19 Aprile 2024

33.1. L'AMICIZIA CON CASTRO

Il forte legame tra Marquez e Castro già ricordato prima, merita di essere approfondito attraverso le parole degli stessi protagonisti. Leggiamo cosa ha scritto Gabo74 di Castro:
«La sua devozione per la parola. Il suo potere di seduzione. Cerca i problemi dove sono. Gli impeti dell'ispirazione sono propri del suo stile. I libri riflettono molto bene l'ampiezza dei suoi gusti. Smise di fumare per avere l'autorità morale per combattere il tabagismo. Gli piace preparare le ricette di cucina con una specie di fervore scientifico. Si mantiene in eccellenti condizioni fisiche con varie ore di ginnastica giornaliera e di nuoto, praticato frequentemente. Ha una pazienza invincibile. Una disciplina ferrea. La forza dell'immaginazione lo trascina negli imprevisti. […]
Il maggiore stimolo della sua vita è l'emozione per il rischio. La tribuna di improvvisatore sembra essere il suo mezzo ecologico perfetto. Incomincia sempre con voce quasi inaudibile, con una direzione incerta, ma approfitta di qualsiasi bagliore per continuare a guadagnare terreno, palmo a palmo, fino a che dà una specie di graffiata e si impadronisce dell'udienza. È l'ispirazione: lo stato di grazia irresistibile ed abbagliante che possono negare solo quelli che non hanno avuto la gloria di viverlo. È l’antidogmatico per eccellenza. José Martí è il suo autore preferito e ha avuto il talento di incorporare la sua ideologia nel torrente sanguigno di una rivoluzione marxista. L'essenza del suo stesso pensiero potrebbe esistere nella certezza che fare un lavoro di massa è fondamentalmente occuparsi degli individui. Questo potrebbe spiegare la sua fiducia assoluta nel contatto diretto. Ha un idioma per ogni occasione ed un modo diverso di persuasione secondo i differenti interlocutori. Sa situarsi al livello di ognuno e dispone di un'informazione vasta e molto varia che gli permette di muoversi con facilità in qualunque mezzo.
Una cosa si sa con sicurezza: stia dove stia, come stia e con chi stia, Fidel Castro è lì per vincere. Il suo atteggiamento davanti alla sconfitta, nonostante negli atti minimi della vita quotidiana, sembra ubbidire ad una logica privata: non l'ammette, e non ha un minuto di calma fino a quando non riesce ad invertire i termini e trasformarla in vittoria. Nessuno può essere più ossessivo di lui quando si è proposto arrivare a fondo di qualsiasi cosa. Non c'è un progetto colossale o minimo, nel quale non si impegni con una passione accanita. E specialmente se deve affrontare un’avversità. Non sembra mai come in questo momento di aspetto migliore, di umore migliore. […]
La sua più rara virtù di politico è quella facoltà di scorgere l'evoluzione di un fatto fino alle sue conseguenze remote... però questa facoltà non l'esercita come un’illuminazione, bensì come il risultato di un raziocinio arduo e tenace. Il suo aiutante supremo è la memoria e la usa fino all'esagerazione per sostenere i suoi discorsi o le sue chiacchierate private con raziocini soffocanti ed operazioni aritmetiche di una rapidità incredibile. Richiede l'aiuto di un'informazione incessante, ben masticata e digerita. Il suo compito di accumulazione informativa comincia da quando si sveglia. Fa colazione con non meno di 200 pagine di notizie del mondo intero. Durante il giorno gli fanno arrivare informazioni urgenti ovunque sia, calcola che ogni giorno deve leggere circa 50 documenti, a questo bisogna aggregare i dossier dei servizi ufficiali e dei suoi visitatori e tutto quanto possa interessare alla sua curiosità infinita. Le risposte devono essere esatte, perché è capace di scoprire la minima contraddizione di una frase casuale.
