27 Aprile 2024

F.09. LA DISOCCUPAZIONE

«Se una volta per appagare una determinata quantità di bisogni materiali occorreva un certo dispendio di tempo e di energia umana che in seguito è diminuito della metà, si è nello stesso tempo allargato di altrettanto il margine per la creazione e il godimento spirituale, senza alcun pregiudizio degli agi materiali... Ma anche nella distribuzione della preda che noi strappiamo al vecchio Cronos sul suo stesso terreno, chi decide è ancora il dado del caso cieco ed ingiusto. Si è calcolato in Francia che nell'attuale fase della produzione una durata di lavoro media di cinque ore al giorno da parte di ogni uomo capace di lavoro basterebbe a soddisfare tutti gli interessi materiali della società... Ad onta del risparmio di tempo dovuto al perfezionamento delle macchine la durata del lavoro degli schiavi delle fabbriche non ha fatto che aumentare per un gran numero di individui. […] Non si è considerata questa grande differenza: sino a qual punto gli uomini lavorino con le macchine o sino a qual punto essi lavorino come macchine». (Karl Marx, dai Manoscritti Economico-Filosofici)
I diversi metodi di estrazione di un plusvalore sempre maggiore portano all’espulsione di lavoratori dal processo produttivo (sostituiti dalle macchine o dall’aumento di sfruttamento di quelli che rimangono) e questo vuol dire che la quantità totale di plusvalore prodotto potrebbe decrescere. La massa di proletari disoccupati va a formare l’esercito industriale di riserva. L’esercito dei disoccupati è una condizione necessaria di esistenza del modo di produzione capitalistico. Il capitale ha interesse a sfruttare il più possibile il lavoratore già impiegato, piuttosto che procedere all’assunzione di altri lavoratori: la maggiore domanda di lavoro da parte del capitale non si concretizza in un aumento della richiesta di lavoratori, ma in un aumento di lavoro straordinario per la parte occupata. L’offerta di lavoro dei disoccupati aumenta la pressione sugli occupati ad accettare, sotto il ricatto di essere facilmente sostituiti, il lavoro straordinario e la diminuzione del salario. Questa situazione è molto utile ai capitalisti che dispongono da una parte di lavoratori costretti a farsi iper-sfruttare (se il salario è più basso, l’operaio ha bisogno di lavorare di più) e dall’altra di disoccupati pronti a lavorare per un salario sempre più misero.
La classe borghese sfrutta abilmente questa situazione per diffondere la propria ideologia anche tra i proletari: una falsa coscienza che scatena una guerra fra poveri, mettendo contro lavoratori e disoccupati (che si fanno vicendevolmente concorrenza). Questo provoca divisioni nella classe dei proletari rendendo difficile l’acquisizione di coscienza (e di solidarietà) di classe, allontanando così l’unità della classe proletaria e la sua organizzazione della lotta contro la classe borghese. Anche qualora le classi subalterne dovessero trovare l’unità promuovendo rivolte operaie, non dobbiamo mai dimenticare che la borghesia dispone della forza materiale dello Stato per schiacciare le rivolte. Quando apparvero le prime macchine, tra gli operai si sviluppò il movimento dei luddisti (che distruggevano le macchine, individuate come la causa della loro miseria). Questi luddisti possono essere considerati dei “socialisti reazionari” (in tale categoria sono stati collocati nel Manifesto del Partito Comunista). I comunisti, invece, devono essere in grado di capire che non sono le macchine in sé a causare il peggioramento delle condizioni degli operai, ma il loro uso capitalistico (che le impiega per intensificare lo sfruttamento dei lavoratori, peggiorandone le condizioni di vita e generando precarietà). Di per sé una macchina potrebbe facilitare il lavoro umano permettendo di lavorare meno. Ancora una volta è chiaro come la causa dello sfruttamento del proletario stia nel modo di produzione capitalistico, basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione e sul lavoro salariato (proletario costretto a vendere la propria forza-lavoro a prezzi sempre più bassi, in quanto non possiede altro per vivere).

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