felicissimi che tale questione sia stata posta all'ordine del giorno; ma proporremmo di completarla con la seguente: chi sono i giudici? […] La famosa libertà di critica non significa sostituzione della teoria con un'altra, ma significa libertà da ogni teoria coerente e ponderata, eclettismo e mancanza di princìpi. Se è necessario unirsi - scriveva Marx ai capi del partito - fate accordi allo scopo di raggiungere i fini pratici del movimento, ma non fate commercio dei princìpi e non fate “concessioni” teoriche». (dal Che fare?, 1902)
«Per un vero rivoluzionario il pericolo più grande, fors'anche l'unico, è l'esagerazione rivoluzionaria, l'oblio dei limiti e delle condizioni che rendono opportuna ed efficace l'applicazione dei metodi rivoluzionari. È qui che i veri rivoluzionari si sono più spesso rotti l'osso del collo, quando si son messi a scrivere la parola “rivoluzione” con la maiuscola, a fare della “rivoluzione” qualcosa di quasi divino, a perdere la testa e perdere la facoltà di riflettere col massimo sangue freddo e a mente chiara, di pesare, di verificar e in quale momento, in quali circostanze, in quale campo d'azione bisogna saper passare all'azione riformista. I veri rivoluzionari periranno soltanto nel caso in cui perdessero la facoltà di ragionare freddamente e s'immaginassero che la “rivoluzione”, “grande, vittoriosa, mondiale”, possa e debba assolutamente risolvere per via rivoluzionaria ogni sorta di problemi, in qualsiasi circostanza, e in tutti i campi dell'azione».
(da L'importanza dell'oro oggi e dopo la conquista del socialismo, 6-7 novembre 1921)

«La nostra dottrina non è un dogma, ma una guida per l'azione, hanno sempre sostenuto Marx ed Engels, burlandosi a ragione delle “formule” imparate a memoria e ripetute meccanicamente, le quali, nel migliore dei casi, possono tutt'al più indicare i compiti generali che vengono di necessità modificati dalla situazione economica e politica concreta di ciascuna fase particolare del processo storico». (da Lettere sulla tattica, scritte e pubblicate nell'aprile 1917)
Infine una serie di illuminanti considerazioni dall'opera L'estremismo malattia infantile del comunismo (1920), un testo tuttora indispensabile sulle questioni di tattica:
«Vi sono compromessi e compromessi. Si deve essere capaci di analizzare le circostanze e le condizioni concrete di ogni compromesso e di ogni specie di compromesso. Si deve imparare a distinguere l’uomo che ha dato denaro e armi ai banditi per ridurre il male che i banditi commettono e facilitarne l‘arresto e la fucilazione, dall’uomo che dà denaro e armi ai banditi per spartire con essi la refurtiva. Nella politica, questo non è sempre così facile come nel piccolo esempio che ho citato e che un bambino può comprendere. Ma chi volesse escogitare una ricetta per gli operai, che offrisse loro decisioni preparate in anticipo per tutti i casi della vita, o promettesse loro che nella politica del proletariato rivoluzionario non ci saranno mai difficoltà e situazioni complicate, sarebbe semplicemente un ciarlatano».

«Fabbricare una ricetta o una regola generale (“nessun compromesso”!) che serva per tutti i casi, è una scempiaggine. Bisogna che ognuno abbia la testa sulle spalle, per sapersi orientare in ogni singolo caso. L’importanza dell’organizzazione di partito e dei capi di partito che meritano questo appellativo, consiste per l’appunto, tra l’altro, nell’elaborare - mediante un lavoro lungo, tenace, vario, multiforme di tutti i rappresentanti pensanti di una data classe - le cognizioni necessarie, la necessaria esperienza e - oltre le cognizioni e l’esperienza - il fiuto politico necessario per risolvere rapidamente e giustamente le questioni politiche complicate».
«Bisogna comprendere la necessità di completare questa scienza con la scienza della ritirata in buon ordine. Bisogna comprendere - e la classe rivoluzionaria impara a comprendere dalla propria amara esperienza - che non si può vincere senza avere appreso la scienza dell’offensiva e la scienza della ritirata. Fra tutti i partiti d’opposizione e rivoluzionari battuti, il partito dei bolscevichi si ritirò con maggiore ordine, con le minori perdite per il suo “esercito”, conservandone meglio il nucleo, con le scissioni minori (per profondità e insanabilità), con la minor demoralizzazione e con la maggiore capacità di riprendere il lavoro nel modo più ampio, giusto ed energico. E i bolscevichi ottennero questo soltanto perché smascherarono e scacciarono spietatamente tutti i facitori di frasi rivoluzionarie, i quali non volevano capire che bisognava ritirarsi, che bisognava sapersi ritirare, che bisognava imparare a qualunque costo a lavorare legalmente nei parlamenti più reazionari, nelle più reazionarie organizzazioni sindacali, cooperative, di assicurazioni e simili».

«tutta la storia del bolscevismo, prima e dopo la Rivoluzione di Ottobre, è piena di casi di destreggiamenti, di accordi, di compromessi con altri partiti, compresi i partiti borghesi! Condurre la guerra per il rovesciamento della borghesia internazionale, guerra cento volte più difficile, più lunga e più complicata della più accanita delle guerre abituali tra gli Stati, e rinunciare in anticipo e destreggiarsi, a sfruttare gli antagonismi di interessi (sia pure temporanei) tra i propri nemici, rinunciare agli accordi e ai compromessi con dei possibili alleati (sia pure temporanei, poco sicuri, esitanti, condizionati), non è cosa infinitamente ridicola? Non è come se nell’ardua scalata di un monte ancora inesplorato e inaccessibile, si rinunciasse preventivamente a far talora degli zigzag, a ritornare qualche volta sui propri passi, a lasciare la direzione presa all’inizio per tentare direzioni diverse? […] Si può vincere un nemico più potente soltanto con la massima tensione delle forze e alla condizione necessaria di utilizzare nella maniera più diligente, accurata, attenta, abile, ogni benché minima “incrinatura” tra i nemici, ogni contrasto di interessi tra la borghesia dei diversi paesi, tra i vari gruppi e le varie specie di borghesia nell’interno di ogni singolo paese, e anche ogni minima possibilità di guadagnarsi un alleato numericamente forte, sia pure temporaneo, incerto, incostante, instabile, infido, non incondizionato. Chi non ha capito questo, non ha capito un acca né del marxismo, né del moderno socialismo scientifico in generale. Chi non ha praticamente dimostrato, durante un periodo di tempo abbastanza lungo e in situazioni politiche abbastanza varie, di essere capace di applicare nella pratica questa verità, non ha ancora imparato ad aiutare la classe rivoluzionaria nella sua lotta per liberare tutta l’umanità lavoratrice dagli sfruttatori. E ciò che si è detto si riferisce egualmente al periodo anteriore e al periodo successivo alla conquista del potere politico da parte del proletariato».

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