29 Marzo 2024

4.11. LE RISOLUZIONI DELLA TERZA INTERNAZIONALE

«Un fenomeno che sta in intima relazione con la disoccupazione dell'operaia è la prostituzione. Senza lavoro, affamata, cacciata dappertutto, essa è costretta a vendere il suo corpo; ed anche quando trova lavoro, il salario è generalmente così magro che essa deve guadagnarsi il necessario per la vita con la vendita del proprio corpo. Ed il nuovo mestiere diventa col tempo abitudine. Così si forma la categoria delle prostitute professionali». (Nikolaj Bucharin & Evgenij Preobraženskij, da L'A.B.C. del Comunismo, 1919)36
Aiutiamoci ora di nuovo con l'elaborazione di Cecilia Toledo37 per vedere come dalla Russia l'attenzione per le questioni femminili sia stato diffuso a livello mondiale attraverso il Comintern:
«La Terza Internazionale apparse al calore della Rivoluzione Russa e il suo programma rispetto alla questione della donna incorporò le esperienze sovietiche. Nel libro Memorie di Lenin, Klara Zetkin espose le posizioni di quest’ultimo sulla questione della donna, manifestate in occasione dei loro due incontri a Mosca nel 1920. Fu incaricata di elaborare la risoluzione sul lavoro della donna, che doveva essere presentata al Terzo Congresso dell’Internazionale, nel 1921, che fu discussa con Lenin. Inizialmente Lenin insistette sul fatto che la risoluzione avrebbe dovuto sottolineare “la connessione inseparabile tra la posizione umana e sociale della donna e la proprietà privata dei mezzi di produzione”. Per cambiare le condizioni di oppressione della donna in seno alla famiglia, i comunisti dovevano sforzarsi di unificare il movimento femminile con “la lotta della classe proletaria e la rivoluzione”. In merito alle questioni organizzative, la polemica che percorse il partito portò a chiedersi se le donne avessero dovuto o no essere organizzate separatamente. Su questo argomento, Lenin ricordò che:
Non vogliamo un’organizzazione separata di donne comuniste. Una comunista è membro del partito così come lo è il comunista. Essi hanno gli stessi diritti e doveri. […] Il partito deve disporre degli organismi (gruppi di lavoro, commissioni, comitati, sezioni, poco importa il nome) con l’obbiettivo specifico di risvegliare le vaste masse femminili”.
Klara Zetkin segnalò che molti membri del partito, per aver espresso dei propositi simili, l’accusarono di commettere una deviazione socialdemocratica, dando per scontato che i partiti comunisti, se avessero accordato la parità alle donne, avrebbero dovuto allora sviluppare il lavoro femminile non differenziandolo in alcun modo rispetto alla generalità dei lavoratori. Lenin argomentò che la “purezza dei principi” non può entrare in contraddizione di fronte alle necessità storiche della politica rivoluzionaria. Tutto questo discorso si smontò di fronte alle necessità imposte dalla realtà. Chiedendosi perché non ci fosse un numero uguale di uomini e di donne nel partito, perfino nella Russia Sovietica, e perché il numero delle donne nel sindacato fosse così esiguo, egli difese la necessità di portare avanti delle rivendicazioni speciali a favore di tutte le donne, lavoratrici e contadine e, comprese le donne delle classi possidenti, tutte quelle che soffrivano nella società borghese. Infine, Lenin criticò le sezioni nazionali dell’Internazionale Comunista che adottavano un’attitudine passiva, di attesa, per vedere quando sarebbe giunto il momento di creare un movimento di massa di lavoratrici sotto la direzione comunista. Attribuì la debolezza del lavoro sulla questione della donna nell’Internazionale al persistere di idee maschiliste che conducevano a sottovalutare l’importanza vitale della costruzione di un movimento di massa di donne. Era per questo che credeva che la risoluzione per il Terzo Congresso dell’Internazionale Comunista sarebbe stata molto importante. Essa, adottata in giugno del 1921, trattava aspetti politici e organizzativi per l’orientamento dell’Internazionale. In rapporto agli aspetti politici, la Tesi sul lavoro di propaganda tra le donne sottolineò la necessità della rivoluzione socialista per ottenere la liberazione della donna, e la necessità che i partiti comunisti conquistassero il sostegno delle masse femminili se volevano condurre la rivoluzione socialista alla vittoria. Nessuno dei due obbiettivi può essere ottenuto senza l’altro. Se i comunisti falliscono nel compito di mobilitare le masse femminili a fianco della rivoluzione, le forze reazionarie si sforzeranno di organizzarle contro di loro. La risoluzione afferma anche “che non ci sono delle questioni femminili particolari”. Dicendo questo, non intendeva dire che non ci sono problemi che interessano specialmente le donne e nemmeno che non esistano rivendicazioni particolari attorno alle quali le donne possono essere mobilitate. Significa solo che non ci sono problemi che preoccupano la donna che non siano alla stessa stregua una questione sociale più vasta, d’interesse vitale per il movimento rivoluzionario, per il quale devono combattere sia gli uomini che le donne. La risoluzione non fu diretta contro l’esigenza di portare avanti delle rivendicazioni specifiche per le donne, anzi si verificò precisamente l’opposto, nell’intento di spiegare ai lavoratori e alle lavoratrici più arretrati che tali preoccupazioni non potevano essere accantonate come “preoccupazioni femminili” senza importanza. La risoluzione condannava anche il femminismo borghese, in riferimento a quel settore del movimento femminista che era convinto che si potesse raggiungere l’emancipazione della donna riformando il sistema capitalista. Essa esortava le donne a rifiutare questo orientamento.
Per quanto riguarda gli aspetti organizzativi, la risoluzione spiegava perché non poteva esserci un’organizzazione distinta per le donne nel partito e, d’altro lato, perché devono esserci degli organismi speciali del partito per lavorare tra le donne. Divenne obbligatorio, quasi come condizione per essere membro dell’Internazionale Comunista, che ciascuna sezione organizzasse una commissione di donne, struttura che avrebbe funzionato a tutti i livelli del partito, a partire dalla direzione nazionale fino alle sezioni o alle cellule. La risoluzione imponeva ai partiti di garantire che almeno una compagna avesse il compito permanente di dirigere il lavoro a livello nazionale. Creò inoltre un Segretariato Internazionale della donna che si occupasse di supervisionare il lavoro e convocare, ogni sei mesi, regolari conferenze di rappresentanti di tutte le sezioni per esaminare e coordinare la loro attività. Finalmente, la risoluzione trattò due tipi di azione concreta che potevano essere d’aiuto per mobilitare le donne in ogni parte del mondo. Essa propose manifestazioni e scioperi, conferenze pubbliche per organizzare le donne prive di partito, corsi, scuole di quadri, l’invio di membri del partito nelle fabbriche dove lavoravano un gran numero di donne, l’utilizzo del giornale di partito, ecc.. Quale principale terreno d’azione furono presentati i sindacati e le associazioni professionali femminili. Stante il differente livello di sviluppo delle sezioni, questa risoluzione fu applicata nell’Internazionale in maniera molto diseguale. Al Quarto Congresso, alla fine del 1922, la linea essenziale della risoluzione del 1921 fu riaffermata. Il Congresso attirò l’attenzione sul fatto che alcune sezioni, non specificate, non avessero applicato le decisioni del congresso antecedente. Ottenne speciale menzione il lavoro effettivo svolto dalla sezione cinese, che aveva organizzato le donne secondo la direttiva marcata dal Terzo Congresso.
L’Internazionale Comunista dava molta importanza al lavoro tra le donne oppresse dei paesi coloniali. Le concezioni marxiste sull’emancipazione della donna e il loro ruolo nella lotta per il socialismo furono trasposte in tesi e risoluzioni durante il Terzo Congresso dell’Internazionale Comunista, riunito nel 1921, prima quindi del periodo stalinista. Questo evento, d’importanza storica per il movimento socialista mondiale, tracciò un programma e un orientamento per il lavoro tra le donne che, per la sua chiarezza e coerenza ai principi del marxismo, a tutt’oggi non è stato superato da nessun’altra organizzazione operaia. È perciò che continua ad essere valido. Inizialmente, l’Internazionale Comunista riaffermò la posizione secondo cui la liberazione della donna dall’ingiustizia secolare, dalla schiavitù e dalla mancanza di uguaglianza di cui ella è vittima nel capitalismo, non sarà possibile che con la vittoria del comunismo.
Quello che il comunismo darà alla donna, non potrà mai esserle dato dal movimento femminista borghese. Finché esisterà il dominio del capitale e della proprietà privata, la liberazione della donna sarà impossibile”.
La donna aveva appena acquisito il diritto di voto, e l’Internazionale mise in guardia che questo fatto, benché importante, non aveva soppresso la causa primordiale della sua servitù all’interno della famiglia e della società e che non aveva risolto il problema delle relazioni tra sessi.
La parità reale, e non formale, della donna sarà possibile solamente in un regime in cui la donna della classe operaia è proprietaria dei mezzi di produzione e di distribuzione, prendendo parte all’organizzazione (del lavoro) e alle medesime condizioni di tutti gli altri membri della classe operaia; ciò significa che la parità sarà realizzabile solo dopo la distruzione del sistema capitalista e la sua sostituzione con forme economiche comuniste”.

