26 Aprile 2024

3.10. LA CULTURA DELLE BRIGATE ROSSE

Le Brigate Rosse sono state un'organizzazione ampiamente infiltrata dai servizi segreti, il che pone una serie di grossi dilemmi su quali azioni siano derivate dalla propria genuina direzione politica e quali invece siano state conseguenze delle manovre della destabilizzazione borghese. Rimane certo che centinaia di compagni e compagne abbiano aderito all'organizzazione sinceramente convinti che la lotta armata negli anni '70 fosse la soluzione più adeguata per portare avanti la battaglia per il socialismo. La borghesia ha molto speculato sull'appartenenza comune al campo comunista delle Brigate Rosse, del PCI e dell'URSS, facendo di tutta l'erba un fascio. Una marea di falsità sono state dette e abbiamo anche visto quali teoremi giudiziari siano stati montati al fine di reprimere energie intellettuali e forze sociali conflittuali che utilizzavano tutt'altri metodi rispetto a quelli del “terrorismo” e della lotta armata. Cerchiamo di capire meglio se sia verosimile l'accusa di affinità culturale tra Brigate Rosse e “l'estremismo” marxista-leninista. L'equazione è non solo indimostrabile ma palesemente falsa, come emerge da questo saggio240 che analizza la cultura delle BR. La questione è rilevante perché mostra a quali errori di “estremismo” si possa giungere senza un'adeguata consapevolezza teorica.
«Cosa leggeva un brigatista nel settembre 1978? Nonostante la semplicità della domanda pochi se la sono posta. Eppure la risposta avrebbe aiutato a comprendere meglio la storia di una delle componenti politiche più importanti che hanno dato vita alla lotta armata in Italia tra gli anni '70 e '80. I materiali ci sono, una documentazione immensa, repertata nelle migliaia di procedimenti penali e verbali di sequestro realizzati nel corso di oltre 20 anni di inchieste, operazioni di polizia e processi. Basterebbe andarli a cercare, leggerli, studiarli. Quanti lo hanno fatto? Io ne conosco solo due che hanno lavorato in questo modo: Marco Clementi e Miguel Gotor. Agli antipodi, ma non importa. Cosa si ricava dal ricorso al metodo storiografico? Si smontano molte leggende, fandonie, luoghi comuni, crolla l’intera impalcatura dietrologica. La presenza di un libro della Kollontaj ridimensiona persino la critica femminista che tacciava la lotta armata di “machismo” nonostante nei gruppi armati di sinistra la presenza femminile sia stata di gran lunga più alta di qualsiasi altra formazione politica, extraparlamentare o istituzionale. Nell’appartamento di via Montenevoso 8, a Milano, c’erano i libri (sarebbe stato interessante poterli riavere tra le mani per osservarne le sottolineature, i commenti a margine, ma molto probabilmente saranno finiti al macero o forse in qualche armadio dei reparti antiterrorismo, i cui membri saccheggiavano senza scrupoli le librerie dei militanti arrestati) impiegati come fonti per la realizzazione dei comunicati scritti durante il sequestro (il ritratto biografico-politico di Aldo Moro ripreso da un volume di Aniello Coppola, pubblicato da Feltrinelli due anni prima del rapimento) ed altri utilizzati per redigere le domande al prigioniero. Spiccano due assenze: non c’era L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato di Engels, il libro de chevet dell’ex maoista Marco Bellocchio infilato come i cavoli a merenda in una scena demenziale del suo film (quella del mantra) sul rapimento Moro, Buongiorno notte (2003) […]. Ancora più interesante è la genealogia della cultura politica brigatista che si può ricavare da queste letture. Certo è solo un primo elemento che andrebbe sovrapposto ad un lavoro di analisti dei testi. È l’inizio di una possibile, anzi utile pista di ricerca. In ogni caso è evidente come l’album di famiglia stalino-togliattiano richiamato come immagine dalla Rossanda, a dire il vero per polemizzare con chi diceva che i brigatisti erano dei “fascisti travestiti di rosso”, “agenti provocatori sotto controllo della Cia”, non era esatto. Altri dati poco studiati, le rilevazioni sociologiche sulle biografie politiche, ci dicono che la