25 Aprile 2024

4.11. L'ANNESSIONE COLONIALE SUBITA DALL'OVEST, GUIDA PER L'EUROPA UNITA

Nel 2013 l'economista Vladimiro Giacché ha pubblicato un'opera preziosa, Anschluss. L’annessione. L’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa. Per tracciare un profilo dell'opera, che ci aiuta ad approfondire il saccheggio neocoloniale perpetrato sulla Germania dell'Est, ci aiutiamo con la recensione fattane da Marco Muscillo52:
«L’autore ripercorre le tappe che portarono alla riunificazione tedesca rivedendo la vulgata comune secondo la quale la DDR, la Repubblica Democratica Tedesca, essendo giunta al capolinea politico e al collasso economico, si vide costretta a chiedere aiuto alla Germania Federale dell’Ovest, la quale generosamente acconsentì a riunificare lo Stato Tedesco, prima con l’unione monetaria del 1 Luglio 1990 e poi con quella politica del 3 Ottobre seguente, salvando così i tedeschi dell’Est che avevano subito le scelleratezze fallimentari del sistema socialista. Giacché mette in discussione tutta questa tesi dimostrando come l’unione monetaria tra le due Germanie avviò una grave crisi economica nell’Est e trovò un nuovo e fiorente mercato per i prodotti delle imprese dell’Ovest. Ciò ha permesso all’autore di definire provocatoriamente ‘Anschluss’ o ‘annessione’ quella che per tutti è la riunificazione della Germania e a rapportare ciò che accadde allora con quello che sta succedendo ai giorni d’oggi in Europa, scoprendo molte analogie. Venendo più nello specifico, Giacché dice che la Repubblica Federale fece generosamente adottare il proprio marco ai tedeschi dell’Est con un rapporto di cambio molto favorevole dell’1 a 1 (va ricordato che all’epoca il marco era la moneta più forte del mondo). In cambio il Primo Ministro Helmut Kohl chiese al governo della DDR di abbandonare il sistema socialista e di adottare integralmente l’economia di mercato. Su queste basi, nel marzo del 1990, la CDU dell’Est, alleata di Kohl, vinse le elezioni e permette al segretario Lothar de Maizière di diventare Primo Ministro. L’unificazione monetaria avvenuta l’1 Luglio del 1990 fu un’arma formidabile perché permise l’assunzione in blocco dell’intero sistema economico della Germania Occidentale. Tutti i problemi derivanti dal dover introdurre un’economia di mercato in un sistema economico pianificato svanirono il giorno stesso in cui le regole monetarie dell’Ovest furono introdotte nella DDR. L’unione monetaria, a questo punto, rendeva possibile anche l’annessione politica della Germania Est alla Repubblica Federale. Infatti, l’unione politica avvenne tre mesi dopo, il 3 Ottobre dello stesso anno. Prima dell’unificazione monetaria, le transazioni economiche tra Est e Ovest ammontavano a circa il 30% per l’export della Germania Est e avvenivano con un rapporto di cambio ufficioso (il marco della DDR era in teoria una moneta non convertibile) di 1 a 4.44. Ciò vuol dire, che in una sola notte, tra il 30 Giugno e il Primo Luglio 1990, imponendo il cambio di 1 a 1, i prezzi dei prodotti della DDR si rivalutarono del 350%. L’economia della Germania Est, accettando questa situazione, perse tre mercati: perse il mercato della Repubblica Federale venendo meno la convenienza dei prezzi; perse il mercato dell’Est Europa, le cui transazioni prima erano regolate con una moneta fittizia chiamata ‘rublo convertibile’ mentre ora dovevano avvenire col marco tedesco; infine perse il mercato interno della DDR, poiché i tedeschi dell’Est erano sia produttori sia consumatori dei loro stessi prodotti. Il mercato interno fu allora completamente invaso dai prodotti dell’Ovest, più convenienti. Data questa situazione, molte imprese della DDR fallirono. Circa il 90% delle imprese dell’Est si trovarono in una situazione d’insolvenza e si trovarono costrette a chiedere liquidità al governo centrale. Questo contribuì a facilitare le privatizzazioni delle aziende dell’ex Repubblica Democratica. Gli effetti furono devastanti: il Prodotto Interno Lordo della Germania Est, tra il 1989 e 1991, perse il 44% mentre la produzione industriale crollò del 45%, le imprese privatizzate che all’inizio del 1990 contavano 4.100.000 lavoratori, nel 1994 ne avevano soltanto 124.000. Il governo centrale giustificò questi fallimenti dicendo che l’economia della DDR era già al collasso prima del 1990 e che stava molto peggio di quanto all’Ovest si pensasse. Giacché dice che quest’asserzione è falsa perché esistono documenti e delle dichiarazioni che provano che già nel momento in cui si propose l’unione monetaria, la classe dirigente politica ed economica della Repubblica Federale aveva ben chiaro che il risultato sarebbe stato quello di creare disoccupazione e di portare le aziende al fallimento. Sostenuto da prove fornite dagli stessi protagonisti di questa vicenda, l’autore ha potuto affermare con sicurezza che queste conseguenze erano state deliberatamente volute dall’establishment della Germania Ovest. Tutto questo fu “il risultato dell’annessione non preparata di un territorio economico a bassa produttività del lavoro a un territorio molto sviluppato”.
