28 Marzo 2024

2.4. ANALISI SULL'UNITÀ E DIVERSITÀ DEI FASCISMI STORICI

Leggiamo ora un'analisi comparata, svolta da Samir Amin16, tra nazismo e gli altri regimi fascisti dell'epoca:
«I movimenti politici che possono definirsi fascisti in senso proprio hanno occupato la scena ed esercitato il potere in un buon numero di paesi europei, in particolare negli anni 1930, fino al 1945 (Mussolini, Hitler, Franco, Salazar, Pétain, Horthy, Antonescu, Ante Pavelic e altri). La diversità delle società che ne sono state vittima - capitalisticamente più sviluppate qui, minori e dominate là, associate a una guerra vittoriosa qui, prodotto della sconfitta altrove - impedisce di confonderle. Quindi vanno precisati i differenti effetti che questa diversità di strutture e circostanze hanno prodotto sulle società interessate. Tuttavia, al di là di questa diversità, tutti questi regimi fascisti condividono due tratti comuni:
1. Date le circostanze, accettano di inserire la loro gestione della politica e della società in un quadro che non metta in causa i principi fondamentali del capitalismo, cioè la proprietà privata capitalistica, compresa quella dei moderni monopoli. È per questo che qualifico questi fascismi dei modi particolari di gestione del capitalismo e non delle forme politiche che mettono in discussione la sua legittimità, anche se nella retorica del discorso fascista il “capitalismo” o i “plutocrati” sono oggetto di lunghe diatribe. La menzogna che nasconde la vera natura di questi discorsi appare appena si esamina la “alternativa” proposta da questi fascisti, sempre muta riguardo l'essenziale, la proprietà privata capitalistica. Tuttavia, l'opzione fascista non costituisce l'unica risposta alle sfide che la gestione politica di una società capitalista deve affrontare. È solo in determinate circostanze di crisi violenta e profonda che la soluzione fascista sembra essere, per il capitale dominante, la migliore se non addirittura la sola possibile. L'analisi deve centrare l'attenzione su tali crisi.
2. L'opzione di gestione fascista della società capitalista in questione è ancora fondata, per definizione, sul rifiuto categorico della “democrazia”. Ai principi generali su cui sono fondate le teorie e le pratiche delle democrazie moderne - il riconoscimento della diversità di opinioni, il ricorso alle procedure elettorali per garantire una maggioranza, la garanzia dei diritti delle minoranze, ecc. - i fascismi sostituiscono sempre i valori opposti della sottomissione alle esigenze della disciplina collettiva, all'autorità del capo supremo e dei capi esecutivi. Questo rovesciamento di valori è poi accompagnato da un ritorno a temi che guardano al passato, in grado di fornire alle procedure di sottomissione della società una legittimità apparente. A tal fine, la proclamazione di un presunto necessario ritorno al passato (“medievale”), alla sottomissione alla religione di Stato, o a una qualsiasi presunta specificità della propria “razza” o “nazione” (etnica) costituiscono la panoplia del discorso ideologico propagandato dal potere fascista coinvolto. I fascismi storici della storia moderna europea presa in esame, che condividono queste due caratteristiche, non sono meno diversi e rientrano in una o l'altra delle seguenti quattro categorie:
Il fascismo delle potenze capitalistiche “sviluppate” maggiori. Sono che aspirano a diventare potenze egemoni dominanti l'intero sistema capitalista mondiale, o almeno regionale. Il nazismo costituisce il modello di questa categoria di fascismo. La Germania, diventata una grande potenza industriale a partire dal 1870, concorrente delle potenze egemoni del tempo (Gran Bretagna e in second'ordine la Francia) e di quelle che aspirano a diventarlo (Stati Uniti), affronta le conseguenze del fallimento del suo progetto segnato dalla sconfitta del 1918. Hitler formula chiaramente il suo progetto: imporre all'Europa, compresa la Russia e forse anche oltre, la dominazione