provenienza degli imputati per appartenenza alle BR non è riconducibile all’image d’Épinal del gruppo di fuoriusciti dalla FGCI di Reggio Emilia o agli studenti un po’ cattolici dell’università di sociologia di Trento. Ci sono le fabbriche milanesi, torinesi e genovesi. La diaspora di Potere operaio e di altre formazioni che operavano nelle borgate romane. L’onda lunga del '77. Pezzi di Autonomia veneta, Porto Marghera. L’area napoletana. E poi ancora le periferie romane degli anni '80. […] Ma torniamo al questito iniziale: cosa leggevano i brigatisti? È la domanda a cui risponde Miguel Gotor esaminando con gli occhi dello storico il materiale repertato dai nuclei speciali del generale Dalla Chiesa dopo l’irruzione nell’appartamento di via Montenevoso 8, a Milano, il 1° ottobre 1978. Quella di Montenevoso era una base importante, una sorta di archivio delle Brigate rosse, scelta per conservare e preparare l’opuscolo che avrebbe dovuto raccogliere i materiali dell’interrogatorio (il cosiddetto “memoriale”) del presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro. Al suo interno vivevano due esponenti dell’esecutivo nazionale della Brigate rosse: Lauro Azzolini e Francesco Bonisoli, entrambi “clandestini”. Il primo, trentacinquenne ex operaio della Lombardini di Reggio Emilia; il secondo, ventitreenne ed anche lui di Reggio Emilia, aveva preso parte nel marzo precedente all’azione di via Mario Fani, dove venne prelevato Aldo Moro. Insieme a loro da pochi giorni era arrivata anche Nadia Mantovani, venticinquenne, originaria di Padova e studentessa in medicina, latitante da poche settimane dopo che si era sottratta al domicilio coatto (confino) a cui era stata assegnata dopo un primo arresto. L’appartamento era stato individuato in agosto e tenuto sotto stretta sorveglianza per alcune settimane, il tempo di agganciare gli altri contatti, scoprire altre basi e farvi irruzione. Dalle sessanta fitte pagine del verbale di sequestro, redatto dai carabinieri dei reparti speciali che occuparono l’appartamento nei 5 giorni successivi, prima di essere sloggiati con modi alquanto bruschi da altro personale dell’Arma appartenente alla struttura territoriale di Milano che faceva capo alla caserma Pastrengo, si ricava un interessante profilo della bibliografia brigatista che Miguel Gotor descrive in questo modo (cfr. Il memoriale della Repubblica, Einaudi 2011, pp. 51-54): Il lungo elenco consente di scattare una radiografia della vita quotidiana dei militanti delle Brigate Rosse e di catalogare oggetti “comuni a un’intera generazione di giovani: non marziani, come sono diventati lentamente nel ricordo obliquo e reticente dei loro compagni di strada, man mano che costoro si separavano da quell’esperienza umana e politica che li aveva lambiti come un’onda improvvisa, senza travolgerli. Più che dalle intenzioni, spesso salvati dal puro caso: un appuntamento mancato, un amore improvviso, un figlio inatteso, la cartolina del servizio militare”. Nella base i militi “trovano centinaia di dattiloscritti fitti di analisi economiche e numerose rassegne stampa, in particolare sulla realtà industriale lungo l’asse Milano-Torino, non solo auto, ma anche chimica e siderurgia. Diari mensili riguardano lo stabilimento della Lancia di Chiasso (maggio e giugno 1978), una Relazione Fiat Mirafiori carrozzeria e presse, uno scritto intitolato La Fiat degli Agnelli, un documento politico sull’Ansaldo, il cui stabilimento è adesso a Milano uno spazio espositivo per l’alta moda. E poi i libri: non molti, ma ben scelti. Una piccola biblioteca portatile di edizioni recenti. Un vero e proprio campionario dell’internazionalismo rivoluzionario operaio e studentesco, oggi sopravvissuto tra le bancarelle dei bibliofili o negli scomparti virtuali di eBay a testimonianza di un’antica vitalità ormai dispersa; ieri strumenti preziosi per capire un mondo in ebollizione tra rivolte anticapitaliste, resistenze a regimi dittatoriali neofascisti e processi di decolonizzazione in atto con le loro speranze di giustizia e di riscatto: un altro socialismo sembrava ancora possibile”.
