20 Aprile 2024

3.05. I COMPROMESSI DI TOGLIATTI

Amedeo Curatoli, in un'opera (Contro il revisionista Togliatti) che merita di essere letta integralmente per avere un punto di vista critico (marxista-leninista “ortodosso”, seppur con qualche rigidità) molto ben argomentato, presenta in una dura requisitoria tutti i limiti politici di Togliatti, accusandolo di “revisionismo” anzitutto per l'applicazione pratica della “via italiana al socialismo” che, come abbiamo visto, è la causa soggettiva di fondo del mancato tentativo rivoluzionario in Italia nel periodo 1945-47.
Quali sono i “compromessi” inaccettabili riscontrati dall'autore?
1) è il 25 marzo 1947 e l'Assemblea Costituente sta discutendo la questione dei rapporti tra Stato e Chiesa. Qui si ha il cedimento dei comunisti sull'articolo 7,
«che praticamente inglobava, nella nostra Costituzione, tutto il contenuto dei Patti Lateranensi che Mussolini aveva stipulato con il Vaticano nel 1929. […] Tutto lo schieramento laico, compreso lo stesso Benedetto Croce che si dissociò dal Partito Liberale che invece corse in soccorso della Democrazia cristiana, votò contro l’art. 7. I parlamentari del PCI (tra cui Giancarlo Pajetta) parlarono contro l’art. 7, ma inaspettatamente, per iniziativa di Togliatti, vi fu un improvviso voltafaccia: il PCI, che disponeva di 96 deputati sui 104 eletti, votò, alla fine, l’art. 7 insieme alla Democrazia Cristiana. C’è anche da dire che se il PCI avesse votato contro, l’art. 7 sarebbe passato comunque (di strettissima misura, con la differenza di qualche voto), ma questo non significa affatto che non si sia trattato di una scelta di estrema gravità da parte del PCI perché scompaginò lo schieramento laico e creò notevole disorientamento all’interno della classe operaia e presumibilmente anche all’interno del PCI stesso».182
2) l'amnistia ai fascisti con un decreto varato nel ‘46, in qualità di Ministro di Grazie e Giustizia, il quale
«provocò violente reazioni da parte del mondo partigiano e della stessa base del PCI. Togliatti, che riteneva evidentemente di essere un grande giurista, stilò personalmente il provvedimento che, all’art. 3, escludeva dall’amnistia i rei di crimini commessi con “sevizie particolarmente efferate”. Introducendo un’arbitraria e assolutamente generica “gradazione” della crudeltà, diede un appiglio alla magistratura borghese per sminuire tutti i crimini e tirar fuori dalle carceri i peggiori torturatori fascisti».183
3) un'azione pedagogico-politica falsificatrice nei confronti della presentazione della lezione di Lenin e Gramsci, interpretati in senso parlamentarista, democratico e, in definitiva, moderato, dando rilievo solo ad una parte delle loro opere e favorendo una rilettura della Storia dell'URSS e del PCI.184 A questi errori si possono aggiungere l'accettazione di formulazioni di compromesso sulla questione femminile negli articoli costituzionali, oltre che l'appello alla mobilitazione della classe operaia nell'opera della ricostruzione del paese, accettando di far pagare ai lavoratori il prezzo maggiore dei danni prodotti dalla borghesia e dal governo fascista. Un'analisi storico-politica obiettiva che tenga conto delle svolte ideologiche successive del PCI non può non confermare la giustezza di tali accuse. Tutti questi elementi si sono dimostrati, più di altri, dei gravi errori tattici dalle enormi conseguenze future; furono errori giustificati nella sostanza dalla volontà politica di non esacerbare i rapporti con la Democrazia Cristiana e mantenere un Governo di coalizione antifascista, mancando di capire come questo fosse impossibile rimanendo all'interno della struttura dello Stato borghese e dei vincoli dell'imperialismo. In definitiva questi furono gravi errori tattici dovuti all'errore strategico di fondo, nucleo fondante del “togliattismo” inteso come “revisionismo”: la “via italiana al socialismo” e con essa l'idea che il compromesso non sia più finalizzato all'avanzamento dell'organizzazione politica e del consenso sociale in un'ottica rivoluzionaria, ma sia accettabile anche solo per riuscire ad ottenere un avanzamento elettorale, da ottenersi anche con manovre indigeste per la classe operaia. Qui sta l'essenza di una degenerazione antileninista introiettata pesantemente da tutte le generazioni politiche successive, dimentiche dell'insegnamento marxista-leninista su un uso corretto del parlamentarismo, il quale prevede la sua subalternità ad una linea di classe rivoluzionaria, e non viceversa come si è concretamente verificato. Si va in Parlamento a fare lotta di classe, la lotta di classe non termina entrati in Parlamento, né si svolge solo in esso.
182. A. Curatoli, Contro il revisionista Togliatti, cit., p. 47.
183. Ivi, p. 51.
184. Ivi, pp. 14-24, 55-84.

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