27 Aprile 2024

3.01. DALLA SCHIAVITÙ AL PERIODO DEI TOTALITARISMI

Cominciamo tracciando un breve profilo storico21. Nella solenne Dichiarazione di Indipendenza del 1776 ispirata ai principi dell’Illuminismo è scritto che «tutti gli uomini sono creati uguali e sono dotati dal loro Creatore di certi inalienabili diritti fra i quali quelli alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità». Nonostante la roboante affermazione nei neonati USA la schiavitù viene formalmente mantenuta, tanto che viene tolta dalla bozza iniziale di Thomas Jefferson un riferimento di condanna implicita del fenomeno, a causa della pressione degli stati schiavisti della Georgia e della Carolina del Sud. Di fatto si alza, per usare le parole di Tiziano Bonazzi, un «silenzio oscuro e minaccioso a proposito della violazione dei diritti umani che gli americani stessi perpetravano». Il medesimo silenzio si trova nella Costituzione Federale del 1787: non compaiono mai le parole “schiavi” e “schiavitù”, ribadendo però che l’immigrazione o l’importazione delle persone che gli Stati esistenti ritengano opportuno ammettere non avrebbero potuto essere vietate dal Congresso prima dell’anno 1808. Inoltre si garantisce la restituzione ai “legittimi proprietari” degli schiavi fuggiaschi scappati in Stati dove la schiavitù non è ammessa, un atto poi confermato nel 1850 dal Fugitive Slave Act che impone la riconsegna tassativa degli schiavi fuggiaschi ai proprietari.
Fin dal 1790, con il Naturalization Act l’acquisizione della cittadinanza statunitense viene riservata ai soli bianchi liberi, escludendo quindi gli schiavi africani. In quest’anno da censimento risultano 59.466 neri liberi, ossia il 7,9% su un totale di 757.363 afroamericani presenti nella nazione, concentrati soprattutto negli stati centro-meridionali nelle piantagioni e in misura minore come domestici. Nel 1808 il Congresso vieta ufficialmente l’importazione di schiavi dall’estero ma gli schiavi neri aumentano per il lassismo sul contrabbando e l’incremento demografico naturale: vige infatti il principio che i figli delle schiave ereditino la condizione giuridica della madre. Nel 1860 sono presenti 3.950.546 schiavi afroamericani, contro 488.000 neri liberi. Nel 1857 la sentenza della Corte Suprema “Dred Scott v. Sandford” stabilisce che gli afroamericani, appartenendo a una razza inferiore, schiavi o liberi che siano, non possano essere considerati cittadini degli USA. Da notare che per tutto il periodo della schiavitù agli schiavi è proibito insegnare a leggere e scrivere. Per risolvere il problema dei neri si pensa a varie opzioni:
- incentivare la loro emigrazione in Liberia, «terra di origine dei loro antenati»;
- acquistare un territorio in America Centrale (si è parlato a riguardo di Panama) dove trasferire gli individui di colore (progetto di Lincoln);
- avviare trasferimenti di massa ad Haiti.
Perché permane la schiavitù in questo periodo?
Anzitutto per ragioni economiche: i padroni possono così continuare a sfruttare nelle proprie piantagioni del sud forza-lavoro a costo bassissimo. Anche negli stati settentrionali degli USA prevale il timore che i neri affrancati possano migrare al nord per diventare lavoratori salariati “sleali” che avrebbero accettato stipendi minori per i lavori manuali nell’industria e nel commercio. Nel luglio 1863 scoppia su simili premesse un vero e proprio “pogrom” a New York: muoiono 105 neri, uccisi da americani-irlandesi.