Tupamaros, Kollontaj, Pisacane, Weather Underground, Bettelheim, Brecht, Mao… Lotta armata in Iran di Bizhan Jazani, teorico socialista iraniano morto nel 1975; La resistenza eritrea di Piero Gamacchio e, dentro un baule, Prateria in fiamme, ossia il programma politico dei “Weather Underground” il movimento di ispirazione marxista statunitense; Tupamaros: libertà o morte di Oscar José Dueñas Ruiz e Mirna Rugnon de Dueñas; La rivoluzione in Italia di Carlo Pisacane, eroe risorgimentale che la riscoperta resistenziale di Giaime Pintor aveva riportato alla considerazione dei movimenti rivoluzionari italiani in maniera ben più radicale di quanto la scolastica “Spigolatrice di Sapri” avrebbe mai lasciato supporre con la sua apparentemente innocua cantilena. E poi l’edizione einaudiana del Dialoghi di profughi di Bertolt Brecht a cura di Cesare Cases e il classico del femminismo Vassilissa: l’amore, la coppia, la politica. Storia di una donna dopo la rivoluzione dell’eroina sovietica Aleksandra Kollontaj. Non manca l’attenzione al tema delle partecipazioni statali e della riorganizzazione dell’impresa pubblica italiana (Lo Stato padrone, La borghesia di Stato), al mondo della nuova televisione (L’antenna dei padroni), alla realtà delle multinazionali quando il termine globalizzazione non era ancora entrato in voga (Multinazionali: tutto il loro potere in Europa, a cura di Stephen Hugh-Jones, e Multinazionali e comunicazioni di massa del sociologo francese Armand Mattelart). In camera, in un comodino di fianco al letto, “numerose riviste pornografiche”, una Settimana enigmistica, la Lotta di classe in Urss con annotazioni del marxista critico Charles Bettelheim e le Opere scelte di Mao Tse-tung. Occhieggia persino “un libro dal titolo Carabinieri (di barzellette)”, come registra con involontario senso dell’umorismo il verbalizzante, quello illustrato da Bertellier e pubblicato da Samonà e Savelli, forse come omaggio all’abusato slogan di quegli anni: “una risata vi seppellirà”.
Materiali e libri che servirono da fonti per redigere i comunicati e preparare le domande a Moro. Alla luce della lettura dei comunicati brigatisti divulgati nel corso dei cinquantacinque giorni non meraviglia la presenza della biografia di Aldo Moro scritta da Aniello Coppola, dal momento che il profilo dell’uomo politico contenuto nel secondo messaggio sembrò agli osservatori più attenti ripreso proprio da quel libro. E neppure stupisce, se si fa riferimento alle parti dell’interrogatorio in cui Moro fu costretto a rispondere sulle attività di antiguerriglia della NATO in Italia e sulla cosiddetta strategia della tensione, il rinvenimento di una relazione sulla “Rosa dei Venti”, e di una copia del libro Il sangue dei leoni, edito nel 1969 da Feltrinelli. Il volume pubblicava nella prima parte un lungo discorso del leader congolese Édouard-Marcel Sumbu, ma dissimulava al suo interno il ben più intrigante Manuale delle Special Forces, in cui erano riassunte le principali tecniche di antiguerriglia e di sabotaggio messe in pratica dai “Berretti verdi” statunitensi nei quadri bellici non convenzionali della guerra fredda. Desta interesse la copia di un discorso di Umberto Agnelli del 1976, poiché una delle domande a cui Moro dovette rispondere riguardò proprio i meccanismi che portarono alla sua elezione nelle file della Dc in quell’anno. Una serie di riscontri occasionali che confermano i rapporti organizzativi intercorsi lungo la linea Roma-Milano, via Firenze, tra il nucleo operativo che gestì il sequestro e l’interrogatorio di Moro e il comitato esecutivo di cui facevano parte anche Azzolini e Bonisoli, ossia gli occupanti di via Montenevoso.