egemonica della “Germania”, vale a dire del capitalismo monopolistico del paese che ha sostenuto l'ascesa del nazismo. Egli è disposto ad un compromesso con i suoi principali avversari: a lui l'Europa e la Russia, al Giappone la Cina, alla Gran Bretagna il resto dell'Asia e dell'Africa, agli Stati Uniti le Americhe. Il suo errore è stato di pensare che questo compromesso fosse possibile: la Gran Bretagna e gli Stati Uniti non lo hanno accettato, il Giappone invece lo ha sottoscritto. Il fascismo giapponese appartiene alla stessa categoria. Dal 1895, il Giappone capitalista moderno aspira a imporre il suo dominio su tutta l'Asia orientale. Qui il cambiamento viene compiuto “dolcemente”, passando da una forma “imperiale” di gestione del nascente capitalismo nazionale - poggiato su istituzioni dall'apparenza “liberale” (una “Dieta” eletta), controllata interamente dall'imperatore e dalla aristocrazia trasformata dalla modernizzazione - a una forma brutale gestita direttamente dall'Alto comando militare. La Germania nazista stringe l'alleanza con il Giappone imperial/fascista, mentre Gran Bretagna e Stati Uniti (dopo Pearl Harbour, 1941) entrano in guerra con Tokyo, come fa anche la resistenza in Cina, in cui le deficienze del Kuo Min Tang saranno compensate dai comunisti maoisti.
Il fascismo delle potenze capitalistiche di seconda fascia. L'Italia di Mussolini (l'inventore del fascismo, incluso il nome) è un ottimo esempio. Il mussolinismo fu la risposta della destra italiana (vecchia aristocrazia, nuova borghesia, classi medie) alla crisi degli anni 1920 e alla crescente minaccia comunista. Ma né il capitalismo italiano, né il suo strumento politico, il fascismo di Mussolini, avevano l'ambizione di dominare l'Europa, per non parlare del mondo. Nonostante le farneticazioni del Duce sulla ricostruzione dell'Impero romano (!), Mussolini comprese che la stabilità del suo sistema era basata su un'alleanza - da subalterno - con la Gran Bretagna (padrona del Mediterraneo) o la Germania nazista. Questa esitazione tra le due possibili alleanze continuò fino alla vigilia della seconda guerra mondiale. Il fascismo di Salazar e Franco appartengono alla stessa famiglia. Essi furono due dittatori piazzati dalla destra e dalla Chiesa cattolica in risposta ai pericoli rappresentati dai repubblicani liberali o dai repubblicani socialisti. Per questa ragione, i due non furono mai ostracizzati per la loro violenza antidemocratica (con il pretesto dell'anticomunismo) dalle maggiori potenze imperialiste. Riabilitati dopo il 1945 da Washington (Salazar fu membro fondatore della Nato e la Spagna acconsentì all'installazione di militari statunitensi) e dalla Comunità europea (garante per natura dell'ordine capitalista reazionario), dopo la Rivoluzione dei garofani (1974) e la morte di Franco (1980), questi due sistemi si sono uniti al campo delle nuove “democrazie” a bassa intensità della nostra epoca.
Il fascismo delle potenze sconfitte. Esso include la Francia di Vichy, ma anche il Belgio di Léon Degrelle e lo pseudo governo “fiammingo” sostenuto dai nazisti. In Francia, le classi dominanti scelgono “Hitler piuttosto che il Fronte popolare” (vedi sul tema i libri di Annie Lacroix-Riz). Questo tipo di fascismo, connesso con la sconfitta e la sottomissione a una “Europa tedesca”, fu costretto a ritirarsi in disparte in seguito alla sconfitta dei nazisti. In Francia, cedette il passo ai Consigli della Resistenza che, per una volta, univano i comunisti agli altri soggetti resistenti (in particolare Charles de Gaulle). La sua ulteriore evoluzione dovette attendere (con l'avvio dell'integrazione europea e l'adesione della Francia al Piano Marshall e alla Nato, vale a dire la sottomissione volontaria all'egemonia degli Stati Uniti) la destra conservatrice e quella anticomunista e socialdemocratica per rompere definitivamente con la sinistra radicale scaturita dalla Resistenza antifascista e potenzialmente anticapitalista.