Sulla questione della maternità, l’Internazionale non lasciò più trapelare dubbi sul fatto che, unicamente all’interno del comunismo, questa funzione naturale della donna non entrerà più in conflitto con gli obblighi sociali e non impedirà il suo lavoro produttivo. Rileva tuttavia che il comunismo è il fine ultimo di tutto il proletariato, “è per questo che la lotta della donna e dell’uomo deve essere condotta in maniera inseparabile”.
La cosa più importante è dunque che quella che fu una delle organizzazioni internazionali più attive per la causa dei lavoratori, conferma i principi fondamentali del marxismo, secondo i quali non esistono problemi specificamente femminili e secondo cui la donna proletaria deve mantenersi collegata alla sua classe, e non unirsi alla donna borghese.
Tutte le relazioni dei lavoratori con il femminismo borghese e le alleanze di classe indeboliscono le forze del proletariato e rallentano la rivoluzione sociale, impedendo così la realizzazione del comunismo e la liberazione della donna”.

Infine, l’Internazionale Comunista rinforza il principio secondo cui il comunismo sarà raggiunto solo tramite l’unione di tutti gli sfruttati e non con l’unione delle forze femminili delle due classi opposte. Termina con l’esortazione rivolta a tutte le compagne dei lavoratori a partecipare attivamente e direttamente alle azioni di massa, sia nel quadro nazionale che su scala internazionale».
36. N. Bucharin & Y. Preobrazenskij, L'A.B.C. del Comunismo, cit., cap. II - Lo sviluppo dell'ordinamento sociale capitalista, paragrafo 15 - La dipendenza del proletariato, la riserva industriale, il lavoro delle donne e dei fanciulli.
37. C. Toledo, Il marxismo e il problema dell’emancipazione della donna, cit.

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