27 Aprile 2024

35. ANGELA DAVIS, COMUNISTA PERCHÉ NERA E OPPRESSA

Per prentare Angela Davis (Birmingham, 26 gennaio 1944) usiamo la biografia tratta dall'Enciclopedia delle donne:
«Angela Yvonne Davis è una figura fondamentale per il movimento femminista nero degli anni Settanta. Nata il 26 gennaio da una coppia di insegnanti, relativamente benestante (il padre prese in gestione un distributore di benzina), visse i drammi del razzismo del profondo Sud. Abitava in una zona chiamata Dynamite Hill perché spesso, lì, le case dei neri che vi si trasferivano venivano fatte saltare con la dinamite; con la dinamite fu fatta saltare una chiesa dove morirono tre sue amiche. Laureata con lode in letteratura francese, passò poi agli studi di filosofia e visse a Parigi e Francoforte dove fu allieva di Adorno, per ritornare poi negli Stati Uniti, dove fu allieva di Herbert Marcuse. In California continuò la sua attività di lotta politica aderendo al SNCC, un comitato di coordinamento della lotta non violenta degli studenti, e successivamente al movimento delle Black Panthers. Dopo l’assassinio di Martin Luther King aderì al Partito Comunista.
Conseguita la laurea in filosofia, ottenne la cattedra all’Università di Los Angeles, che le venne dapprima revocata in quanto comunista, ma la revoca fu dichiarata incostituzionale e poté continuare ad insegnare. Tuttavia venne espulsa dall’Università quando nel 1970 si adoperò in difesa dei Soledad Brothers, tre detenuti neri accusati di aver ucciso una guardia, e anche in seguito alla sua partecipazione al movimento delle Black Panthers, che andava assumendo sempre più carattere di lotta, anche armata. Successivamente fu accusata di cospirazione, rapimento e omicidio in relazione al fallito tentativo di un gruppo di attivisti delle Black Panthers, di liberare il detenuto nero George Jackson in un’aula di tribunale: la pistola utilizzata era intestata a suo nome, e Jackson era il grande amore della sua vita (non risulta infatti che Angela abbia avuto altri legami importanti e duraturi); fu quindi arrestata e processata. L’appassionata difesa che condusse personalmente ed efficacemente nel corso del processo, le consentì di diffondere le sue idee in tutto il mondo, diventando così popolare da mobilitare a suo favore un gran numero di persone che si riunirono in comitati e organizzazioni, non solo negli Stati Uniti ma anche in molti altri paesi. La sua vicenda portò alla ribalta la sua figura di donna che aveva sempre combattuto per i diritti civili e per i diritti delle donne, scontrandosi talvolta anche con altri appartenenti al Movimento. […] Angela Davis ha dedicato la sua vita alla soluzione politica dei problemi del razzismo e dei diritti civili, e le sue vicende personali e il rilievo che ebbero in tutto il mondo la portarono ad essere, in quanto donna e afroamericana, un simbolo sia del femminismo che dell’uguaglianza razziale. […] Attualmente la Davis insegna Storia della Coscienza all’Università della California, dove dirige anche il Women Institute. Non è più iscritta al Partito Comunista statunitense, ma continua a sostenere gli ideali e i principi di sempre, con quel senso critico che l’ha portata a scagliarsi anche contro la degenerazione del movimento afroamericano verso il fondamentalismo islamico, rappresentato da Nation of Islam di Louis Farrakhan, movimento islamista e maschilista, che ha riempito il vuoto lasciato dalla scomparsa delle laiche e progressiste Pantere Nere».
Ora ascoltiamo direttamente la sua voce, riportando alcune risposte tratte da un'intervista, Tredici domande ad Angela Davis90, in cui ad inizio anni '70 risponde dal carcere a quesiti posti dalla popolazione di Harlem; l'ultima domanda offre anche una finestra sul mancato rispetto dei diritti umani per i prigionieri politici da parte degli USA:
«-Giornalista: Perché è comunista?
-Angela Davis: Prima di tutto io sono nera. Ho consacrato la mia vita alla lotta per la liberazione del popolo nero, il mio popolo asservito, imprigionato! Io sono comunista, perché il motivo per il quale noi siamo costretti con la violenza a vivere miseramente, ad avere il livello di vita più basso di tutta la società americana, è in stretto rapporto con la natura del capitalismo. Se noi riusciremo un giorno ad emergere dalla nostra oppressione, dalla nostra miseria, se riusciremo un giorno a non essere i bersagli di una mentalità razzista, di poliziotti razzisti, dovremo distruggere il sistema capitalistico americano. Bisognerà sopprimere un sistema nel quale si garantisce a qualche ricco capitalista il privilegio di continuare ad arricchirsi, mentre un intero popolo, costretto a lavorare per i ricchi, non può mai elevarsi in maniera sostanziale, e ciò vale soprattutto per i neri. Sono comunista perché credo che il popolo nero, il cui lavoro e il cui sangue hanno reso