29 Marzo 2024

4.01. CARATTERISTICHE MORALI, POLITICHE ED ECONOMICHE

Gli junker e il cancelliere prussiano Otto von Bismarck avevano combattuto i rivoluzionari socialdemocratici del tempo mettendo al bando il partito ed espellendone i membri dalla Germania. Il «Führer più grande di tutti i tempi» e cancelliere del Reich, Hitler, aveva tentato di estirpare lo “spettro” marxista alle radici tramite i lager. Dopo il 1945 il cancelliere Konrad Adenauer ci riprova nella Germania occidentale capitalista con metodi non del tutto nuovi: un altro divieto di esistenza per il Partito Comunista di Germania (KPD) nel 1956 e – già nel 1951 – della Libera Gioventù Tedesca (FDJ). Come se tutto ciò non fosse sufficiente, il suo successore, il socialdemocratico Willy Brandt, ha intensificato gli sforzi contro il neonato Partito Comunista Tedesco (DKP): ancora una volta migliaia di processi politici oltre a migliaia di casi di “Berufsverbot” (divieto professionale) contro professionisti e apprendisti.
Più vitale che mai, nel dopoguerra la rabbia dei capitalisti tedeschi si dirige però soprattutto contro la porzione più piccola e povera della Germania, lo stato antifascista e socialista della Repubblica Democratica Tedesca. Inaccettabile per la borghesia tedesca che esista uno Stato tedesco che si ispira alle idee di Marx ed Engels, alle esperienze delle lotte del movimento comunista e operaio internazionale e all'obiettivo anticapitalista e antifascista di costruire un'alternativa al dogma dei monopoli e delle banche, ai padroni dell'industria degli armamenti e ai profittatori di guerra, quegli stessi padroni che avevano finanziato il partito di Hitler ben prima del 1933. Gli agenti del vecchio ordine capitalista e imperialista cercano di sabotare e distruggere in ogni modo la DDR. Tutte le potenze della vecchia Europa capitalista complottano, boicottano economicamente, isolano politicamente, cercano di strangolare la fragile Germania antifascista e socialista. Per 40 anni falliscono nel loro intento.
Gli alleati della DDR non sono né i miliardari di Wall Street, né le grandi società statunitensi, né il settore bancario. L'URSS aveva vinto la guerra, ma aveva subito perdite ingenti e si trovava sull'orlo del baratro, sotto la minaccia della bomba atomica statunitense. Per accelerare la ripresa economica ottiene sotto forma di riparazioni e mezzi industriali dalla DDR una compensazione minima dei danni di guerra causati dalla Germania nazista. Il più ricco ovest della Germania non ha pagato un centesimo. È potuta diventare la “vetrina dell'occidente” grazie ai soldi del Piano Marshall, con cui ha ricevuto un enorme aiuto per la ricostruzione del paese, dal valore pari a 1.412,8 miliardi di dollari. La Germania Ovest ha ricevuto il terzo maggiore aiuto economico tra i paesi europei del dopoguerra, preceduta solo da Francia e Regno Unito. L'obiettivo dei socialisti e comunisti tedeschi e sovietici era inizialmente di mantenere la Germania unita, per promuovere un nuovo inizio democratico, un cambiamento in tutta la Germania, senza fascisti, profittatori di guerra e capitalisti, per costruire una Germania realmente democratica e pacifica. Questi erano anche i termini degli accordi di Potsdam fra i tre alleati della seconda guerra mondiale. Le cose sono andate diversamente: «Preferisco avere in pieno la metà della Germania, che tutta la Germania per metà», questo il motto di Adenauer che ha legittimato la divisione in Germania. L'offerta sovietica di un trattato di pace con la Germania democratica e antifascista è respinto a favore dell'“integrazione” nell'Occidente capitalista e nella sua aggressiva alleanza militare, la Nato. La Germania Ovest diventa così, sotto la guida statunitense, un “baluardo” dell'antisovietismo e dell'anticomunismo.
Mentre i fascisti, i generali e i giudici nazisti, i leader dell'economia di guerra di tutti i livelli assumono rapidamente e nuovamente posizioni di comando nel nuovo Stato tedesco occidentale, l'edificazione di un'alternativa antifascista e socialista ad est inizia nel rinnovamento totale e nella lotta al passato criminale: la generazione che si accinge a costruire la DDR è per lo più politicamente inesperta: figli e figlie di operai e contadini che non appartengono alle élite borghesi, eppure saranno capaci di trasformare la parte più piccola della Germania in uno dei primi dieci paesi industriali del mondo. Uno Stato che costituisce una stabile alternativa socialista al capitalismo, riconosciuto a livello internazionale, con una politica estera improntata all'internazionalismo, alla solidarietà con i popoli in lotta per la libertà nazionale e la pace, all'accoglienza verso i perseguitati dal fascismo e dall'imperialismo. La DDR non è una terra latte e miele, ma prova che i lavoratori sono in grado di ottenere grandi risultati anche senza capitalisti: la ricostruzione di un paese in cui sono garantite le condizioni fondamentali ed essenziali della vita per le masse, un sistema riconosciuto a livello internazionale di istruzione, cultura e sanità pubblica, raramente eguagliato. Un paese dove le donne e le madri lavoratrici conoscono la parità di genere, a livelli ancora oggi esemplari. Uno Stato in cui tutti godono del diritto di abitare in un appartamento riscaldato e accessibile, senza timori circa il futuro professionale o familiare. La DDR è un paese in cui non l'interesse dei milionari, ma di milioni di persone è al centro dei pensieri dei politici al governo. Un paese che non partecipa a guerre per ambizioni neo-colonialiste, come la “nuova” Germania dal 1990.
