20 Aprile 2024

2.11. LA CONTROFFENSIVA PADRONALE NEGLI ANNI '80

La svolta politica dal protagonismo operaio degli anni '70 alla controffensiva padronale degli anni '80 è simboleggiata dai 35 giorni di lotta alla FIAT. Michelino83:
«La strada è aperta ancora una volta alla FIAT che, il 9 ottobre del 1979, licenzia 61 operai degli stabilimenti di Mirafiori, Rivalta e Lancia Chivasso; la maggioranza dei 61 sono operai attivi nelle lotte. L'azienda giustifica il loro licenziamento come una misura per combattere il terrorismo in fabbrica. In realtà la strategia dei dirigenti FIAT tende a ridurre il più possibile il personale per realizzare una profonda ristrutturazione del settore auto. Infatti, dopo il licenziamento dei 61, la direzione aziendale continua l'espulsione del personale, prima con i licenziamenti per assenteismo (che colpiscono ammalati, invalidi, donne in maternità, ricoverati in ospedale), poi con i licenziamenti in massa. Il 10 settembre del 1980 a Roma avviene la rottura delle trattative con la FLM (il sindacato unitario dei metalmeccanici): la FIAT voleva mettere in mobilità esterna migliaia e migliaia di lavoratori; la FLM rifiutava questa impostazione, considerandola “un'anticamera dei licenziamenti” e proponeva il ricorso alla cassa integrazione, con la rotazione dei cassintegrati, la mobilità interna, il blocco del turn-over. Rotte le trattative, la FIAT annuncia che avvierà la procedura di licenziamento per 14.000 dipendenti; il giorno 11 settembre gli operai del primo turno di Mirafiori proclamano 8 ore di sciopero e la lotta continua ad oltranza nei giorni successivi. In questo periodo il PCI soffia sul fuoco della protesta operaia, nel tentativo di arginare le sue emorragie elettorali, dovute alla politica dei sacrifici di cui si è fatto gestore in prima persona nelle fabbriche. Ma con il passare dei giorni aumentano le difficoltà degli scioperanti: il numero degli operai attivi tende a calare, tant'è che il sindacato e il PCI rinforzano i picchetti portando a Torino delegati da ogni città. Nel frattempo la direzione FIAT trova dei servi intelligenti che le organizzano una manifestazione per le vie di Torino dei capi e dei crumiri raccolti da tutti gli stabilimenti del gruppo, per rivendicare il proprio “diritto al lavoro”. Dopo 35 giorni di sciopero ad oltranza, viene firmato a Roma un accordo fra sindacato e FIAT che non corrisponde affatto all'impostazione iniziale della FLM, perché non contiene la rotazione della cassa integrazione. Le assemblee sono tenute personalmente dai capi delle tre confederazioni sindacali per far approvare a tutti i costi l'accordo; ma il giudizio della grande maggioranza degli operai è negativo e Lama, Benvenuto e Carniti rischiano di essere malmenati dagli operai furibondi e sono costretti a scappare, ingloriosamente protetti dalla polizia. […] Nel giugno del 1982 la Confindustria annuncia ufficialmente che non intende rinnovare la firma dell'accordo del 1975 sul punto unico di contingenza. Nelle maggiori fabbriche gli operai abbandonano il lavoro e scendono nelle piazze. Il 22 gennaio del 1983 CGIL-CISL-UIL, riconoscendo nel costo del lavoro un fattore di inflazione, concordano unitariamente con i padroni il primo taglio della scala mobile (in realtà un primo taglio della scala mobile avvenne nel 1977 all'epoca in cui il PCI faceva parte della maggioranza di governo) [qui Michelino semplifica polemicamente la posizione del PCI che non era nella maggioranza formalmente ma che nella sostanza appoggiava dall'esterno il Governo democristiano, ndr]. Il 14 febbraio un decreto del governo guidato dal socialista Craxi, con il pieno appoggio di Benvenuto (UIL), Carniti (CISL) e Del Turco (minoranza socialista della CGIL), taglia di 4 punti la scala mobile. Pur riconoscendo la necessità della riduzione del “costo del lavoro” e degli automatismi salariali, la maggioranza della CGIL (egemonizzata dal PCI) si schiera contro il decreto, in quanto contraria allo spirito “decisionista” del governo Craxi. Come conseguenza di questa spaccatura, i capi sindacali decidono lo scioglimento delle forme unitarie, prima fra tutte la FLM. Cresce sempre più, a partire da questo momento, un atteggiamento competitivo fra le varie organizzazioni sindacali, che tuttavia su un punto rimangono concordi: la necessità per i padroni dei profitti, a cui qualunque rivendicazione operaia deve essere subordinata; nasce la teoria della “compatibilità”. Alla fine del 1984 i disoccupati ufficiali sono 2 milioni e mezzo. I cassintegrati hanno raggiunto il numero di 438 mila, mentre le ore di sciopero (31 milioni) per la prima volta sono scese, avvicinandosi al minimo storico del 1952 (28 milioni di ore). Intanto un milione di lavoratori stranieri (un numero superiore al totale degli operai metalmeccanici) che lavorano in condizioni disagiate, sottopagati, costretti a subire continui ricatti sotto la minaccia del rimpatrio, cominciano —sia pur timidamente—a comparire sulla scena della lotta di classe. Il 9 giugno 1985 si fa il referendum contro il decreto di 4 punti di contingenza tagliati, organizzato con raccolte di firme dal PCI. Sul referendum non tutto il PCI è compatto. Alcune componenti del partito e una parte di quella “comunista” della CGIL, con a capo Lama, attuano un'azione di sabotaggio. La campagna elettorale si infiamma, e in alcune fabbriche si arriva a scontri fisici fra operai e sindacalisti. Su un problema che riguarda essenzialmente il salario si chiamano ad esprimersi tutte le classi sociali; e, come inevitabilmente succede nelle elezioni generali, il sistema mette in minoranza gli operai».
83. M. Michelino, 1880-1993, cit., cap. 4, paragrafi 7-8.

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