29 Marzo 2024

02. ĖJZENSTEJN, UN MONTAGGIO D'AVANGUARDIA RIVOLUZIONARIO

Sergej Michajlovič Ėjzenštejn (Riga, 23 gennaio 1898 – Mosca, 11 febbraio 1948) è stato un regista, sceneggiatore, montatore, scrittore, produttore cinematografico e scenografo sovietico (premiato con l'Ordine di Lenin, l'Ordine del Distintivo d'Onore e due volte con il Premio Stalin), ritenuto tra i più influenti della storia del cinema per via dei suoi lavori, rivoluzionari per l'uso innovativo del montaggio e la composizione formale dell'immagine. Esiste un nesso inestricabile e dialettico tra il contenuto profondamente rivoluzionario e proletario e la radicalità artistica messa in scena da Ėjzenštejn. Sul primo punto sono numerosi i passaggi che sgombrano il campo da ogni dubbio. Ad esempio: «Biologicamente siamo mortali ma immortali diventiamo per i nostri atti sociali, per il piccolo contributo individuale che rechiamo al progresso della società nell'ideale staffetta della storia». Ėjzenštejn non è uno di quegli autori per cui vige il principio de “l'arte per l'arte”, anzi si rimane incuriositi dal fatto che fin da giovane il suo proposito dichiarato sia quello iconoclasta (quasi “pre-punk”) di distruggere l'arte; salvo poi rimanere ammaliato da tale strumento, rendendosi anche conto che, opportunamente governato, questo potesse svolgere un ruolo importantissimo per il progresso umano portato avanti dalla Rivoluzione bolscevica: «Influenzare le menti attraverso l'arte rappresentava qualcosa, dopo tutto. E se il giovane Stato proletario voleva assolvere gli importanti compiti cui era chiamato, doveva esercitare una grande influenza sul cuore e sulla mente delle persone». Ėjzenštejn come intellettuale organico della Rivoluzione d'Ottobre dunque, capace di realizzare capolavori politicizzati come Sciopero!, La Corazzata Potemkin (che inizialmente nelle proiezioni di Mosca è un mezzo fiasco, salvo essere poi riscoperto dopo il trionfo tributato in Occidente), Ottobre, La Linea di Condotta e Alexander Nevskij, adattandosi di volta in volta alle richieste ed alle necessità culturali e politiche poste dal governo sovietico. Eppure è incontestabile che spesso sia colpito da provvedimenti che ne limitano l'attività artistica, come è il caso de Que Viva Mexico! e Il prato di Bezin. Secondo il critico Maurizio Del Ministro, che segue un nutrito filone a riguardo, l'autore, peraltro omosessuale, sarebbe stato duramente represso dal “regime stalinista”, al punto da concepire la trilogia Ivan il Terribile come una critica allusiva dello stalinismo. Niente di tutto ciò traspare dalle fonti né dalle dichiarazioni dello stesso regista. L'opera anzi viene sostenuta dallo stesso Stalin, che ne approva i contenuti tesi a ritrarre un Ivan «oppresso dal dubbio circa gli sforzi e il limite dei mezzi da usare per intraprendere un'azione contro i nemici della vita e dello Stato».
Il critico Maurizio Del Ministro pone la questione in senso astratto e universale:
«Ėjzenštejn, come Machiavelli, pone il suo principe crudelmente di fronte alle dure e tristi esigenze del suo compito: “Gli si affaccia il dubbio se combattere il male con il male, la frode con la frode, la violenza con la violenza, il tradimento con il tradimento, renda possibile riportare la comunità al vero ordine della sua forma politica”».
Il vero motivo di contrasto tra Ėjzenštejn e il PCUS non sta in una divergenza di vedute politiche, né tantomeno nella volontà di condannare l'omosessualità del regista (in merito alla quale, peraltro, vengono riportate molteplici interpretazioni omoerotiche su diversi passaggi della sua filmografia, senza che si citi nessun provvedimento censorio a riguardo), quanto piuttosto nell'accusa di eccessivo formalismo che sbatte contro le istanze realiste socialiste promosse dalla politica culturale di Zdanov. Il che può essere criticabile o meno, ma che non trova mai in ogni caso una polemica diretta ed esplicita da parte di Ėjzenštejn, che anzi ribadisce sempre la propria visione dialettica e unitaria nell'intreccio politico-artistico, come emerge ad esempio da questo passaggio dove cita espressamente Engels:
«Una rappresentazione esatta dell'universo, della sua evoluzione e di quella dell'umanità, e il riflesso di questa evoluzione nei cervelli degli uomini possono quindi essere ottenuti soltanto con metodo dialettico, per mezzo di una costante considerazione dell'influenza generale, del divenire e del perire, delle mutazioni evolutive e involutive».
Ėjzenštejn crede appassionatamente in una nuova estetica e ritiene il cinema la «sintesi come unità organica» tra le arti «della pittura, del teatro, della musica, della scultura, dell'architettura, della danza, del paesaggio e dell'uomo, della immagine visiva e della parola».
Il cinema diventa quindi quella nuova arte dove «la forma è sempre un'ideologia reale», in grado di correggere la natura, «anzi l'arte stessa è natura». Vere e proprie chicche sono alcuni passaggi riportati riguardo agli intellettuali borghesi, la cui produzione non viene certamente rifiutata, ma assorbita e introiettata storicamente al fine di proporne un avanzamento, nella consapevolezza cioè dei limiti dell'arte borghese. Si legga a riguardo quando viene detto di Joyce: «Penso che l'Ulisse di Joyce sia la vetta più alta mai toccata dalla letteratura borghese. Ho detto con chiarezza che con letteratura borghese intendo una letteratura che non si pone l'obbiettivo di contribuire alla liquidazione della borghesia (questo è il compito di una letteratura proletaria) se non in modo relativo e settoriale». Tranchant il giudizio dato sul premio Nobel per la letteratura Pirandello: «Non sono un suo ammiratore. E se dovessi cercarmi un autore, non mi rivolgerei a lui». Ma Ėjzenštejn è comunque un artista poliedrico capace di trarre insegnamento dagli influssi culturali più disparati, come la filosofia e Weltanschauung cinese (con la sua struttura dualistica Yin e Yang), il teatro Kabuki e il meglio dell'arte occidentale passata (Balzac, Leonardo Da Vinci) e contemporanea (tra cui un'attenzione preminente al cinema americano). Passando per le tematiche del rapporto vita-morte e per l'ampio utilizzo delle metafore di animalizzazione degli uomini violentati dal grande Capitale. Un regista unico.5
5. A. Pascale, Recensione di “Sergej M. Ėjzenštejn. La Corazzata Potemkin” di Maurizio Del Ministro, Collettivostellarossa.it, 5 novembre 2011. L'opera di riferimento dove è possibile verificare i passaggi riportati è appunto M. Del Ministro, Sergej M. Ėjzenštejn. La Corazzata Potemkin, Lindau, Torino 2015.

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