Una seconda leggenda messa in campo per giustificare il disastro avvenuto dopo l’unificazione fu quella dell’urgenza dovuta a due fattori: il fatto che la Germania Est era prossimo alla bancarotta, cosa che a detta di Giacché è falsa perché la Bundesbank nel 1999 fece i saldi di chiusura del primo decennale della situazione economica della DDR e risultò un debito significativo nei confronti dell’Occidente ragguagliabile a 20 miliardi di marchi ovest (attualmente la sola Berlino ha debiti per oltre 60 miliardi di euro!). L’altro fattore che a detta di Giacché è vero, è che c’era una forte emigrazione da Est a Ovest e che l’intenzione del governo della Germania Ovest era quella di frenarla. Tuttavia, l’immigrazione non si arrestò ma al contrario crebbe spaventosamente arrivando, negli anni successivi all’unificazione, a contare circa 4 milioni di persone, il doppio di quelli emigrati prima della caduta del muro di Berlino. Per le privatizzazioni fu creata una società fiduciaria chiamata Treuhandanstalt che assunse tutto il patrimonio industriale ed economico statale della DDR. Alle privatizzazioni fu data priorità assoluta: dall’1 luglio del 1990 alla fine del 1994 fu privatizzato tutto l’apparato industriale della ormai defunta Repubblica Democratica Tedesca. Si trattò di una vera e propria svendita, basti pensare che molto società furono date via per 1 marco soltanto, e fu accompagnata da un intervento di investimenti pubblici per finanziamento e costi di avviamento. L’operazione di privatizzazione terminò con una perdita per lo Stato di circa 250 miliardi di marchi. Non furono fatte nemmeno delle aste pubbliche ma tutte le aziende vennero cedute col sistema della trattativa privata. A causa di questo, l’87% delle imprese dell’Est privatizzate finirono in mano d’imprenditori dell’Ovest, un altro 7% finì a imprenditori di aziende straniere, e solo il restante 6% a cittadini dell’Est. Il collasso economico prodotto con la riunificazione tedesca non ha trovato riscontri in nessun altro paese dell’Europa post-comunista. Questo è abbastanza indicativo perché la DDR era il paese più avanzato assieme alla Cecoslovacchia dal punto di vista industriale (considerate che la DDR esportava il 50% del suo PIL). La crescita successiva, della quale molti favoleggiano, è stata molto più bassa rispetto a tutti gli altri paesi dell’Est e più bassa rispetto all’ex Germania Ovest: tuttora il Prodotto Interno Lordo Tedesco, se consideriamo la componente dell’Est è inferiore rispetto a quella che dava prima dell’unificazione. Dal 1995 la crescita dei Länder orientali si è attestata al 20% mentre quella dei Länder occidentali del 27%. A questo punto Vladimiro Giacché passa a smontare la tesi del ’miracolo economico’ che si verificò dopo il crollo dei primi anni. I sostenitori di questa tesi fanno partire le statistiche regolarmente dal 1991, cioè dal punto più basso di caduta del PIL della Germania Est (cioè da -44% rispetto a due anni prima). Possiamo comprendere che da quel punto di vista è facile rilevare statisticamente una sostanziale crescita. I rilevatori economici invece mostrano un quadro differente e più preoccupante: l’emigrazione ad esempio interessò 4,1 milioni di persone con il conseguente spopolamento delle città (in alcuni casi con punte del 50%). Ciò provocò anche un problema nel mercato immobiliare: furono circa 1,3 milioni gli immobili vuoti che vennero abbattuti per non far crollare