19 Marzo 2024

6. L'ASCESA DEL FASCISMO

«Le mezze coscienze odiano i forti, non solo per avversione di idee, ma anche per il solo fatto che sono forti, e mettono in maggior rilievo l'altrui incapacità. Del resto, non bisogna turbarsi per l'odio, come non bisogna esaltarsi per l'ammirazione. L'odio e l'ammirazione non producono. La vita solo produce: la vita che è azione disciplinata, che è fermo proposito, che è volontà sicura e indomabile, che è servizio oscuro dell'individuo per la collettività. La vita di ogni giorno è ricominciata. All'eroismo succede il trito susseguirsi delle piccole cose quotidiane. È nella forza, nella tenacia con cui entro sé stessi e nei rapporti con gli altri si vincono gli scoramenti, si ricrea l'organizzazione, si ritessono i fili innumerevoli che uniscono insieme gli individui di una classe. Osiamo dire che questo eroismo è più produttivo dell'altro. Ha bisogno per essere attuato della continuità indefessa».
(Antonio Gramsci, da Carattere, Il Grido del Popolo, 8 settembre 1917)
Nel clima di revisionismo storico imperante la storia del fascismo è sempre meno nota. Concentriamoci su una ricostruzione storica essenziale. Si è già ricordato come i “Fasci Italiani di Combattimento” nascano il 23 marzo 1919, per diretta volontà di Mussolini, con un programma radical-repubblicano che esasperava la retorica risorgimentale in senso nazionalistico. Mussolini era un ex socialista, che nel permissivismo generalizzato e nella confusione ideologica del PSI, era riuscito ad ergersi fino alla carica di Direttore dell'Avanti! durante gli anni della Prima Guerra Mondiale, prima di essere cacciato dal Partito per la propaganda interventista, militarista e nazionalista ivi sostenuta. L'appartenenza passata di Mussolini al PSI è stata spesso motivo di polemica per giustificare la teoria degli opposti estremismi e della stessa radice ideologica dei totalitarismi. In realtà ciò serve solo a mostrare a quale livello di deformazione del marxismo fosse arrivata la Seconda Internazionale e le organizzazioni ad essa aderenti. Vedremo più avanti come pulsioni nazionaliste e scioviniste fossero in tal senso già presenti ben prima del tradimento generalizzato del 1914. Il fatto grave era però aver dato loro spazio nelle organizzazioni operaie, consentendo a personaggi inqualificabili come Mussolini di ottenere una visibilità di massa. Le ambizioni personali di Mussolini lo portano ben presto ad abbandonare la retorica progressista, intuendo che dalla crisi istituzionale del sistema parlamentare, fosse possibile uscire con l'avvento di una nuova forza politica orientata in senso anti-socialista, anti-sovietico, anti-operaio. Nel frattempo nel Paese dal 28 marzo 1920 si erano confermati i due blocchi sociali: da una parte gli operai con lo sciopero ad oltranza, dall’altra i proprietari, che adottarono la serrata (chiusura della fabbrica) come reazione alle richieste operaie. Dopo alcuni mesi di trattative sugli aumenti salariali, sempre respinti dalla Confederazione Generale dell’Industria, si ritornò all’inasprimento dei contrasti, con l’occupazione armata delle fabbriche da parte degli operai, il 30 agosto del 1920.
Mentre il Partito Socialista tentava la trattativa con il governo presieduto da Giolitti, gli industriali e i latifondisti, più pragmatici, cominciarono a garantire il loro appoggio economico alle squadre dei “ras” fascisti. E così agli scioperi agrari nella Pianura Padana, allo sciopero generale dei metallurgici in Piemonte e all'occupazione delle fabbriche in molte città italiane il fascismo rispose con la violenza. Squadre fasciste intervennero per spezzare gli scioperi aggredendo i partecipanti, pestando deputati e simpatizzanti socialisti. A novembre, in occasione