Genealogia politico-culturale della rivoluzione brigatista: non c’erano Togliatti e Zdanov, anzi non c’era nemmeno “l’album di famiglia”, di cui scrisse Rossanda, ma le correnti del neomarxismo degli anni '60 del Novecento. Si tratta di un pachetto di libri assai lontani dall’armamentario tipico del militante comunista iscritto al PCI, piuttosto sono letture tipiche della nuova sinistra extraparlamentare di quel decennio, con suggestioni anticapitalistiche, terzomondiste, trockjiste, maoiste, guevariste, genericamente rivoluzionarie e libertarie, di sicura ispirazione antistalinista. Ben lungi quindi dall’immagine dell’“album di famiglia” – il sapore staliniano e zdanoviano degli anni Cinquanta avvertito da Rossana Rossanda nel linguaggio del secondo comunicato delle BR dopo il rapimento di Moro – un’immagine che tanto consenso trasversale e duraturo ebbe presso l’opinione pubblica italiana da cui fu utilizzata per accreditare la tesi di una filiazione diretta della Brigate Rosse dal PCI. La formula ebbe un successo propagandistico duplice che meriterebbe di essere approfondito nel suo sviluppo e radicamento nel dibattito nazionale: alla destra del PCI, perché amplificava una generale ossessione anticomunista e permetteva di riattualizzare lo stereotipo della doppiezza togliattiana; alla sinistra di quel partito, in quanto consentiva di rimuovere, o almeno stemperare in una vaga aria di famiglia, il nodo centrale del rapporto di contiguità culturale e generazionale tra il variegato mondo extraparlamentare, la lotta armata e la pratica della violenza politica nel suo complesso. Un nodo intricato e scivoloso, strettosi sempre più nel corso degli anni anche grazie a una serie di ambiguità, reticenze, omissioni e qualche indulgente connivenza. Zdanov e il Moloch sovietico degli anni Cinquanta, in realtà c’entravano assai poco e rischiavano di trasformarsi in un comodo alibi catarchico per non guardare in faccia la realtà […]. Anzi, quei libri sono lì a ricordare che quel manipolo di giovani brigatisti era a modo suo, con granitica intransigenza e allucinata coerenza, dentro la cultura, le letture, le pratiche politiche e valoriali del movimento, come se le due realtà fossero attraversate da uno stesso sistema di vasi comunicanti. Quanto accadeva in Italia rifletteva un contesto sovversivo insurrezionale di dimensione europea. Non a caso, due fitte pagine del verbale raccolgono i documenti della tedesca “Rote Armee Fraktion”, ad attestare la solidità dei rapporti con le BR: strutture del gruppo, atti relativi al processo di Stammheim, dichiarazioni dei detenuti dell’organizzazione del 1977 fra cui Andreas Baader, lettere dattiloscritte di Ulrike Meinhof e altri, una pubblicazione in lingua tedesca datata settembre-ottobre 1977, una cartella contenente documenti relativi alla storia della Raf (memoriali, verbali dibattimentali, strategie di guerriglia), due “cassette di cui una iniziata con una voce femminile che parla lingua tedesca”».
Un'osservazione conclusiva: se il marxismo-leninismo rigetta la non-violenza, esso non l'abbraccia nemmeno come unica soluzione politica, ma approda alla lotta armata quando ciò sia ritenuto utile e necessario, trovando l'appoggio attivo e il consenso popolare. Stigmatizzare e giudicare dannose le azioni terroristiche delle BR degli anni '70 non deve portare ad abbracciare l'ideologia non-violenta, né tanto meno a dimenticare le ragioni che hanno spinto molti compagni e compagne ad imbracciare le armi e darsi alla clandestinità.
La responsabilità morale dell'errore politico intrapreso da centinaia di persone che hanno portato avanti una lotta giusta con metodi sbagliati, nasce in primo luogo dall'imperialismo che ha impedito e sabotato la compiutezza della democrazia liberale.
Il processo che conduce alla lotta armata in Italia non si differenzia così tanto da quello avvenuto nel resto del mondo, dove i movimenti armati sono riusciti ad assumere un riconoscimento popolare ampio (non chiaramente dai settori della borghesia e delle istituzioni) e a legittimarsi come partigiani della Resistenza antimperialista.
Quel che è mancato in Italia è stato, per le scelte prudenti del PCI, il rifiuto di mostrare e far palesare il carattere della sovranità limitata della democrazia italiana, denunciato apertamente, seppur in maniera confusa, dai settori brigatisti; la mancanza di questa esplicitazione ha impedito il riconoscimento popolare che pure per un certo periodo non è mancato di sussistere tra larghi settori della classe lavoratrice.
240. La biblioteca del brigatista, Insorgenze.net, 20 giugno 2012.

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