i prezzi di mercato. Nel 2013, il Prodotto Interno Lordo per abitante nell’ex DDR, considerando anche gli stipendi pubblici, è stato del 66,6% di quello dell’Ovest (sarebbe il 63% se non considerassimo i dipendenti pubblici). L’emigrazione da Est a Ovest ha interessato circa 10.000 persone. Riguardo ai trasferimenti di denaro, essi furono certamente ingenti ma tornarono tutti all’Ovest perché servirono principalmente ai cittadini dell’Est per comprare la merce che veniva prodotta all’Ovest, oppure per costruire delle infrastrutture che ovviamente venivano fatte da imprese dell’Ovest. A conti fatti, dunque, i vantaggi dell’unificazione andarono tutti a favore dell’Ovest: le imprese della Repubblica Federale da un giorno all’altro conquistarono un mercato di 16 milioni di persone che parlavano la loro stessa lingua e che avevano abitudini e gusti simili ai tedeschi dell’Ovest. Nei primi due anni dall’unità, il patrimonio delle aziende dell’Ovest crebbe di 300 miliardi di marchi. I profitti conseguiti dalle banche occidentali dopo l’acquisizione della DDR furono 200 miliardi circa nel 1990. Le aziende della Germania Ovest sostituirono quelle dell’Est nel mercato orientale e prepararono quella che ancora oggi è la cintura di subfornitori dei paesi dell’Est che sono essenziali per la competitività del prezzo delle merci tedesche (sono tutti paesi che appartengono all’Unione Europea ma che non hanno adottato l’Euro). Nella migliore delle ipotesi, le imprese dell’Est si trasformarono in succursali delle imprese dell’Ovest e con la distruzione della grande industria vennero a costituirsi principalmente piccole e medie imprese. Secondo Giacché, con l’unificazione la Germania assunse un ruolo geopolitico centrale e importante all’interno del panorama europeo, ruolo che fu decisivo per la costituzione del sistema monetario dell’Euro. La riunificazione tedesca accelerò il processo di unione europeo. Il Presidente francese François Mitterand, preoccupato delle dimensioni territoriali e geografiche della nuova Germania, pensò di ridimensionare il potenziale potere egemonico tedesco, tentando di imprigionare la Germania nel progetto di Unione Europea. Fu lui dunque il primo a spingere verso l’unione monetaria. L’unione monetaria europea fu molto simile a quella tedesca, anche se meno estrema: la rivalutazione della lira rispetto al marco fu del 20% rispetto al 350% del marco dell’Est rispetto a quello dell’Ovest. Le monete che entrarono nell’Euro erano già prima delle monete convertibili e quindi avevano già prima un peso sul mercato dei capitali. Il processo inoltre fu meno rapido e non fu completo perché non ci fu l’immediata assunzione in blocco dell’economia della Germania. Tuttavia si possono rilevare due aspetti fondamentali quali l’introduzione del concetto della stabilità dei prezzi (cioè la lotta all’inflazione) e il principio dell’indipendenza della Banca Centrale, incorporati entrambi nel Trattato di Maastricht e assunti come principi fondativi dell’unione monetaria europea. Una delle analogie più importanti si nota quando si analizza quello che sta accadendo in questo momento alle economie del Sud Europa. I fenomeni che si sono prodotti con l’introduzione dell’Euro sono gli stessi che si produssero nella DDR con l’unione monetaria: il calo del PIL; il calo della produzione industriale; una forte disoccupazione; l’emigrazione verso il Nord Europa, in particolare verso la Germania.