dell'insediamento del nuovo sindaco di Bologna, un socialista di estrema sinistra, partirono pistolettate e bombe a mano che provocarono la morte di nove persone nella piazza, mentre un consigliere nazionalista venne ucciso in pieno Consiglio comunale. Le spedizioni punitive estesero il loro raggio d'azione alla Toscana, al Veneto, alla Lombardia e all'Umbria. Vennero assaltate le Case del Popolo, le sedi delle amministrazioni comunali socialiste e le leghe cattoliche. In Venezia Giulia giovani squadristi assalirono e incendiarono le sedi di associazioni e giornali sloveni. In Alto Adige simili attenzioni vennero rivolte alla popolazione tedesca, di cui i fascisti auspicavano una forzata italianizzazione («dobbiamo estirpare il nido di vipere tedesco», disse Mussolini). Prefetti, commissari di polizia e comandanti militari tolleravano e in alcuni casi agevolavano le «operazioni» della squadre fasciste contro il «sovversivismo rosso».
«Sono dei fuochi d'artificio, che fanno molto rumore ma si spengono rapidamente», disse Giolitti minimizzando il problema. Giolitti rifiutò di far intervenire la polizia e l'esercito nelle fabbriche e aspettò che il movimento si esaurisse da sé, che terminassero le scorte di materie prime nei magazzini delle aziende occupate, che gli stessi operai si rendessero conto che l'occupazione non portava a nulla. Nello stesso tempo favorì le trattative fra gli industriali e sindacati e, praticamente, obbligò gli industriali a concedere ai lavoratori i miglioramenti di salario richiesti. Così all’inizio di ottobre del 1920 Giolitti riuscì a far accettare un compromesso tra le parti sociali. In tal senso presentò anche un progetto di legge per controllo operaio su fabbriche, mai attuato. Le agitazioni operaie ebbero in conclusione risultati economici positivi: i lavoratori ottennero miglioramenti nel salario e nelle condizioni di lavoro; la durata massima della giornata lavorativa passò da 10-11 ore a 8 ore. Ebbero tuttavia anche degli effetti politici negativi, perché spaventarono fortemente la borghesia: non solo i grandi proprietari di industrie o di terre ma, ancora di più, il ceto medio, i piccoli borghesi che cominciavano a costituire una classe sociale decisamente numerosa. Il timore di una possibile rivoluzione li avrebbe presto spinti ad appoggiare il fascismo di Benito Mussolini. Così come fece la classe politica liberale. Fu lo stesso Giolitti a favorire l'ascesa del fascismo quando, in occasione delle elezioni del maggio 1921, cercando di assorbire i fascisti nella normale prassi parlamentare, li inserì nei Blocchi nazionali da opporre ai partiti di massa (popolare, socialista, comunista): ne furono eletti 35, con alla testa Mussolini. Nel frattempo si erano intensificate le violenze fasciste, dando avvio al Biennio Nero (1921-22): nella sola pianura padana, nei primi sei mesi del 1921, gli attacchi operati dalle squadre fasciste furono 726. Gli obiettivi di questa violenza mostrano chiaramente che le squadre fasciste volevano colpire e da quali interessi erano sostenute: 59 case del popolo, 119 camere del lavoro, 107 cooperative, 83 leghe contadine, 141 sezioni socialiste, 100 circoli culturali, 28 sindacati operai, 53 circoli ricreativi operai. Gli organi dello Stato che avrebbero dovuto mantenere l'ordine, non intervennero per reprimere le illegalità. In alcuni casi, le forze di polizia si affiancarono alle squadre fasciste. Comunisti e anarchici reagirono con la creazione delle squadre degli Arditi del Popolo (epica fu, ad esempio, la difesa di Parma, assalita da migliaia di fascisti nell'agosto del 1922).33
33. Vedi la seconda nota del paragrafo 1. Il biennio rosso in Europa e la grande paura della borghesia.

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