24 Aprile 2024

5.10 UN SUCCESSO OTTENUTO CON LA MOBILITAZIONE POPOLARE

Se il Vietnam ha potuto vincere un simile conflitto è certamente anche grazie al supporto militare del blocco socialista, ma ciò non sarebbe bastato senza la guida sapiente di una leadership adeguata, sia a livello politico che militare, capace di mobilitare un intero popolo nella propria emancipazione e Liberazione dalle catene dell'imperialismo ancora attestato su posizioni colonialiste. Riportiamo a titolo di esempio della determinazione popolare di tale lotta, due storie simboliche di personaggi meno noti.
La prima riguarda Vo Thi Thang, raccontata da Sonia Iruela72:
«Questa eroina della rivoluzione vietnamita nacque nel 1945 a Long An, fin dall'inizio fu chiaro che intendeva dedicare la sua vita alla liberazione del suo paese dall'oppressione dell'imperialismo statunitense. Essendo una ragazza, si unì alla milizia di autodifesa nella sua città natale e quando si trasferì a Saigon per studiare, prese parte al movimento clandestino di resistenza, movimento che preparò l'offensiva generale nel 1968, quando fu arrestata e condannata a 20 anni di carcere. Dopo aver ascoltato il verdetto del tribunale militare istituito dal regime fantoccio filoamericano di Saigon, disse ai giudici, offrendo loro il suo miglior sorriso, che sicuramente il loro regime non sarebbe durato fino alla fine della sua condanna. Un fotoreporter giapponese catturò quel momento che divenne immortale come “Il sorriso della vittoria”. Vo Thi Thang divenne da quel momento uno dei simboli dello spirito indomito e dell'ottimismo rivoluzionario del popolo vietnamita e della gioventù del Sud negli anni di lotta e resistenza contro gli imperialisti americani. Durante gli anni di carcerazione subì un trattamento umiliante, fu rinchiusa nelle cosiddette “gabbie della tigre”, delle quali veniva fatto largo uso per torturare i prigionieri politici, molti dei quali rimasero invalidi per causa delle torture e dei lunghi mesi in cui furono costretti ad una immobilità forzata. Nel 1975, quando giunse la liberazione del Sud e la riunificazione nazionale, Vo Thi Thang venne rilasciata dal carcere. Fu membro del Comitato Centrale del Partito Comunista del Vietnam nell'ottavo e nel nono mandato, membro del Parlamento nella nona, decima ed undicesima legislatura, vicepresidente permanente dell'Unione delle Donne e capo dell'Amministrazione nazionale del turismo. Per il suo grande contributo alla rivoluzione, al partito comunista ed alla nazione, è stata decorata con l'Ordine dell'Indipendenza (seconda classe), e con l'Ordine del Lavoro (prima classe) ed insignita della decorazione per i 40 anni di vita nel partito, oltre ad altri riconoscimenti. Fino al 2003 è stata presidente della Associazione di amicizia tra Vietnam e Cuba ed ha ricevuto una calorosa accoglienza nel paese caraibico, dove è stata insignita dell'Ordine dell'Amicizia e di Ana Betancourt. […] La giornalista cubana Marta Rojas ha affermato che l'immagine di Thi Thang, è considerata come “cara sorella di famiglia”, è stata e sempre sarà un simbolo delle donne coraggiose vietnamite».
