23 Aprile 2024

F.03. TEORIA DEL VALORE-LAVORO

«Per riassumere: nello stato attuale della società, che cosa è dunque il libero scambio? È la libertà del capitale. Quando avrete lasciato cadere quei pochi ostacoli nazionali che raffrenano ancora la marcia del capitale, non avrete fatto che dare via libera alla sua attività. […] Il risultato sarà che l’opposizione fra le due classi [capitalisti e lavoratori salariati, ndr] si delineerà più nettamente ancora. [...] Signori, non vi lasciate suggestionare dalla parola astratta di libertà. Libertà di chi? Non è la libertà di un singolo individuo di fronte a un altro individuo. È la libertà che ha il capitale di schiacciare il lavoratore». (Karl Marx, Discorso sulla questione del libero scambio)
A questo punto è arrivato il momento di determinare il valore di scambio delle merci. È necessario trovare una qualità comune di tutte le merci in modo che possa essere misurata e quantificata. Dall’economia classica Marx mantiene l’idea che la fonte ultima del valore di scambio di una merce sia il lavoro (o più precisamente la quantità di lavoro astratto incorporato nelle merci). Le classi dominanti tentano (inutilmente) di confutare questa idea, sottolineando come per la produzione di merci, oltre al lavoro umano, siano necessari anche diversi fattori (materie prime, terreni, macchinari, energia, ecc…). Si può facilmente dimostrare come tutti questi fattori siano in realtà anch’essi frutto di lavoro umano svolto in precedenza (lavoro “cristallizzato”, secondo l’espressione di Marx); perciò risalendo all’origine della produzione, alla fine si troveranno sempre e solo lavoro umano ed elementi naturali adattati, mediante il lavoro, alle necessità della produzione. Un’ulteriore dimostrazione della validità della teoria del valore-lavoro è la seguente: la merce può nascere solo dal lavoro vivo, perciò tutto ciò che non è prodotto dal lavoro umano non può considerarsi merce. Se, per assurdo, non ci fosse lavoro vivo (e la produzione fosse totalmente automatizzata), sarebbe una produzione incapace di creare redditi (nessun salariato interverrebbe nella produzione) e quindi non ci sarebbero più compratori per le merci (che non sarebbero più tali) prodotte. Insieme al lavoro vivo scomparirebbe anche il valore di scambio delle merci. Vediamo ancora un altro elemento a supporto della teoria del valore-lavoro: le merci che scambiamo sul mercato sono del tutto eterogenee e diversissime. Tra due beni scambiati (ad esempio un abito ed una lezione di pianoforte) non c’è assolutamente nulla in comune, se non il fatto che entrambi sono il prodotto di lavoro umano. Attraverso il commercio in realtà non si scambia quindi un bene con un altro, ma si scambia il lavoro che è stato necessario a produrli. Il fatto che il valore di scambio sia misurabile attraverso il lavoro umano fa risaltare l’esistenza di un rapporto sociale tra uomini, oltre al fatto che la merce non è una cosa, ma la materializzazione di un rapporto sociale di scambio (che non avviene tra merci, ma tra persone in relazione tra loro). Il carattere “feticcio” della merce nasconde la realtà del rapporto sociale tra persone dietro l’apparenza del rapporto tra cose. La natura di feticcio della merce è caratteristica del capitalismo, in cui la natura dei rapporti tra produttori non è evidente come invece nel feudalesimo (attraverso la servitù della gleba). Se il servo aveva coscienza di quanto tempo lavorava per sé e quanto per il feudatario (il lavoro fornito attraverso le corvée ed attuato sui terreni del feudatario o della Chiesa era fisicamente e temporalmente distinto da quello svolto per sé stesso), il proletario ha l’impressione di lavorare solo per sé e non per il suo padrone capitalista (come invece sarà dimostrato in seguito, quando parleremo di alienazione). Quando parliamo di lavoro, è il caso di distinguere il lavoro concreto (detto anche lavoro vivo, umano), volto alla produzione di valore d’uso, dal lavoro astratto; quest’ultimo prescinde dagli aspetti qualitativi e determina il valore (di scambio) creato. Il valore della merce dipende quindi dalla quantità (in tempo) di lavoro (astratto) sociale medio necessario per produrla (a prescindere dal fatto che il singolo produttore impieghi maggiore o minor tempo): una merce ha quindi valore di scambio perché in essa è oggettivato del lavoro umano. È utile sottolineare che nella determinazione del valore di scambio non intendiamo prendere come riferimento una quantità di lavoro individuale (altrimenti si avrebbe il paradosso che un operaio più lento produrrebbe più valore), ma della quantità di lavoro (medio) socialmente necessario (cioè necessario nelle condizioni medie di produttività in una determinata epoca storica e in una determinata zona geografica). A questo concetto vanno aggiunte un paio di precisazioni: un’ora di lavoro di un operaio qualificato (che ha avuto bisogno di molte ore di apprendistato per specializzarsi) vale di più (proporzionalmente alle spese di acquisizione della specializzazione) di un’ora di lavoro di un operaio manovale non qualificato (il medesimo concetto può essere applicato confrontando un segretario a un dirigente). In questa maniera abbiamo finalmente ottenuto un valore di scambio legato al tempo di lavoro socialmente necessario alla produzione. Si tratta di un tempo medio e questo vuol dire che alcuni possono impiegare un tempo maggiore o minore di quello medio in base alla tecnologia di cui dispongono. Il produttore che dispone di una tecnologia arretrata impiega un tempo di lavoro superiore a quello medio, perciò spreca lavoro sociale. Se non riesce ad adeguarsi alla media, questo produttore è destinato ad uscire dal mercato: il suo costo di produzione è maggiore di quello medio, perciò è costretto ad applicare un prezzo di vendita più alto della media (se vuole mantenere lo stesso profitto) oppure a comprimere il proprio profitto (mantenendo il prezzo nella media). In casi estremi, se il prezzo di vendita è uguale al costo di produzione (o addirittura minore), il produttore lavora senza ottenere profitto (o addirittura in perdita). Il produttore che dispone di una tecnologia avanzata riesce ad ottenere un sovra profitto (la differenza tra prezzo di vendita e costo di produzione è superiore al profitto medio). Questo vantaggio può essere sfruttato per ottenere un profitto maggiore (vendendo al prezzo medio), oppure per sottrarre mercato ai concorrenti (potendosi permettere di ottenere lo stesso profitto abbassando il prezzo di vendita). La ricerca del sovra profitto è il motore dell’economia capitalista: i produttori tendono a raggiungere la produttività più alta. Chi non ce la fa viene espulso dal mercato (si proletarizza) e questo porta ad un innalzamento della media che fa scomparire il sovra profitto. A questo punto si può notare che, dato che con il progresso tecnologico la produttività aumenta (e si riesce a produrre una merce in minor tempo), questo si riflette sul valore della merce che tende a diminuire col tempo (svalorizzazione della merce).

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