20 Aprile 2024

3.06. LA SVOLTA FONDAMENTALE DEL 1956

«Riscoprivamo la “via italiana al socialismo”. Lanciata da Togliatti come prospettiva storica nel 1944, quella via era parsa sbarrata con la fine del 1947. […] Con il marzo del 1956 essa viene rilanciata ed è un rilancio foriero di conseguenze positive». (Paolo Spriano)185
Comunque la si giudichi, la “via italiana al socialismo” ha potuto affermarsi completamente solo nel 1956 grazie alla “destalinizzazione” chruščeviana, la quale ha legittimato la teoria della conquista pacifica e “democratica” del potere. Fino a quel momento si potrebbe interpretare la partecipazione del PCI alla vita democratica repubblicana come una manovra tattica di lungo periodo, alla maniera appunto della “guerra di posizione” gramsciana, mantenendo però sempre l'obiettivo della Rivoluzione una volta acquisiti rapporti di forza più avanzati e ritenuti sufficienti. Il 1956 elimina ogni ambiguità, chiarendo che questo è un miraggio per la parte preponderante della dirigenza comunista italiana. È necessario inserire la svolta italiana nel contesto internazionale, ribadendo alcuni aspetti della sterzata data dal revisionismo chruščeviano. Lo facciamo con un'ottima analisi186 che spiega bene come il 1956 sia stato il vero inizio della “mutazione antropologica” del PCI, rimasto un baluardo dell'antimperialismo e del progresso sociale, ma, nonostante i proclami, non più un partito guidato da una Direzione marxista-leninista:
«Uno dei punti principali del rapporto Chruščev al XX congresso del PCUS e su cui più accesa è stata la polemica ha riguardato la possibilità della conquista pacifica del potere da parte dei comunisti. Già all'epoca della II internazionale, basandosi su uno scritto di F. Engels c'era stato il tentativo di accreditare, da parte della socialdemocrazia tedesca, la tesi che per via elettorale fosse possibile arrivare al socialismo. Ma questa posizione non si ritrova negli scritti di Marx nè in quelli di Lenin che hanno posto la questione in modo ben diverso. Marx parlando di rivoluzione (e tale è la rivoluzione socialista) la definisce una espropriazione violenta del potere di una classe contro un'altra, mentre Lenin, nel corso stesso della Rivoluzione d'ottobre scrive uno dei suoi testi più importanti, Stato e rivoluzione. Marx, inoltre nella sua La guerra civile in Francia coglie ed esalta tutti gli aspetti essenziali di quella che è stata la prima esperienza rivoluzionaria del proletariato. Dunque, sul piano della definizione teorica e dei princípi non era possibile rifarsi ai testi del socialismo scientifico per motivare la tesi della conquista pacifica del potere da parte dei comunisti. […] L'approccio di Chruščev non poteva a questo punto che essere diverso e a sostegno della sua tesi egli cercò di dimostrare che i mutati rapporti di forza tra capitalismo e socialismo avevano aperto orizzonti nuovi. Anche se, proprio nel 1956 anno del XX congresso del PCUS, si registravano avvenimenti come la controrivoluzione in Ungheria e l'attacco anglo-franco-israeliano all'Egitto.
Ma Chruščev, nonostante l'evidenza, aveva un bisogno assoluto di garantire ai suoi interlocutori occidentali e in particolare agli USA un “nuovo corso” per sterzare a destra e questo consentì anche nei partiti comunisti dei principali paesi capitalistici di far crescerei tendenze che negli anni successivi ne avrebbero modificato gli indirizzi strategici. Fino alla morte di Stalin queste tendenze erano state tenute sotto controllo. Da una parte veniva mantenuto fermo il punto strategico dell'URSS come riferimento centrale, dall'altra i partiti comunisti dell'occidente europeo, principalmente il PCI e il PCF, articolavano la tattica in modo da tener conto delle esigenze della lotta politica e sociale nazionali, ma sempre nel quadro di una linea internazionale unitaria. Nel caso della situazione italiana il partito comunista, nelle sue scelte “nazionali”, aveva però introdotto già da tempo punti che contenevano in nuce i germi della sua trasformazione. Il “partito nuovo” di Togliatti, pur mantenendo una struttura centralizzata, introduceva una variazione sostanziale rispetto alla concezione leninista del partito e questo preparava il terreno alle successive svolte.