possibile edificare questo paese, ha diritto ad una gran parte delle ricchezze che hanno accumulato gli Hugh, i Rockefeller, i Kennedy, i Dupont, tutti gli strapotenti capitalisti bianchi d'America. Sono comunista perché penso che i neri non dovrebbero essere costretti a fare una guerra razzista e imperialista nel Sud-Est asiatico, dove il governo USA rifiuta con la violenza più inumana ad un popolo non bianco il diritto di autogovernarsi, esattamente allo stesso modo in cui, durante interi secoli, ha usato la violenza per sopprimerci. La mia decisione di iscrivermi al gruppo Che-Lumumba, collettivo nero militante del partito comunista, deriva direttamente dalla mia convinzione che la sola via per la liberazione di tutti i neri è quella del rovesciamento completo e totale della classe capitalista e di tutti i suoi mezzi di oppressione. Il compito del gruppo Che-Lumumba è di organizzare i neri in funzione dei loro bisogni immediati; ma, allo stesso tempo, di creare un'armata di combattenti per la libertà che rovesceranno i nostri nemici. Noi sappiamo che, per raggiungere questo scopo finale, dobbiamo unire le nostre forze a quelle degli elementi progressisti della popolazione bianca di America, che ha visto come noi la natura della bestia capitalista. […]
-G.: Da quando lei è diventata comunista non ha mai dubitato che il partito possa aiutare il popolo nero?
-A.D.: Il partito comunista dichiara che il popolo nero non solamente costituisce la parte più oppressa della popolazione degli Stati Uniti, ma anche che noi siamo in questo paese l'espressione della resistenza più combattiva. Noi siamo dunque, in quanto popolo nero, i leaders naturali di una rivoluzione il cui scopo finale è quello di rovesciare la classe dirigente americana e liberare tutte le masse del paese. I neri si devono liberare poggiando sulle proprie forze. Nella nostra lotta noi comprendiamo come il razzismo sia negativo in questo paese. Questa realtà l'abbiamo appresa al momento della lotta per i diritti civili, in cui molti bianchi dalle buone intenzioni perpetuavano il razzismo, adottando un atteggiamento di protezione, dicendo che essi dovevano “aiutare” noi altri neri, il che significava aiutarci nell'inutile impresa che consisteva nell'integrazione in una cultura destinata a morire. Il partito comunista riconosce la necessità per i bianchi, soprattutto per gli operai bianchi, di accettare il ruolo direttivo dei neri. Se essi dovranno un giorno liberarsi dalle loro catene capiranno che dovranno, prima di tutto, lottare contro ogni manifestazione di razzismo. […]
-G.: Può dirci com'è trattata nel carcere femminile?
-A.D.: Si tratta di una prigione e tutte le condizioni più spaventose che caratterizzano le galere americane sono presenti in questa. Piuttosto che parlare subito del trattamento particolare che subisco, vorrei raccontare quali sono 1e condizioni in cui siamo costrette a vivere. Tanto per incominciare, la prigione è immonda, infestata da scarafaggi e topi. Spesso troviamo nel cibo scarafaggi che sono stati cucinati con le vivande. Tempo fa una delle sorelle ha trovato nella minestra una coda di topo. Nei giorni scorsi capitò che mentre bevevo una tazza di caffè dovetti estrarre uno scarafaggio. Gli scarafaggi coprono letteralmente i muri delle nostre celle, la sera, e ci camminano sul corpo mentre dormiamo. Tutte le notti si sentono grida di prigioniere che si svegliano sentendo i topi che corrono sui loro corpi. Tra l'altro ne ho trovato uno nel mio letto, la notte scorsa. L'assistenza medica è spaventosa. I dottori sono razzisti ed assolutamente insensibili ai bisogni delle donne. Una sorella, la cui cella è nel mio stesso braccio, si è lamentata con il dottore di avere degli atroci dolori al seno. Il medico le ha consigliato di trovarsi un'occupazione, senza sognarsi nemmeno di visitarla. In seguito, le è stato riscontrato un tumore al petto e ha dovuto essere ricoverata immediatamente. Questo caso esemplifica il modo con cui siamo trattate qui. Passiamo la maggior parte del tempo in celle immonde di 5 piedi per 9, col pavimento di cemento; o fuori, in corridoi nudi. Non abbiamo neanche il diritto di mettere sul pavimento, su cui dobbiamo sederci, delle coperte per ripararci dal freddo e dalla sporcizia. A proposito della biblioteca, esiste una collezione di storie, di avventure e romanzi che viene chiamata biblioteca. Bisogna tener presente che la popolazione della prigione è al 95% formata da nere e portoricane; ebbene io non ho trovato che 5 o 6 testi su argomenti riguardanti i neri, mentre i libri in spagnolo sono estremamente rari».
90. A. Davis (intervista al Muhammad Speaks), Tredici domande ad Angela Davis, Sitocomunista.it, tratta da A. Davis, Nel ventre del mostro, Editori Riuniti-Glianni70.blogspot.it, Roma 1971.

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