L’abolizione formale della schiavitù, ottenuta nel 1865, non è un traguardo semplice e scontato. Lo stesso Lincoln, all’inizio della guerra civile che falcidia gli USA, non propone l’abolizione della schiavitù per ragioni politiche: nella coalizione “nordista” sono infatti presenti 4 stati schiavisti (Delaware, Kentucky, Maryland e Missouri) e l’obiettivo unico iniziale è quello di mantenere l’unità dello Stato. Vengono addirittura puniti i generali nordisti che liberano gli schiavi. La svolta sarà determinata da una serie di sconfitte subite dall’Unione nelle prime fasi del conflitto; ciò convince Lincoln a superare il Militia Act, che dal 1792 impediva ai neri di poter servire nelle forze armate, arruolando gli afroamericani. Nel 1862 nasce il 54° reggimento di fanteria del Massachusetts, composto da soli neri. Nel 1864 tutti gli schiavi neri sono obbligati alla coscrizione militare, anche se i ruoli di comando restano saldamente in mano ai bianchi e la discriminazione permane a livello simbolico e sostanziale nell’ammontare della paga, minore rispetto a quella dei bianchi. In tutta la guerra 186.017 neri combattono con le truppe dell’Unione in 449 battaglie, subendo 38 mila morti: un tasso di mortalità superiore del 35% rispetto ai soldati bianchi. Conquistando sul campo i propri diritti il 31 gennaio 1865 il Congresso proibisce la schiavitù su tutto il territorio degli USA. In questo periodo vi sono 5 milioni di neri su un totale di 40 milioni di abitanti. All’emancipazione formale non segue quella sostanziale: ha inizio la questione sociale e un neo-schiavismo che si concretizza nell’assunzione dei neri, affrancati ma poverissimi, con contratti accomunabili a quelli della mezzadria. Per reazione diversi Stati del Sud varano i cosiddetti “black codes”, con le seguenti conseguenze per la popolazione afroamericana: esclusione dalle giurie popolari, privazione del diritto di voto, divieto di portare armi, divieto di testimoniare contro imputati di razza bianca, divieto di contrarre matrimoni misti e di svolgere attività in settori dell’economia in cui possano fare concorrenza ai bianchi; inoltre le pene sono più dure per i neri a parità di reato. Nel 1866 nasce il Ku Klux Klan, fondato dal generale confederato Nathan Bedford Forrest. Altre organizzazioni razziste sono la Southern Cross o la Knights of the White Camellia. Inizia un vero e proprio terrore di massa per mantenere i neri in condizione di soggezione sociale e psicologica tramite intimidazioni, violenze e linciaggi. La motivazione ufficiale è scoraggiare i crimini e le violenze sessuali da loro perpetrati; si propaganda il mito del nero selvaggio e brutale. Se tra il 1824 e il 1862 solo 44 schiavi neri erano stati linciati nel Sud da folle di bianchi, si stima che tra il 1880 e il 1930 la stessa sorte negli stati del Sud tocchi oltre 3200 neri. Pochissimi gli incriminati per i linciaggi e nessuno condannato, nella sostanziale connivenza delle forze dell’ordine. Inizialmente le istituzioni statunitensi cercano di reagire al fenomeno: nel 1871 il KKK viene messo al bando e sospeso l’habeas corpus nelle zone in cui è diffuso; nel 1875 il Civil Rights Act vieta la segregazione nei luoghi pubblici. Ben presto il vento cambia: giocando su una serie di cavilli giuridici nel 1883 la Corte Suprema dichiara incostituzionale il Civil Rights Act del 1875. Un peggioramento sostanziale si verifica anche nel Nord con l’arrivo di 15 milioni di immigrati dall’Europa orientale e meridionale, la conseguente diffusione di pregiudizi razziali e il timore della concorrenza afroamericana: i neri sono bollati come crumiri e osteggiati dai sindacati nei lavori industriali, con le sole eccezioni della United Mine Workers of America e dell'Industrial Workers of the World. In questo periodo viene messa in discussione anche l’appartenenza degli italiani meridionali alla razza bianca a causa della loro carnagione olivastra, tanto che alcuni siciliani sono sottoposti a linciaggi in alcuni stati del Sud.
In questo clima una serie di Stati promuove le “Leggi di Jim Crow” che formalizzano la segregazione razziale. Nel 1887 la Florida è la prima a imporre gli scompartimenti separati per bianchi e neri sulle carrozze ferroviarie; seguono a ruota altri Stati: ha inizio una spirale di discriminazione che prevede una separazione estesa giuridicamente a trasporti, ristoranti, alberghi, teatri, ospedali, parchi, quartieri residenziali e cimiteri. I neri vengono progressivamente esclusi dall’elettorato attivo e passivo attraverso alcune procedure burocratiche. Nel 1871 la Georgia impone una tassa di registrazione per l’iscrizione alle liste elettorali ma per molti afroamericani poveri ciò comporta l’impossibilità di votare. Nel 1898 la Louisiana impone un requisito censitario per accedere al diritto di voto. Vengono introdotti sistemi elettorali che necessitano di una minima capacità di alfabetizzazione per esprimere il voto ma la gran parte dei neri è analfabeta perché privata di istruzione durante il periodo di schiavitù. In alcuni Stati sono introdotte specifiche prove di alfabetismo, cultura generale e comprensione della Costituzione per ottenere il diritto di voto, il che avviene nell’ampio potere di discrezionalità delle commissioni esaminatrici, con frequenti abusi: nel Mississippi si passa da 190 mila a 8 mila elettori di colore nel giro di due anni (1890) e vengono penalizzati anche molti bianchi analfabeti (seppur in percentuali minori). Il Congresso tenta di frenare questa restrizione del diritto di voto, con scarso successo.