Facendo riferimento soprattutto all’Italia, il presupposto che spinse il nostro paese ad adottare l’Euro fu di accettare di perdere la sovranità monetaria e tutti gli strumenti che questa offriva in cambio della protezione del debito elevato. Questo è proprio ciò che accadde alla DDR, la quale nel 1989 chiese un prestito alla Repubblica Federale Tedesca, il cui pagamento fu a mano a mano rimandato e poi non più restituito e si ritrovò a dover proteggere il debito accettando di perdere la propria sovranità monetaria. Inoltre, anche per l’Italia, come per tutti i paesi del Sud Europa, l’unione monetaria fu l’annessione di un’area economica a un’altra più sviluppata. Cosa non meno importante, secondo l’autore, è la “forza legante” che caratterizza un’unione monetaria: la moneta non è un’unione di livello inferiore rispetto a quella politica perché la moneta è capace di innescare processi irreversibili, di spostare rapporti di forza verso l’area dominante, di creare una realtà economica e politica nuova. La Germania, essendo legata a una politica economica di forte esportazione del settore manifatturiero ha ottenuto i maggiori vantaggi dall’unione monetaria e ha costretto gli altri Stati a riceverne meno (o a non riceverne per niente). Per aumentare questi vantaggi dell’esportazione la Germania ha fatto un uso spregiudicato, tuttavia corretto, delle regole europee, praticando in maniera massiccia un dumping fiscale, cioè un abbassamento della pressione fiscale per aumentare i consumi, e un dumping sociale, aumentando la produttività ma non trasferendo nulla di questa produttività ai salari. In questo modo la Germania è riuscita a vincere facilmente la concorrenza delle altre economie dell’area Euro. Il risultato è stato che il contributo della manifattura del Prodotto Interno Lordo dell’Eurozona degli ultimi 15 anni è diminuito in media passando dal 22% al 19,4%. Nello stesso periodo quello tedesco è aumentato.

Questo divario produttivo a favore della Germania, si sarebbe potuto colmare attraverso l’uso dei trasferimenti monetari, dalla Germania verso le aree della zona Euro meno produttive. Infatti, l’incubo dei tedeschi è sempre stato quello di dover pagare per paesi come la Grecia, o come l’Italia, ed è per questo che essi si sono sempre rifiutati di accettare questo tipo di soluzione. Tuttavia, prima della crisi del 2008, una tipologia di trasferimenti interni esisteva ed era rappresentata dai prestiti che le banche tedesche e francesi erogavano ai paesi del sud (uno su tutti, la Grecia). Dopo il 2008, però, questi crediti sono stati ritirati, imponendo ai paesi in crisi le politiche di austerità, le quali, assieme al cambio fisso, hanno costituito un ulteriore strumento di rigidità economica. Data questa situazione, ad oggi, i paesi del sud Europa non hanno strumenti con i quali poter recuperare competitività se non quello della svalutazione dei salari […]. Infatti, un gap di competitività può essere colmato soltanto in tre modi: con la svalutazione del cambio, con la svalutazione interna e con gli investimenti, pubblici o privati, per migliorare la produttività. Per quanto riguarda quest’ultimo punto, va detto che gli investimenti privati, in una situazione di crisi economica, non vengono fatti, perché le aziende sono anch’esse in crisi ed inoltre devono far fronte alla stretta fiscale imposta dai governi per non sforare i parametri di bilancio. Parametri che impediscono, allo stesso modo, ai governi di fare investimenti pubblici. Per questo, quando sentiamo parlare i rappresentanti del governo e dell’Europa di “riforme strutturali” dobbiamo capire che essi si riferiscono soltanto a una cosa, che è la loro unica soluzione possibile: la svalutazione interna. Essa provoca due conseguenze principali: la prima è ovviamente la caduta della domanda interna, la quale comporta la distruzione dell’industria e il fallimento di tutte quelle aziende che producono per il mercato interno. La seconda è l’innescarsi di un processo deflattivo che aggrava la situazione del debito pubblico, aumentandolo sempre di più e rendendolo insostenibile. È paradossale che le politiche attuate con l’intenzione di ridurre il debito pubblico in realtà ne provochino l’aumento! La realtà è che un modello mercantilista come quello tedesco, volto tutto verso l’esportazione, non può essere un modello economico per gli altri paesi europei. Il modello mercantilista, proprio per la sua natura, presuppone che gli altri adottino un sistema economico diverso, improntato sul consumo interno. Da qui nascono tutte le contraddizioni del sistema Euro. Con Anschluss, Vladimiro Giacché ci fa capire che quello che stiamo vivendo oggi ha radici nel recente passato. Dopo la caduta del muro, i vincitori della “guerra fredda” imposero ai vinti il loro modello economico e come una sorta di fondamentalismo religioso, continuano a imporcelo tuttora senza capire che quel modello mercantilista è fallimentare per le economie degli altri paesi europei. La Repubblica Democratica Tedesca perse la sua guerra con la Repubblica Federale e fu costretta ad accettare di essere annessa, territorialmente ed economicamente. I vantaggi della “riunificazione” si manifestarono solamente per i “benefattori” dell’Ovest».
52. M. Muscillo, Dall’annessione della DDR all’Europa del rigore, in nome del dogma mercantilista, Opinione Pubblica (web), 15 giugno 2015.

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