Un'altra fonte di vitale informazione sono i libri. È un lettore vorace. Nessuno si spiega come possa avere tempo né che metodo utilizza per leggere tanto e con tanta rapidità, benché lui insista che non ne ha nessuno in particolare. Molte volte sta leggendo un libro all'alba ed alla mattina seguente già lo commenta. Legge l'inglese ma non lo parla. Preferisce leggere in castigliano ed a qualunque ora è disposto a leggere una lettera che gli cada nelle mani. È lettore abituale di temi economici e storici. È un buon lettore di letteratura e la segue con attenzione. Ha l'abitudine degli interrogatori rapidi. Domande successive che lui fa a raffica istantanea fino a scoprire il perché del perché del perché finale. Quando un visitatore dell'America Latina gli diede un dato affrettato sul consumo di riso dei suoi compatrioti, lui fece i suoi calcoli mentali e disse: Che raro che ogni persona si mangia quattro libbre di riso al giorno. La sua tattica maestra è domandare su cose che sa, per confermare i suoi dati. Ed in alcuni casi per misurare il calibro del suo interlocutore, e trattarlo di conseguenza. Non perde occasione per informarsi. Durante la guerra dell'Angola descrisse una battaglia con tale minuziosità in un'accoglienza ufficiale che costò molto tempo convincere un diplomatico europeo che Fidel Castro non vi avesse partecipato.
Il racconto che fece della cattura ed assassinio del Che, quello che fece dell'assalto de La Moneda e della morte di Salvador Allende o quello che fece delle stragi del ciclone Flora, erano come grandi reportage parlati. La sua visione dell'America Latina nel futuro, è la stessa di Bolivar e Martí, una comunità integrale ed autonoma, capace di muovere il destino del mondo. Il paese del quale sa di più dopo Cuba, sono gli Stati Uniti. Conosce a fondo l'indole della loro gente, le loro strutture di potere, i secondi fini dei loro governi, e questo l'ha aiutato a contrastare il temporale incessante del blocco. In un'intervista di varie ore, si trattiene su ogni tema, si avventura per i suoi luoghi impervi e per quelli meno pensati senza trascurare mai la precisione, cosciente che una sola parola usata male, può causare danni irreparabili. Non si è mai negato a rispondere a nessuna domanda, per provocatoria che sia, e non ha mai perso la pazienza. Su quelli che gli nascondono la verità per non causargli più preoccupazioni di quelle che ha: lui lo sa. Ad un funzionario che lo fece, gli disse: Mi occultano verità per non inquietarmi, ma quando alla fine le scopro come minimo morirò per l'impressione di affrontare tante verità che non mi hanno mai detto. Le più gravi, senza dubbio, sono le verità che gli sono occultate per nascondere le deficienze, perché al lato degli enormi risultati che sostengono la Rivoluzione come i risultati politici, quelli scientifici, quelli sportivi, quelli culturali - c'è un'incompetenza burocratica colossale, che colpisce quasi tutti gli ordini della vita quotidiana, e specialmente la felicità domestica.
Quando parla con la gente della strada, la conversazione recupera l'espressività e la franchezza cruda degli affetti reali. Lo chiamano: Fidel. Lo circondano senza rischi, gli danno del tu, discutono con lui, lo contraddicono, gli reclamano cose, con un canale di trasmissione immediata dove circola la verità a fiotti. È allora che si scopre l'essere umano insolito che lo splendore della sua propria immagine non lascia vedere. Questo è il Fidel Castro che credo di conoscere: un uomo di abitudini austere ed illusioni insaziabili, con un'educazione formale all'antica, di parole caute e maniere tenui ed incapace di concepire nessuna altra idea che non sia enorme. Sogna con che i suoi scienziati trovino la medicina finale contro il cancro e ha creato una politica estera di potenza mondiale, in un'isola 84 volte più piccola rispetto al nemico principale. Ha la convinzione che il risultato maggiore dell'essere umano è la buona formazione della sua coscienza e che gli stimoli morali, più che i materiali, sono capaci di cambiare il mondo e spingere la storia.
L'ho sentito nelle sue scarse ore di nostalgia alla vita, evocare le cose che avrebbe potuto fare in un altro modo per vincere più tempo alla vita. Vedendolo molto oppresso dal peso di tanti destini altrui, gli domandai che cosa era quello che più volesse fare in questo mondo, e mi rispose immediatamente: fermarmi all’angolo».
