25 Aprile 2024

19.2. L'ALBA COME BASE PER LA LIBERAZIONE DELL'AMERICA LATINA

«Il paese che vuole rendersi schiavo vende su un mercato solo, commercia con un paese solo, mentre quello che vuole rendersi libero commercia con il mondo intero». (Ernesto “Che” Guevara, Discorso su temi economici, Ministero Forze Armate Rivoluzionarie, 9 marzo 1961)161
Il rafforzamento dell'Alleanza Bolivariana per le Americhe (ALBA) è insomma un obiettivo strategico fondamentale per portare avanti la lotta antimperialista per l'America Latina: tale organizzazione non ha come obiettivo l'instaurazione del socialismo (nonostante almeno quattro paesi membri, Cuba, Venezuela, Bolivia ed Ecuador parlino esplicitamente della necessità di costruire il “socialismo del XXI secolo”, mentre gli altri rimangono sostanzialmente antimperialisti e antiliberisti)162, ma la messa a disposizione di un fondamentale sostegno economico, aggirando l'arma della guerra economica usata dall'imperialismo statunitense per destabilizzare i governi non graditi.
La riuscita e la tenuta nel tempo di tale progetto, assieme alla sempre maggiore cooperazione economica offerta dalla Repubblica Popolare Cinese, sono i veri grimaldelli che possono creare i presupposti per togliere una volta per tutte all'imperialismo statunitense il controllo neocoloniale sull'America Latina. Un dominio che come abbiamo visto è durato più di un secolo. Ricordiamo quanto detto da Ernesto “Che” Guevara163:
«L’imperialismo americano è più debole di quanto sembri. È un colosso dai piedi d’argilla. Anche se le sue grandi possibilità attuali non sono seriamente intaccate da violente lotte di classe interne che possano condurre alla distruzione del sistema capitalistico, nel modo previsto da Marx, tali possibilità si basano fondamentalmente su un potere monopolistico extraterritoriale esercitato attraverso lo scambio ineguale di merci e il controllo politico di vaste regioni. Su queste ultime ricade tutto il peso delle contraddizioni. […] Via via che i paesi dell’America e di altre regioni del mondo si libereranno dalle catene dei monopoli e stabiliranno sistemi più equi e più giuste relazioni con tutti gli altri paesi, gli Stati Uniti saranno i più colpiti. Il capitale finanziario sarà costretto ad andare in cerca di nuovi spazi per rifarsi delle perdite e in questa lotta gli USA impiegheranno tutta la loro forza in una spietata competizione con gli altri, utilizzando, forse, metodi imprevedibili di violenza nei confronti dei loro “alleati” di oggi».
Non stupisce d'altronde che gli USA cerchino di frenare e ostacolare con ogni mezzo questa progettualità, attuando una controffensiva su vasta scala.
Leggiamo a riguardo il quadro più recente offerto da Marcello Gentile164:
«Mentre noi imboccavamo la strada del peggior liberismo, in Sud America dal 1998, l’elezione del Comandante Hugo Chavez Frias apriva la strada nel continente al rifiuto delle politiche cosiddette “neoliberiste” e ad una sorta di nuovo ciclo progressista nel continente, rompendo finalmente anche l’isolamento di Cuba che eroicamente resiste dal 1959: dopo Chavez, vincono tramite elezioni democratiche Lula nel 2002 in Brasile, Kirchner nel 2003 in Argentina, nel 2006 Evo Morales in Bolivia e Zelaya in Honduras, nel 2007 Correa in Ecuador, nel 2008 Lugo in Paraguay. Tutti paesi e leaderships diverse, ma con un tratto comune: realizzare un modello di sviluppo in grado di tenere assieme crescita economica e inclusione sociale, emancipandosi da Washington. Negli ultimi 8 anni Honduras, Paraguay, Brasile e Argentina hanno cambiato campo con Colpi di Stato più o meno camuffati, mentre in Ecuador Lenin Moreno si è venduto al nemico. Si rischia di allargare il campo della reazione, che oggi vede alla sua testa la OEA (Organizzazione degli Stai Americani) con Messico, Colombia, Brasile, Argentina in cieca obbedienza verso Washington. Appunto, il Governo golpista di Temer in Brasile. Una vergogna: si accusano Lula e Dilma Rousseff di ruberie, gli stessi giudici affermano non esista uno straccio di prova su Temer e i suoi ministri, invece di prove di corruzione ne esistono a iosa. In