Il fascismo nelle società dipendenti dell'Europa orientale. Dobbiamo scendere di parecchi gradi esaminando le società capitalistiche dell'Europa orientale (Polonia, Stati baltici, Romania, Ungheria, Jugoslavia, Grecia ed Ucraina occidentale durante l'epoca polacca). Qui si deve parlare di capitalismo ritardato, quindi dipendente. Nel periodo tra le due guerre, le classi dominanti reazionarie di questi paesi sostennero la Germania nazista. Tuttavia, occorre esaminare caso per caso le loro articolazioni politiche al progetto di Hitler. In Polonia, la vecchia ostilità al dominio russo (della Russia zarista), che divenne ostilità nei confronti della Unione Sovietica comunista, assecondata dalla popolarità del papato cattolico, normalmente avrebbe reso il paese un vassallo della Germania sui modi di Vichy. Ma Hitler non era d'accordo: i polacchi, come i russi, gli ucraini, i serbi, erano popoli destinati allo sterminio insieme con gli ebrei, i rom ed altri. Non c'era quindi alcuno spazio per un fascismo polacco alleato di Berlino. L'Ungheria di Horthy e la Romania di Antonescu furono, per contro, trattati come alleati subalterni della Germania nazista. Il fascismo in entrambi i paesi era esso stesso il prodotto delle loro specifiche crisi sociali: la paura del “comunismo”, dopo l'esperienza di Béla Kun in Ungheria; la mobilitazione nazionale sciovinista contro ungheresi e ruteni in Romania. In Jugoslavia, la Germania di Hitler (seguita dall'Italia di Mussolini) sostenne una Croazia “indipendente”, affidata alla gestione anti-serba degli ustascia, con il supporto decisivo della Chiesa cattolica, mentre i serbi erano destinati allo sterminio. La Rivoluzione russa aveva ovviamente cambiato le cose riguardo le prospettive di lotta della classe operaia e la risposta delle classi possidenti reazionarie a questa lotta, non solo nel territorio dell'Unione Sovietica pre-1939, ma anche nei territori perduti (Stati baltici e Polonia). A seguito del Trattato di Riga del 1921, la Polonia annesse la parte occidentale della Bielorussia (Volinia) e l'Ucraina (Galizia meridionale, che in precedenza era proprietà della Corona austriaca; e Galizia settentrionale, che era stata una provincia dell'Impero zarista). In tutta la regione, due campi presero forma a partire dal 1917 (e anche dal 1905 con la prima Rivoluzione russa): quello filo-socialista (che diventò filo-bolscevico), popolare in vasti settori della classe contadina (che aspiravano a una riforma agraria radicale in loro favore) e degli intellettuali (ebrei in particolare); e quello anti-socialista (e conseguentemente compiacente verso i governi anti-democratici sotto l'influenza fascista) in tutte le classi possidenti. La reintegrazione degli Stati baltici, della Bielorussia e dell'Ucraina occidentale nell'Unione Sovietica nel 1939 accentuò tale contrasto. La mappa politica dei conflitti tra “filofascisti” e “antifascisti” in questa parte dell'Europa orientale venne offuscata dallo scontro tra sciovinismo polacco (che persisteva nel suo progetto di “polonizzare” le regioni annesse di Ucraina e Bielorussia attraverso insediamenti coloniali) e le popolazioni vittime, da un lato; e, dall'altro, dal conflitto tra “nazionalisti” ucraini, che erano sia anti-polacchi sia anti-russi (a causa dell'anticomunismo) e il progetto di Hitler, che non prevedeva alcuno stato ucraino come alleato subalterno, in quanto il suo popolo era semplicemente destinato allo sterminio».
16. S. Amin, Il ritorno al fascismo del capitalismo contemporaneo, CCDP, 1 novembre 2014 [1° edizione originale The Return of Fascism in Contemporary Capitalism, Monthly Review, vol. 66, n° 4, settembre 2014].

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