Leggiamo come ha ricambiato il 9 luglio 2008 Fidel Castro75, parlando dell'amico Gabo:
«Ieri avevo una montagna di dispacci d’agenzia con notizie sulla riunione in Giappone delle potenze più industrializzate. Lascerò il materiale per un altro giorno, se non diventa vecchio. Ho deciso di riposare. Ho preferito incontrarmi con Gabo e sua moglie, Mercedes Barcha, che fino a venerdì sono in visita a Cuba. Che desiderio avevo di parlare con loro e ricordare i quasi 50 anni di sincera amicizia! […]
Nel 1948, mentre su nostra iniziativa si stava organizzando in Colombia un Congresso Latinoamericano degli Studenti, il caso volle che la capitale di quel paese fosse sede anche della riunione degli Stati latinoamericani che, seguendo il modello statunitense, stavano creando l’Oea. Gli studenti universitari colombiani mi fecero l’onore di presentarmi Gaitán.
Questi ci sostenne e ci consegnò degli opuscoli del noto Discorso della Pace, pronunciato in occasione della Marcia del Silenzio, la massiccia ed impressionante manifestazione che sfilò per Bogotà, in protesta contro i massacri dei contadini commessi dall’oligarchia colombiana. Gabo partecipava a quella marcia. […] La nostra amicizia è stata il frutto di un rapporto coltivato per molti anni in cui il numero di conversazioni, per me sempre piacevoli, sono state centinaia. Parlare con García Márquez e Mercedes, quando venivano a Cuba – più di una volta all’anno – si trasformava in una ricetta contro le forti tensioni che, incoscientemente, ma costantemente, viveva un dirigente rivoluzionario cubano.
Proprio in Colombia, in occasione del IV Vertice Ibero-americano, gli anfitrioni organizzarono una passeggiata in carrozza lungo le mura di Cartagena, una specie di Avana Vecchia, una reliquia storica protetta. I compagni del Servizio di Sicurezza cubano mi dissero che non era conveniente partecipare al giro programmato. Pensai che si trattava di una preoccupazione esagerata. Ma ho sempre rispettato la loro professionalità ed ho sempre cooperato con loro. Chiamai Gabo, che era vicino, e gli dissi scherzando: “Monta con noi su questa carrozza, così non ci sparano!”. E così fece. A Mercedes, che rimase al punto di partenza, aggiunsi nello stesso tono: “Sarai la vedova più giovane”.
Il cavallo partì arrancando con il suo pesante carico. Gli zoccoli scivolavano sul selciato. Seppi in seguito che lì accadde come a Santiago del Cile, quando durante un’intervista mi puntarono una telecamera contenente un’arma automatica ed il mercenario non ebbe il coraggio di sparare. A Cartagena erano nascosti in un punto delle mura con fucili telescopici ed armi automatiche e quelli che dovevano premere il grilletto ancora una volta tremarono. Il pretesto fu che la testa di Gabo, interponendosi, impediva la mira. […]
Non è necessario dire come la pensava Gabo. Basta semplicemente trascrivere i paragrafi finali del suo discorso, un gioiello della prosa, mentre riceve il Premio Nobel il 10 dicembre 1982, quando Cuba, degna ed eroica, resisteva al blocco yankee.
Un giorno come oggi, il mio maestro William Faulkner disse in questo luogo: 'Mi nego ad ammettere la fine dell’uomo'”, disse. “Non mi sentirei degno d’occupare questo posto che fu suo, se non avessi la piena coscienza che per la prima volta dalle origini dell’umanità, il disastro colossale che si rifiutava d’ammettere trentadue anni fa, è ora nient’altro che una semplice possibilità scientifica. Dinnanzi a questa realtà impressionante che dovette sembrare un’utopia durante tutto il tempo umano, noi inventori di favole, che crediamo a tutto, ci sentiamo in diritto di credere che non è ancora troppo tardi per intraprendere la creazione dell’utopia contraria”. “Una nuova e devastante utopia della vita, dove nessuno possa decidere per gli altri addirittura il modo in cui morire, dove davvero sia certo l’amore e sia possibile la felicità, e dove le stirpi condannate a cento anni di solitudine abbiano finalmente e per sempre una seconda opportunità sulla terra”».
74. G. G. Marquez, Il Fidel Castro che io conosco, Granma, 19 aprile 2014.
75. F. Castro, Il riposo, Italia-cuba.it, 9 luglio 2008.

cookie