Un partito di massa e non di quadri era sostanzialmente permeabile all'ingresso di una militanza non basata su una formazione rivoluzionaria. Su questo la direzione togliattiana cercava di mistificare la situazione mettendo di fatto sullo stesso piano leninismo e settarismo, mentre la questione del rapporto con le masse e la tattica da seguire nella lotta politica e sociale erano essenziali nel pensiero leninista. Ma, come sosteneva appunto Lenin, una tattica senza strategia è votata al trasformismo e all'opportunismo. Le premesse per la trasformazione genetica del PCI, dal punto di vista dell'organizzazione e degli obiettivi strategici (da non confondere con la retorica degli “ideali socialisti”) erano già latenti dunque prima del 1956. Basti riflettere su un punto della strategia togliattiana che, peraltro aveva registrato la sua sconfitta all'epoca dei governi De Gasperi. Questa strategia era fondata sull'idea che in Italia ci fosse bisogno di un secondo Risorgimento, dopo la lotta armata antifascista, per completare una fase storica iniziata nell'800 che non si era compiuta per le caratteristiche del blocco sociale realizzatosi attorno ai Savoia. L'indicazione che si dava dunque era appunto quella di fare dell'Italia un paese di democrazia avanzata e con caratteristiche sociali, ma quali forze erano in grado di realizzare una rivoluzione democratica di questo tipo? Il 1947 dimostrò quale fosse la natura degli alleati “democratici” del PCI e se il partito non avesse retto sul terreno sociale e di classe e non avesse avuto il fronte comunista internazionale come riferimento non avrebbe certamente tenuto all'urto della guerra fredda e dell'offensiva anticomunista. Non è un caso che la Carta Costituzionale sia rimasta, nella sua sostanza sociale e democratica, carta straccia. Il PCI già nel dopoguerra aveva dunque una testa teorica democratica e un corpo operaio e internazionalista e questa contraddizione prima o poi doveva essere sciolta. Il 1956 è stata la levatrice di questo evento. Una volta aperta la stura alla via democratica al socialismo, il PCI e con esso, in fasi diverse, i partiti comunisti occidentali, si sono adeguati alla concezione parlamentaristica della lotta per il socialismo. Rimaneva il concetto della lotta di massa, ma senza che si definissero i livelli delle contraddizioni e le forme con cui affrontarle. Questo ha consentito al PCI nella fase controrivoluzionaria aperta da Chruščev di diventare il capofila della trasformazione genetica del comunismo occidentale. Già con la famosa intervista di Palmiro Togliatti a Nuovi Argomenti (numero 20, maggio-giugno 1956), si chiedeva al PCUS di non rimanere sul terreno della lotta al culto della personalità, ma di andare ben oltre. In sostanza Togliatti chiedeva ai comunisti sovietici di inquadrare la questione Stalin dentro un processo degenerativo della società, tirando in ballo la questione della democrazia.
La denuncia del cosiddetto culto della personalità diventava quindi denuncia delle distorsioni del sistema sovietico, a cui si riconoscevano meriti importanti, senza però, nei fatti, collegarli con la gestione rivoluzionaria del potere. Nel caso del PCI, la nuova strada per il socialismo aveva come passaggi essenziali non solo la via parlamentare e l'allargamento della democrazia, ma anche le famose riforme di struttura, una modificazione dell'organizzazione economica che avrebbe consentito la trasformazione in senso socialista del sistema. Sul discorso delle riforme di struttura come strategia di potere si impernia l'VIII Congresso del PCI che si tenne a Roma dall'8 al 14 dicembre del 1956, dieci mesi dopo il XX congresso del PCUS. Si tratta di una novità che modifica la strategia comunista e su cui si apre anche la polemica nel movimento comunista internazionale. […] Oggi una discussione sulla via al socialismo basata sulle riforme di struttura non ha più senso, dal momento che i fatti storici hanno dimostrato l'inconsistenza di questa ipotesi, non solo rispetto alla fine del PCI, ma anche ad avvenimenti più recenti dove si sono tentate vie parlamentari che, mantenendo in piedi il vecchio sistema sociale e le forze che lo rappresentano, portano ad esiti disastrosi, dal Cile al Venezuela. L'ultimo tentativo di dare dignità a una improbabile terza via è stato tentato da Palmiro Togliatti, nel 1964 a Yalta con il famoso “memoriale”, finalizzato a discutere con Chruščev i termini della convocazione di una nuova conferenza internazionale dei partiti comunisti. Togliatti morì poche ore dopo averlo scritto, mentre Chruščev era alla vigilia della sua destituzione. Il memoriale comunque ribadisce l'opposizione non tanto alla convocazione di una nuova conferenza dei partiti comunisti, quanto al fatto che essa dovesse servire alla scomunica dei comunisti cinesi, alla quale il PCI di allora era contrario. Esso sosteneva difatti che la polemica coi comunisti cinesi andava fatta, ma che, data anche la peggiorata situazione internazionale, bisognasse salvaguardare l'unità del fronte antimperialista, dai comunisti ai movimenti di liberazione nazionale. Al centro delle considerazioni contenute nel memoriale rimanevano non solo il giudizio positivo sul XX congresso, ma anche i due corollari su cui Togliatti e il PCI avevano insistito a partire dal 1956 e cioè la questione della democrazia nei paesi socialisti e le vie parlamentari al socialismo. Col senno di poi si vede che il PCI rielaborò le posizioni espresse all'VIII congresso del partito andando ben oltre e lo si evince chiaramente da un opuscolo edito da Rinascita nel 1986, alla vigilia dunque delle grandi svolte e dei crolli del socialismo nell'Europa dell'est. L'opuscolo, intitolato Il PCI e la svolta del 1956 porta l'introduzione di Giuseppe Chiarante, intellettuale di area ingraiana. I fumi delle teorizzazioni sulle terze vie si diradano e appare il vero obiettivo che Achille Occhetto realizzerà alla Bolognina. Chiarante è esplicito nel dire che il XX Congresso del PCUS aveva fallito il suo obiettivo, perché la democrazia in URSS non era progredita fintanto che all'orizzonte non era apparso Gorbaciov, cioè il liquidatore del sistema socialista. Ma il PCI, sostiene Chiarante, era comunque pronto alla discontinuità, cioè a diventare “una grande e moderna forza democratica e riformatrice”. Con Berlinguer fino a Matteo Renzi».
