19 Aprile 2024

6.10. LE LEGGI RAZZIALI E LA CONNIVENZA DELLA CHIESA

Il 19 aprile del 1937 l'Italia fascista vara la prima delle sue leggi razziali: viene approvata la legge di tutela della razza con il regio decreto legge 880/37 che vieta l’acquisto di una concubina e il matrimonio con le donne di colore delle colonie. A questa legge razziale ne seguirono altre, che avevano come scopo lo stabilire la superiorità della razza italiana, ma soprattutto la sua appartenenza al gruppo di quelle ariane. Come premessa a quest’ideologia, molti scienziati cercarono di fornire una base scientifica come giustificazione alla diversità razziale, realizzando il Manifesto degli scienziati razzisti (noto anche come Manifesto della Razza), pubblicato una prima volta in forma anonima sul Giornale d'Italia il 15 luglio 1938 con il titolo Il Fascismo e i problemi della razza, e poi ripubblicato sul numero uno della rivista La difesa della razza il 5 agosto 1938 firmato da 10 scienziati. Nonostante alcuni sostengano che Mussolini non fosse antisemita, Galeazzo Ciano riporta nel suo diario per la giornata del 14 luglio 1938: «Il Duce mi annuncia la pubblicazione da parte del Giornale d'Italia di uno statement sulle questioni della razza. Figura scritto da un gruppo di studiosi, sotto l'egida del Ministero della Cultura Popolare. Mi dice che in realtà l'ha quasi completamente redatto lui». Le successive leggi razziali fasciste sono un insieme di provvedimenti legislativi e amministrativi (leggi, ordinanze, circolari, ecc.) applicati in Italia fra il 1938 e il primo quinquennio degli anni quaranta, inizialmente dal regime fascista e poi dalla Repubblica Sociale Italiana. Esse furono rivolte prevalentemente – ma non solo – contro le persone di religione ebraica. Furono lette per la prima volta il 18 settembre 1938 a Trieste da Benito Mussolini, dal balcone del Municipio in occasione della sua visita alla città. Furono abrogate con i regi decreti-legge nn° 25 e 26 del 20 gennaio 1944, emessi durante il Regno del Sud. In reazione alle leggi razziali centinaia di professori e scienziati, a cui fu sostanzialmente impedito lavorare, furono costretti ad emigrare. Per protesta, tra le dimissioni illustri da istituzioni scientifiche italiane ci sono quelle di Albert Einstein, allora membro dell'Accademia dei Lincei. Da notare che l'allontanamento degli studenti di fede ebraica dalle scuole pubbliche italiane, iniziato nell'autunno del 1938, avvenne in anticipo di qualche giorno rispetto a quelle del Terzo Reich, a conferma che il razzismo del fascismo non andò semplicemente “a ruota” di quello del nazismo ma ne fu anche anticipatore di alcune istanze. Secondo alcuni storici, nel caso delle leggi razziali fasciste il Vaticano nel complesso non denunciò con fermezza la linea discriminatoria verso gli ebrei, preoccupandosi soltanto di ottenere dal governo la modifica degli articoli che potevano ledere le prerogative della Chiesa sul piano giuridico concordatario specialmente per quanto riguardava gli ebrei convertiti. La Civiltà Cattolica, organo ufficiale dei Gesuiti, commentando il Manifesto degli scienziati razzisti, credette allora di rilevarvi una notevole differenza rispetto al razzismo nazista: «Chi ha presente le tesi del razzismo tedesco, rileverà la notevole differenza di quelle proposte da questo gruppo di studiosi fascisti italiani. Questo confermerebbe che il fascismo italiano non vuol confondersi col nazismo o razzismo tedesco intrinsecamente ed esplicitamente materialistico e anticristiano».
Secondo lo storico Renzo De Felice, se la Santa Sede non approvò un razzismo di stampo puramente materialistico e biologico, «al tempo stesso non era contraria a una moderata azione antisemita, estrinsecantesi sul piano delle minorazioni civili». De Felice rileva come la loro preoccupazione maggiore fosse data dal fatto che la politica fascista non attaccava l'ebraismo come religione, ma come razza. Comunque, tracciando un bilancio dell'atteggiamento dei cattolici italiani di fronte alle leggi antiebraiche, sempre lo storico scrive: «Nei documenti testé citati abbiamo visto come i cattolici avessero ovunque una posizione nettamente contraria ai provvedimenti antisemiti. Il fatto è incontrovertibile e, anzi, costituirà una costante sino al 1945». Tuttavia, continua De Felice, «le gerarchie cattoliche e i giornali preferirono però non correre rischi e, pur non accettandolo, cessarono quasi completamente ogni polemica pubblica contro l'antisemitismo».