Di fatto rimangono varie preclusioni razziali formali al diritto di voto per svariati anni: abbiamo già visto che solo nel 1924 viene concessa la cittadinanza ai nativi americani, ma la situazione è peggiore per altri gruppi etnici: solo nel 1943 si concede il diritto di naturalizzazione agli immigrati cinesi; il diritto di voto viene concesso ai filippini nel 1946, agli indiani nel 1948 e alle restanti minoranze asiatiche nel 1952, in piena guerra fredda.
Se possibile la situazione peggiora ulteriormente proprio nel periodo della presidenza Wilson (1913-21). Colui che viene ricordato nei libri di Storia come un grande democratico in lotta per il principio di autodeterminazione dei popoli è in realtà un sudista razzista che lascia estendere la segregazione e la discriminazione razziale all’intera amministrazione federale, rimasta fino a quel momento immune. Nel corso del suo mandato Wilson rimuove quasi tutti i dipendenti federali afroamericani. Applica la segregazione in reparti lavorativi federali come le Poste oltre che a gabinetti e mense. Negli anni della Rivoluzione d’Ottobre antirazzista già troviamo la contraddizione palese con la decisione statunitense di intervenire nella prima guerra mondiale (1917-18) «per rendere il mondo sicuro per la democrazia». In tale occasione i neri tornano utili al Governo statunitense: 400 mila afroamericani sono arruolati in unità segregate con ufficiali bianchi e per l’80% relegati in mansioni di bassa manovalanza. Il contatto con una Francia assai più tollerante crea problemi per il governo statunitense che arriva a screditare le proprie stesse truppe di colore agli occhi della popolazione locale accusandole di viltà, incapacità bellica e di essere composte da potenziali stupratori. È il periodo dell’enorme successo del film The Birth of a Nation (1915), interpretazione romantica del KKK, organizzazione rifondata nel 1915 dal colonnello Joseph Simmons. L’aumento del razzismo popolare avviene in concomitanza al maggiore inurbamento dei neri, che trovano spazio nella fiorente industria bellica. Nel 1910 il 75% dei neri vive ancora nelle campagne, il 90% nel Sud, ma con la migrazione di massa al Nord la questione razziale diventa per molti un problema nazionale. Si afferma una segregazione residenziale (con veri e propri ghetti) non giuridica ma sostanziale anche al Nord. Le tensioni razziali sono acuite dai reduci di guerra, non più disposti ad essere trattati come animali. Il 23 agosto 1917 al pestaggio del caporale di colore Baltimore da agenti bianchi segue una reazione afroamericana con l’assalto alla stazione di polizia di Houston. Il bilancio è di 17 morti. La reazione è tremenda: la corte marziale condanna a morte 19 neri e altri 50 all’ergastolo. In tutto si verificano 78 linciaggi nel solo 1919. Scoppiano tumulti a Chicago. La novità è costituita dalla reazione non remissiva ma violenta dei neri, invitati a resistere da giornali come Crisis e Messenger. Nel Sud 250 mezzadri afroamericani sono massacrati per aver semplicemente rivendicato migliori condizioni lavorative ai proprietari terrieri. Sono anni di fortissima espansione del KKK, che arriva ad avere 2 milioni di membri nel 1925, con un forte controllo politico di molti Stati ed un radicamento esteso anche nel Nord e nel Midwest: ora non solo neri, ma anche ebrei, cattolici, slavi e meridionali vengono messi all’indice dall’organizzazione, che si presenta come il campione della civiltà WASP (White-Anglo-Saxon-Protestant, ossia le tre caratteristiche del buon e “vero” statunitense: bianco, anglosassone e protestante). L’organizzazione inizia il suo declino a livello federale dal 1925 a causa di una serie di scandali dovuti a corruzione e crimini interni ma rimane forte e radicata nel Sud.
Nonostante l’aumento impetuoso del razzismo, gli anni ’20 sono nel complesso un periodo di miglioramento complessivo delle condizioni socio-economiche per i neri, con l’aumento della percentuale inserita tra i ceti medi: si inizia a parlare addirittura di «borghesia nera». Ogni progresso materiale viene tuttavia cancellato dalla crisi del 1929. Né Roosevelt né Kennedy cambiano sostanzialmente la condizione giuridica che garantisce la segregazione. Per ora fermiamoci qua e analizziamo meglio alcuni aspetti di questi anni nei quali si diffondono i “totalitarismi”.
21. Per il presente testo si sono sostanzialmente sintetizzati i capitoli iniziali del testo S. Luconi, Gli afro-americani dalla guerra civile alla presidenza di Barack Obama, Cleup, Padova 2011.

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