La seconda è quella di Nguyen Van Troi, raccontata da Phan Thi Quyen73:
«Nguyen Van Troi nasce il 1 febbraio 1940 nel paese di Thanh Quyt, distretto di Dien Ban, provincia di Quang Nam (Viet Nam del Sud). Figlio di contadini poveri, rimane orfano di madre da bambino e viene cresciuto da suo padre Nguyen Van Hoa, che lavora duramente per coprire le spese familiari. Quando Troi ha cinque anni, la sua famiglia riceve una risaia, assegnatale dal Governo Popolare creato dopo il trionfo della Rivoluzione nell'agosto 1945. La vita si rende meno difficile e Nguyen Van Troi ha l'opportunità di frequentare la scuola elementare, terminare il terzo anno e far parte dell'organizzazione giovanile dei “Pionieri”. In seguito al nuovo intervento francese, si costituisce un governo fantoccio nel Sud e suo padre viene arrestato per le attività patriottiche che svolge. Rimane in carcere fino al 1952. Nel 1954 la sua famiglia deve fuggire dalle persecuzioni perpetrate dal governo fascista di Ngo Dinh Diem e Nguyen Van Troi emigra a Saigon. A quattordici anni Troi inizia a lavorare, apprendendo il mestiere di elettricista. Impara cosa siano lo sfruttamento, l'oppressione e la repressione del regime diemista, divenuto una pedina degli interessi nordamericani. Troi non accetta di rimanere passivo. A Saigon riesce a stabilire un contatto con il Fronte Nazionale di Liberazione del Viet Nam del Sud e ben presto diventa uno dei suoi militanti più impegnati. Entra a far parte dell'organizzazione clandestina Gioventù Popolare Rivoluzionaria, appartenente al FNL. Il 17 febbraio del 1964 si presenta volontario per far parte di un'unità speciale di azione armata. Nella sua autobiografia scrive: “Sono cresciuto e mi sono formato con la Rivoluzione. Mio padre è stato un combattente della Resistenza anti-francese e venne torturato dal nemico fino a rimanere invalido. Porto nel mio cuore un odio incontenibile nei confronti dei nemici della Patria. Sono arrivato a Saigon con la ferma decisione di continuare l'opera rivoluzionaria di mio padre...” Quando viene a sapere che McNamara sarebbe arrivato a Saigon nel maggio del 1964 per mettere in atto il piano di estensione della guerra di aggressione contro il popolo, Nguyen Van Troi incomincia a lavorare ad un'azione finalizzata a colpire l'alto quadro del Pentagono. Il piano di Troi viene approvato dallo Stato Maggiore a cui fa capo la sua unità. Ma, in considerazione del fatto che avrebbe dovuto sposarsi in quei giorni, i suoi compagni manifestano contrarietà alla sua partecipazione diretta. Troi insiste: “Lasciatemi contribuire all'esecuzione dell'operazione, anche solo in parte”. Viene catturato alle 10 di sera del 9 maggio 1964, mentre svolge la sua missione di minare il ponte Cong-Ly, sulla strada che conduce all'aeroporto Tan Son Nhut di Saigon, per la quale sarebbe passato McNamara. Il nemico lo sottopone a ogni tipo di tortura, impiegando le più raffinate tecniche per farlo parlare, ma ottiene sempre la stessa risposta: “Volevo uccidere McNamara perché è un nemico della Patria. Mi assumo tutta la responsabilità della mia azione”. Nguyen Van Troi passa quattro mesi nella Prigione Centrale di Saigon, quattro mesi di torture, di minacce e tentativi di corruzione da parte degli aguzzini. Invano. Troi risponde sempre: “Compio il mio dovere di patriota. Non ho altro da aggiungere”. Cerca diverse volte di fuggire dalla prigione per tornare all'attività rivoluzionaria. Una volta salta dalla finestra del secondo piano del comando di polizia di Saigon, ma cade sul tetto di un'autovettura in marcia. Si frattura una gamba e il nemico moltiplica le torture. Troi rimane quasi paralizzato. Il 10 agosto 1964 il tribunale fascista del regime condanna Troi alla pena di morte. Come ultime parole davanti al tribunale Troi dichiara: “Voglio essere breve. Mi spiace di non aver potuto ammazzare McNamara”. Nella cella dei condannati a morte dice ai suoi compagni: “Il nemico mi vuole uccidere. Non mi fa paura la morte. Mi dispiace solo di essere stato catturato prima di aver potuto concludere la mia missione. Mi dispiace di non poter continuare la lotta di liberazione del mio popolo, della mia classe e realizzare l'ideale della mia vita. Voglio vivere e lottare come un comunista, nonostante non abbia avuto l'onore