Brasile si è varata una legge sul lavoro, come sta facendo del resto l’Argentina di Macrì che distrugge in un sol colpo decine di anni di lotte dei lavoratori (come il nostro Job Act, anche in Argentina e Brasile, diventa pressoché impossibile vincere le cause giudiziarie lavorative contro i padroni), aumentano in maniera esponenziale le bollette di gas e luce e si mette in svendita il paese: ad esempio nel 2007 Petrobas scopre un giacimento petrolifero denominato Pre-sal (si parla di una riserva tra 100 e 170 miliardi di barili) che il governo di Dilma Ruosseff con una legge rende esclusivo per la Petrobas. Temer toglie questo vantaggio alla sua azienda di stato e apre le porte alla Chevron e alla Shell. Inoltre a fine settembre hanno svenduto 4 centrali idroelletriche della compagnia pubblica CEMIG, tra cui una anche all’ENEL, e stanno mettendo sul mercato altre 47 centrali dell’impresa statale Electrobas. Per fortuna invece in Bolivia sta resistendo il governo indigeno, contadino e popolare di Evo Morales (anche in Bolivia l’imperialismo è all’offensiva, come in Venezuela, abbondano le ONG per la destabilizzazione); mentre tutto il Sudamerica è in recessione da due anni, da quattro consecutivi l’economia boliviana è in crescita (quest'anno quasi al 4%) e, a differenza di Argentina e Brasile governati dalle oligarchie, la Bolivia cresce grazie soprattutto alla domanda interna; il miglioramento delle condizioni di lavoro, l’aumento del potere di acquisto delle famiglie per gli aumenti salariali, l’incremento dell’intervento diretto dello stato verso gli strati più poveri della popolazione è un esempio di come si può governare un paese senza essere al soldo di Washington».
Dopo essere riusciti a destabilizzare già una serie di paesi importanti, gli USA all'inizio del XXI secolo hanno concentrato i propri attacchi maggiori sul Venezuela. Sperano, facendolo cadere, di distruggere l'intero blocco antimperialista di cui non sono stati in grado di frenare l'ascesa.
Per rispondere alla domanda su come sia stato possibile che l'Impero abbia potuto perdere il controllo di così tanti paesi rivoltatigli contro occorre tener conto di quattro fattori:
1) la fine della Guerra Fredda e la morte dell'URSS, che hanno paradossalmente fatto finire l'isteria anticomunista che ha giustificato, per mezzo delle accuse di un “complotto internazionale”, le azioni più feroci e disumane sostenute dagli USA;
2) il declino organizzativo della CIA. Tim Weiner ne ha dato una lucida descrizione nel suo libro; nel mondo odierno delle telecomunicazioni è molto più facile conoscere e diffondere i trucchi utilizzati dalla CIA, rendendo le stesse operazioni clandestine molto meno segrete di quanto accadesse in passato; a tal riguardo ha svolto una vera e proprio rivoluzione l'avvento dell'era informatica e di internet, che hanno consentito tecnicamente le rivelazioni di Julian Assange ed Edward Snowden;
3) la crisi palese delle politiche neoliberiste, applicate sistematicamente dagli anni '80 in ossequio ai dettami dell'FMI e della Banca Mondiale. I popoli a volte hanno votato per la reazione. A volte hanno ripetuto gli errori, ma sul lungo termine sono riusciti a trovare dei referenti politici non corrotti fedeli al proposito di portare avanti politiche alternative;
4) in tutta questa storia, è difficile pensare che nessun tipo di lotta sarebbe stata intrapresa senza l'esempio della Rivoluzione cubana. Cuba ha saputo resistere anche dopo la caduta dell'URSS e costituisce tuttora la dimostrazione che un'altra società, più umana, solidale e progredita sotto ogni aspetto, sia possibile. Anche sotto un embargo economico pressoché totale durante l'intera propria esistenza.
È arrivato quindi il momento di raccontare finalmente questa storia.
161. M. Colasanti, Ernesto “Che” Guevara, cit.
162. R. Mantovani, L’America Latina e il socialismo del XXI secolo, Rifondazione.it.
163. Da International Affairs, rivista inglese, ottobre 1964. Riportato in M. Colasanti, Ernesto “Che” Guevara, cit.
164. M. Gentile, Relazione introduttiva sull'America Latina, cit.

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