LA DDR non è un “presunto paradiso dei lavoratori”, come la macchina di propaganda anticomunista sosteneva beffardamente. Non è una terra dell'abbondanza. Ciò è dovuto alle condizioni economiche nonché al quadro politico. Alcuni aspetti sono rimasti insufficienti e imperfetti. Alcuni impulsi democratici e avveniristici non sono stati raggiunti, non solo a causa di “condizioni oggettive”. La DDR avrebbe tuttavia molto di cui vantarsi, motivo per cui capitalisti e imperialisti tedeschi ritenevano dovesse “scomparire”. In questo “regime” non esiste più la proprietà privata capitalista dei mezzi di produzione, gli junkers con le loro grandi proprietà diventano un ricordo del passato. Le imprese sono trasferite nelle mani del popolo, diventate “imprese popolari”. La terra appartiene a chi la coltiva: i soci delle cooperative agricole. Il potere dello Stato – esercitato dalla Camera del Popolo e dal Fronte Nazionale – non è più nelle mani di milionari. I Siemens, Henkel, Porsche, Quandt e le famiglie Piech, i ricchi insomma, hanno perso il loro potere. Governano le persone comuni, i Müller, Krause, Schulze, Schmidt. Si sviluppano standard diversi rispetto a quanto è possibile sotto il capitalismo, in settori quali la politica economica e sociale, l'istruzione, la giustizia, la cultura, i rapporti tra i sessi e le generazioni, la politica estera e la difesa. Alcuni problemi della vita capitalista vengono eliminati: non esistono milioni di persone cronicamente disoccupate, né precari a basso reddito, né assistenzializzati (“Hartz IV”) o emarginati a vita.
La fine della DDR non può essere attribuita ad un singolo fattore. Ci sono cause interne ed esterne; degli errori, alcuni evitabili, connessi al crescente allontanamento tra il partito alla guida del paese e il suo popolo, contraddizioni tra gli obiettivi propagandati e la vita reale, l'assenza di un discorso inerente ai problemi e dispiaceri vissuti dalla popolazione. La classe operaia e il suo partito cessano di essere un'unità vivente, in particolare il collegamento tra lo Stato socialista e la gioventù ne esce lacerato. Il partito della classe operaia perde – anche per propri errori e deficit – l'egemonia e la capacità di agire politica e ideologica. Così si diffondono perplessità circa il futuro della DDR e illusioni sul tenore di vita ad ovest. A causa della perdita di autorità e del crollo del potere durante i mesi della crisi del 1989, che precede la controrivoluzione del mese di novembre, la leadership agisce avventatamente.
Il partito non è più in grado di difendere le conquiste di 40 anni di edificazione rivoluzionaria. In cima fattori esistenziali e inevitabili, legati in particolare al ruolo giocato della DDR come avamposto dell'alleanza dei paesi socialisti guidati dall'Unione Sovietica. La DDR è l'ultima vittima della “trattativa” tra le due superpotenze dell'epoca, l'“Occidente” imperialista e l'“Oriente” socialista, con la partecipazione attiva del capitale tedesco e dei suoi leader politici. Gli attori colpevoli del tradimento del tempo sono la dirigenza sovietica sotto Gorbacev: la DDR – proprio come tutti gli altri paesi socialisti in Europa e alleati – diventa, nel tempo di crisi, pedina sacrificale nella partita a scacchi geopolitica, parte di un accordo tra l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti.
Dopo la riunificazione l’istituzione a cui è affidato il compito di privatizzare l’intera economia del settore orientale si chiama Treuhandanstalt (Istituto di amministrazione fiduciaria), detta anche Treuhand. I costi sociali di questa operazione, accompagnata dalla scomparsa della DDR come entità geo-politica autonoma, sono altissimi: la distruzione della base industriale ha causato la perdita, dall'89 al '92, di 3,7 milioni di posti di lavoro a tempo indeterminato, ha emarginato l’élite intellettuale (il 90% dei professori e ricercatori universitari è stato rimosso dal proprio posto di lavoro), ha abolito il sistema scolastico unitario e politecnico, ha determinato l’emigrazione interna da est a ovest di quasi 2 milioni di tedeschi orientali, per lo più giovani con qualifiche superiori, ha provocato lo spopolamento delle città dell’est che hanno visto la perdita media del 20-25% della popolazione. Un’operazione, come ha affermato lo scrittore Stefan Heym, finalizzata a rendere la DDR «una nota a piè di pagina della storia tedesca». I profitti conseguiti dal capitale della Germania federale nell’acquisto sottocosto dei beni privatizzati ha determinato la crescita materiale e politica della Germania. Le imprese privatizzate sono divenute semplici succursali delle case madri dell’ovest e la ex-DDR, che pure aveva un settore industriale in molti settori all'avanguardia, è stata trasformata in un enorme territorio coloniale con i tratti di un mezzogiorno nel cuore dell’Europa.
Nel 2009, in occasione del 20° anniversario della caduta del Muro, il 49% dei tedeschi dell’Est ha affermato che «la RDT aveva più lati positivi che negativi. C’erano alcuni problemi, ma si viveva bene». Un ulteriore 8% era del seguente avviso: «la RDT aveva nettamente più lati positivi. Vi si viveva più felici e meglio che oggi nella Germania riunificata».
Dopo queste clamorose risposte il governo tedesco ha deciso di non commissionare più sondaggi (o non renderli pubblici) su questo tema.39
39. Il paragrafo è in pratica un assemblaggio di questi due articoli: Partito Comunista Tedesco (DKP), A 65 anni dalla fondazione della RDT, Solidnet.org-CCDP, 6 ottobre 2014 e Redazione Contropiano, La grande espropriazione d'Europa, Contropiano, 19 gennaio 2014.

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