27 Aprile 2024

6.2. IL MURO DELLA VERGOGNA

«A metà degli anni Sessanta Tijuana era una città economicamente depressa e con un tasso di disoccupazione altissimo, e accolse a braccia aperte le aziende statunitensi che in quel periodo cominciavano a trasferire parte della produzione all’estero per abbassarne i costi. In Messico il salario medio degli operai era un quarto di quello dei lavoratori statunitensi, le tutele sindacali erano minime e la vicinanza geografica permetteva di risparmiare sui costi di trasporto dei componenti da assemblare. Negli anni successivi il peso delle aziende statunitensi continuò a crescere: a Tijuana tra il 1980 e il 1990 le maquiladoras, gli stabilimenti di proprietà di aziende straniere, passarono da 120 a 500, e il numero di messicani impiegati passò da 12mila a 65mila. L’entrata in vigore del trattato di libero scambio del Nordamerica nel 1994, sancì definitivamente la dipendenza economica della città – e di tutto il nord del Messico – dagli Stati Uniti». (Alessio Marchionna)48
«Muro della vergogna» è l’epiteto che è stato dato non al muro di Berlino, non al muro dentro il quale sono rinchiusi i palestinesi e nemmeno all’insieme di recinzioni cui sono stati costretti gli abitanti del Sudafrica sotto l’apartheid. È invece il nome dato dai messicani per definire l’insieme delle fortificazioni poste al confine tra Messico e USA. Non il progetto del muro, come propagandato da Donald Trump, ma la sua effettiva realizzazione. Pochi sanno infatti che tale muro esiste già, senza che sia necessario costruirne uno nuovo. Non è stato ideato né da Trump né da altri “cattivi repubblicani di destra”, bensì dal “democratico” Bill Clinton a partire dal 1994, il quale ad onor del vero non ha fatto altro che migliorare una serie di recinzioni e barriere esistenti già da inizio anni ‘70 durante l'amministrazione Nixon. La barriera di separazione tra Stati Uniti d’America e Messico, detta anche «muro messicano» o «muro di Tijuana», è una barriera di sicurezza costruita con l’obiettivo di impedire ai migranti illegali, in particolar modo messicani e centroamericani, cioè guatemaltechi, honduregni, salvadoregni e nicaraguensi, di oltrepassare il confine statunitense. La barriera è fatta di lamiera metallica sagomata, alta dai due ai quattro metri, e si snoda per chilometri lungo la frontiera tra Tijuana e San Diego. Il muro è dotato di illuminazione ad altissima intensità, una rete di sensori elettronici e strumentazione per la visione notturna, connessi via radio alla polizia di frontiera statunitense, oltre ad un sistema di vigilanza permanente, effettuato con veicoli ed elicotteri armati. Altri tratti di barriera si trovano in Arizona, Nuovo Messico e Texas. Il confine tra USA e Messico, lungo 3.140 km, attraversa territori di diversa conformazione, aree urbane e deserti. La barriera si snoda ad intervalli discontinui per oltre 1000 km ed è situata nelle sezioni urbane del confine, le aree che in passato hanno visto il maggior numero di attraversamenti clandestini. Queste aree urbane comprendono San Diego in California ed El Paso in Texas. Il risultato immediato della costruzione della barriera è stato un numero sempre crescente di persone che hanno cercato di superare illegalmente il confine. I clandestini che hanno varcato la barriera tra 1990 e 2007 sono oltre 12 milioni. L’effetto indotto dalla costruzione del muro non è stato quello sperato dall’amministrazione Bush – ridurre il numero di clandestini negli USA – quanto piuttosto di spingere i disperati a penetrare dai punti in cui il muro ancora non c’è: si tratta però di ambienti naturali – per lo più desertici – decisamente ostili. Così il numero di messicani morti lungo la frontiera è andato crescendo proporzionalmente al numero di chilometri di muro edificati. I limiti d’efficacia del muro sono evidenti a chiunque sia disposto a vederli. La presenza della barriera modifica gli itinerari d’accesso e d’attraversamento del confine, ma non incide sul numero complessivo di clandestini che cercano di farcela, per la buona ragione che provvedimenti burocratico-poliziesche non sono adatti a risolvere i problemi socio-economici. Tra il 1º ottobre 2003 ed il 30 aprile 2004, 660.390 persone sono state arrestate dalla polizia di confine statunitense mentre cercavano di attraversare illegalmente il confine. Nello stesso periodo dalle 43 alle 61 persone sono morte mentre cercavano di attraversare il deserto della Sonora, tre volte tante quelle che nello stesso lasso di tempo hanno incontrato il medesimo destino nell’anno precedente. Nell’ottobre 2004 la polizia di confine ha dichiarato la morte di 325 persone negli ultimi 12 mesi, nel tentativo di passare la frontiera. Nel 2000 lungo il confine tra Messico e Stati Uniti sono state arrestate ben 1,6 milioni di persone; nel 2013 sono calate a 400mila. Complessivamente, dal 1990 al 2015, secondo i dati ufficiali, lungo il confine tra USA e Messico sono morte in totale circa 6000 persone. Da notare il confronto con il muro di Berlino: in 30 anni (1961-89), in accordo con i dati ufficiali, vi sono stati circa 5000 tentativi di fuga coronati da successo verso Berlino Ovest, mentre sono state uccise dalla polizia di frontiera della DDR solo 133 persone (200 secondo alcuni studiosi). Numeri non paragonabili con quelli del muro USA-Messico. Dove sono allora gli intellettuali a denunciare la barbarie e la violazione dei diritti umani messa in atto dagli USA?49
48. A. Marchionna, Le vite divise dal muro tra Messico e Stati Uniti, Internazionale, 25 settembre 2017.
49. Fonti usate: A. Flores D'Arcais & R. Di Matteo, Tijuana, sotto il muro che divide l'America, L'Espresso, 2 maggio 2016; M. Sozzi, Tutti i muri del mondo – Messico e USA, Viedifuga.org (Osservatorio Permanente sui Rifugiati), 12 febbraio 2014; Wikipedia, Barriera di separazione tra Stati Uniti d'America e Messico.

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