di essere membro del Partito dei Lavoratori del Viet Nam, partito della classe operaia”. In prigione riceve le visite di sua moglie, Quyen, con la quale ha convissuto solo pochi giorni dopo il matrimonio. Con lei parla del passato, si informa sulle lotte in corso, le raccomanda di unirsi al movimento di liberazione. In nessun momento si mostra triste e depresso. Ai primi di ottobre del 1964 gli aguzzini decidono di fucilarlo come misura intimidatoria nei confronti del popolo, per cercare di contenere il movimento anti-yankee che cresce nelle città. L'eroismo di Troi suscita la solidarietà dei guerriglieri venezuelani, agli antipodi del globo. Le FALN catturano in pieno centro a Caracas il colonnello nordamericano Michael Smolen, vicecapo del contingente delle forze aeree statunitensi e dichiarano: “Se i nordamericani e i loro servi del Viet Nam del Sud assassineranno Nguyen Van Troi, un'ora più tardi il colonnello statunitense sarà giustiziato dalle FALN in Venezuela”. Temendo per la vita del colonnello, da Washington ordinano ai fantocci di Saigon di sospendere a tempo indeterminato l'esecuzione di Nguyen Van Troi. Il 13 ottobre le FALN liberano il colonnello nordamericano. Il 15 ottobre del 1964, violando la propria parola, alle 9,50 della mattina, gli yankee fanno portare Troi nel cortile della prigione di Chi Hoa e alle 9,59 Troi cade sotto i colpi del plotone d'esecuzione. Nel breve lasso di tempo rappresentato dai suoi ultimi nove minuti di vita, Troi rimane sereno, tranquillo come sempre, non perdendo alcuna opportunità per attaccare il nemico. Dalla porta della sua cella fino al luogo dell'esecuzione vi è una distanza di soli 50 metri. Troi cammina con difficoltà a causa della sua gamba fratturata ma non si lamenta. Si muove, tra due file di soldati armati con fucile e baionetta. Lo aspettano i corrispondenti della stampa vietnamita ed estera. Troi dice: “Ho lottato contro l'imperialismo nordamericano perché non potevo sopportare la morte del mio popolo e l'umiliazione della mia Patria. Non sono colpevole agli occhi del mio popolo e dei miei compatrioti. Ho lottato contro l'imperialismo statunitense e non contro il mio popolo. Amo profondamente il mio caro Viet Nam. Ho lottato contro gli yankee che hanno aggredito il Viet Nam del Sud e sono venuti a portare tante sventure, dolore e morte ai miei compatrioti”. Un sacerdote cattolico e un monaco buddista, inviati dal governo, chiedono a Troi di confessarsi, di pentirsi e di pregare. Troi risponde con calma: “Ci manca solo di partecipare a una farsa del genere. Non ho nulla di cui pentirmi”. I boia, intimoriti, non lo lasciano parlare di più e cercano di bendargli gli occhi. Con un gesto Troi li allontana: “Non mi serve. Lasciatemi guardare la mia amata terra fino alla fine”. Tremando, gli aguzzini legano il corpo di Troi, contro la sua volontà gli sistemano la benda sugli occhi e lo trascinano davanti al plotone d'esecuzione. Nguyen Van Troi si pone in posizione eretta e grida con tutta la voce:
Ricordate le mie parole! Abbasso gli yankee! Abbasso Nguyen Khanh!
E per tre volte urla: “Viva Ho Chi Minh!
L'ufficiale ordina: “Fuoco!
La voce di Troi si confonde con gli spari: “Viva Viet Nam! Viva Viet Nam!
Nguyen Van Troi muore alle 9,59 del 15 ottobre 1964 nel cortile della prigione di Chi Hoa. II Presidium del Comitato Centrale del Fronte Nazionale di Liberazione, in nome di 14 milioni di sudvietnamiti, assegna al martire Nguyen Van Troi il titolo di “Eroe” e la medaglia “Muraglia di Bronzo della Patria” di prim'ordine. Il Partito dei Lavoratori del Viet Nam prende la decisione di considerare Nguyen Van Troi come membro del Partito».
Vo Thi Thang e Nguyen Van Troi sono due esempi di un virtuosismo etico, un eroismo di massa, un tenace impegno di un popolo capace di sopportare ogni sacrificio, sotto la guida di un Partito Comunista che ha saputo ottenere un successo sorprendente. Una vittoria che ha le caratteristiche di un'epopea senza precedenti per l'intensità e la durata del conflitto.
72. S. Iruela, Vo Thi Thang: la ragazza del sorriso della vittoria, CCDP, 29 aprile 2015 [1° edizione originale su Unidadylucha.es, 1° aprile 2015].
73. Phan Thi Quyen, Vivere come lui, Zambon-CCDP, 2014, pag. 257.

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