Di fronte al silenzio degli avversari dell'antisemitismo non tacquero gli antisemiti, che certamente non mancavano tra i cattolici e tra le stesse gerarchie ecclesiastiche. Ad esempio il quotidiano Il regime fascista, diretto da Roberto Farinacci, scrisse il 30 agosto 1938 che vi era «molto da imparare dai Padri della Compagnia di Gesù» e che «il fascismo è molto inferiore, sia nei suoi propositi, sia nell'esecuzione, al rigore de La Civiltà cattolica».
Affermazione non molto lontana dal vero se prendiamo in considerazione alcune pubblicazioni della rivista cattolica. Ad esempio nel 1938, in un articolo polemico, la rivista criticò aspramente lo scienziato Rudolf Laemmel a causa di una sua opera nella quale condannava l'antisemitismo nazista. Scrisse La Civiltà cattolica che Laemmel era tuttavia esagerato,
«troppo immemore delle continue persecuzioni degli ebrei contro i cristiani, particolarmente contro la Chiesa Cattolica, e dell'alleanza loro con i massoni, coi socialisti e con altri partiti anticristiani; esagera troppo quando conclude che “sarebbe non solo illogico e antistorico, ma un vero tradimento morale se oggidì il cristianesimo non si prendesse cura degli ebrei”. Né si può dimenticare che gli ebrei medesimi hanno richiamato in ogni tempo e richiamano tuttora su di sé le giuste avversioni dei popoli coi lor soprusi troppo frequenti e con l'odio verso Cristo medesimo, la sua religione e la sua Chiesa Cattolica».
Anche la rivista Vita e pensiero, fondata da Agostino Gemelli nel 1914, giustificò sostanzialmente la politica antisemita del fascismo. Che la posizione della rivista ricalcasse le medesime posizioni del fascismo sarebbe ampiamente dimostrato dalle pubbliche esternazioni del suo stesso fondatore: padre Agostino Gemelli che, in una conferenza da lui tenuta il 9 gennaio 1939 all'Università di Bologna, affermò:
«Tragica senza dubbio, e dolorosa la situazione di coloro che non possono far parte, e per il loro sangue e per la loro religione, di questa magnifica patria; tragica situazione in cui vediamo una volta di più, come molte altre nei secoli, attuarsi quella terribile sentenza che il popolo deicida ha chiesto su di sé e per la quale va ramingo per il mondo, incapace di trovare la pace di una patria, mentre le conseguenze dell'orribile delitto lo perseguitano ovunque e in ogni tempo».
Roberto Farinacci, su Il regime fascista del 10 gennaio, si precipitò a proclamare: «non siamo soli» facendo un panegirico del discorso bolognese del Gemelli. Due mesi dopo chiese a Mussolini di nominare Gemelli (definito «uomo veramente nostro») all'Accademia d'Italia. Papa Pio XI, che otto anni prima aveva definito Mussolini «l'uomo della Provvidenza» ( o meglio «un uomo […] che la Provvidenza ci ha fatto incontrare») nel 1937 aveva già scritto un'enciclica contro l'antisemitismo dei nazisti, la Mit brennender Sorge, che però si riferiva alla situazione in Germania e non citava l'Italia poiché non c'era ancora stato nulla di antisemita nella politica del regime fascista. Nel 1938-1939 egli affidò il progetto di un'ulteriore enciclica di condanna dell'antisemitismo al gesuita statunitense John LaFarge, ma tale progetto fu avocato a sé dal Superiore Generale della Compagnia di Gesù, che consegnò il testo dell'enciclica solo un anno dopo, poco prima che Pio XI morisse. Il successore papa Pio XII, già nunzio apostolico a Berlino, non la fece pubblicare, benché fosse stato egli stesso uno dei redattori della precedente enciclica di condanna del nazismo. Tutto questo rappresenta la grande vergogna del fascismo, con la connivenza e il sostegno della Chiesa cattolica.56
56. È accurata a riguardo la pagina Wikipedia, Leggi razziali fasciste. Per ulteriori riscontri si rimanda alla manualistica storica e quindi alla seconda nota del paragrafo 1. Il biennio rosso in Europa e la grande paura della borghesia.

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