Si può forse essere discordi con un eccessivo rigidismo presente al termine dell'analisi: da Togliatti, che presupponeva il mantenimento di un Partito ancorato ad una linea di classe e antimperialista, tendente al socialismo, seppur nell'inadeguata via democratica, non doveva discendere automaticamente né Occhetto né tantomeno la successiva fine del PCI. È indubbio però che i germi potenziali di tali processi si trovino proprio nella degenerazione tatticista della via italiana al socialismo, la quale oltretutto non si è limitata a proporre la propria via su scala nazionale, ma si è inserita nel contesto internazionale, supportando il corso revisionista in URSS e nell'intero movimento comunista mondiale, sfavorendo nella sostanza anche chi, come la Cina, cercava di opporsi alla deriva revisionista di Chruščev. La critica a Chruščev viene fatta da Togliatti non sui contenuti, ma sui modi con cui ha intrapreso il processo di “destalinizzazione”, favorendo la propaganda e le manovre dell'imperialismo, manifestatesi in Polonia e Ungheria (che Togliatti non esita a condannare, scontrandosi con diversi membri di rilievo del Partito). Ad onor del vero Togliatti rifiuta la categoria dello “stalinismo”, imputando le problematiche intercorse al movimento operaio alla fase storica e al contesto; approfondisce addirittura la critica parlando di «degenerazione» del sistema sovietico, tanto da subire perfino le critiche della dirigenza del PCUS. Togliatti, pensando troppo opportunisticamente in maniera “nazionale”, appoggia lo scioglimento del COMINFORM, di modo da avere una maggiore libertà di manovra in Italia, trovandosi di fatto sulla stessa barca di Gomulka e di Tito.187
Era pensabile che Togliatti agisse diversamente? Si e no. Si, se si pensa al prestigio che ancora mantiene a livello nazionale e mondiale, e alle cognizioni che ha della capacità di manovra dell'imperialismo e dei processi in atto a livello mondiale. No, se si ragiona non tanto sulla necessità di costruire un diverso modello di socialismo – più “democratico” – quanto piuttosto sull'incomprensione togliattiana delle difficoltà che avrebbe riscontrato il suo “partito nuovo”: l'incapacità cioè di prevedere che un partito di massa come quello da lui strutturato non sarebbe riuscito a mantenere fermo l'obiettivo strategico del socialismo, sfaldandosi nel giro di pochi decenni su obiettivi socialdemocratici derivanti dall'inadeguatezza della formazione del gruppo dirigente. Questi nodi forse Togliatti non poteva vederli ancora, ma l'errore di valutazione c'è stato, e ha avuto conseguenze pesanti.
La sua via italiana al socialismo preconizza l'ottica riformista di Salvador Allende in Cile, ugualmente perdente sul lungo termine. Il Partito di Togliatti è ancora comunista nell'obiettivo di fondo, sbagliando però l'impostazione ideologico-culturale, determinando un'organizzazione progressivamente sempre più immemore della lezione leninista.
Una lenta amnesia che determina un punto di rottura durante la segreteria Berlinguer.
185. Citato in Il PCI e il 1956, Marx21 (web), 3 marzo 2010.
186. Associazione Stalin, La divisione del movimento comunista internazionale. Le spinte oggettive, vol. 1 – La via occidentale al socialismo, cap. Premessa, Associazionestalin.it, dove si trovano anche i documenti citati.
187. Il PCI e il 1956, cit.

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