29 Marzo 2024

06.2. L'ORTODOSSIA DEI VERSI POLITICI

Dalle Poesie dell'esilio (postuma):
«Esclusivamente per via del crescente disordine / nelle nostre città piene di lotta di classe / hanno taluni di noi in questi anni deliberato / di non parlar più di città di mare, neve sui tetti, donne, / odor di mele mature in cantina, sensazioni della carne, / tutto quel che fa l'uomo rotondo e umano, / ma di parlar soltanto del disordine, / quindi di diventare unilaterali, aridi, irretiti nelle faccende / della politica e nel secco, “ignobile” lessico / della economia dialettica. / Perché questa terribile folta compresenza / di nevicate (non sono solo fredde, lo sappiamo), / sfruttamento, carni sedotte e giustizia di classe, tolleranza / per un mondo tanto multilaterale non generi in noi, piacere / dai contrasti di una vita così sanguinosa. / Voi capite».
Cori di Controllo, da La linea di condotta (1930):
«Vieni fuori, compagno! Rischia / il tuo soldo, che non è più un soldo, / il posto dove dormi, che ci piove, / e il posto di lavoro, che perderai domani! / Fuori, in strada! Combatti! / Per aspettare, è troppo tardi! / Aiuta te, mentre ci aiuti: pratica / la solidarietà! / Sacrifica, compagno, quel che hai! / Tu non hai niente. / Vieni fuori, compagno, davanti ai fucili, / e insisti per il tuo salario! / Se tu sai che non hai nulla da perdere / i loro agenti non hanno abbastanza fucili! / Fuori! In strada, combatti! / Per aspettare, è troppo tardi! / Aiuta te, mentre ci aiuti: pratica / la solidarietà! […] Ma chi è il partito? / Se ne sta in una casa coi telefoni? / Sono segreti i suoi pensieri, sconosciute le sue decisioni? / Chi è? / Noi. / Tu e io e voi – noi tutti. / È nei tuoi vestiti, compagno, e pensa nella tua testa. / Dove vivi è la sua casa, e dove sei attaccato combatte. / Mostraci la via che dobbiamo fare e noi / la faremo con te, ma / non fare senza di noi la via giusta: / senza di noi è / la più sbagliata. / Non separarti da noi! / Noi possiamo sbagliare, e tu puoi aver ragione, quindi, / non separarti da noi! / Che la via breve sia meglio di quella lunga, nessuno la nega. / Ma quando uno la conosce / e non può indicarvela, a che ci giova la sua saggezza? / Fra di noi sii saggio! / Non separarti da noi! […] “Sulle nostre fronti c'è scritto / che siamo contro lo sfruttamento. / Sui nostri mandati di cattura: costoro / sono per gli oppressi! / Chi aiuta i disperati / è considerato la feccia del mondo. / Siamo noi la feccia del mondo».
Lode alla dialettica (1932)
«L'ingiustizia oggi cammina con passo sicuro. / Gli oppressori si fondano su diecimila anni. / La violenza garantisce: com'è, così resterà. / Nessuna voce risuona tranne la voce di chi comanda / e sui mercati lo sfruttamento dice alto: solo ora io comincio. / Ma fra gli oppressi molti dicono ora: / quel che vogliamo, non verrà mai. / Chi ancora è vivo non dica: mai! / Quel che è sicuro non è sicuro. / Com'è, così non resterà. / Quando chi comanda avrà parlato / parleranno i comandati. / Chi osa dire: mai? / A chi si deve, se dura l'oppressione? A noi. / A chi si deve, se sarà spezzata? Sempre a noi. / Chi viene abbattuto, si alzi! / Chi è perduto, combatta! / Chi ha conosciuta la sua condizione, come lo si potrà fermare? / Perché i vinti di oggi sono i vincitori di domani / e il mai diventa: oggi!»
Lode del comunismo (1933):
«È ragionevole, chiunque lo capisce: È facile. / Non sei uno sfruttatore, lo puoi intendere. / Va bene per te, informatene. / Gli idioti lo chiamano idiota e, i sudici, sudicio. / È contro il sudiciume e contro l’idiozia. / Gli sfruttatori lo chiamano delitto. / Ma noi sappiamo: / È la fine dei delitti. / Non è follia ma invece / Fine della follia. / Non è il caos ma / L’ordine, invece. / È la semplicità / che è difficile a farsi».
Lode dell'URSS (1933):
«Già il mondo discorreva / della nostra infelicità. / Ma ancora sedeva alla nostra / misera tavola / la speranza di tutti gli oppressi, che / si accontenta d'acqua. / E la Conoscenza ammaestrava / dietro la porta cadente / con chiara voce gli ospiti. / Quando sia caduta la porta / siederemo noi tuttavia, ancora visibili: / noi che non uccide la fame né il freddo / instancabili fidando / nelle sorti del mondo».
La scritta invincibile (1934):
«Al tempo della guerra mondiale / in una cella del carcere italiano di San Carlo / pieno di soldati arrestati, di ubriachi e di ladri, / un soldato socialista incise sul muro col lapis copiativo: / viva Lenin! / Su, in alto, nella cella semibuia, appena visibile, ma / scritto in maiuscole enormi. / Quando i secondini videro, mandarono un imbianchino con un secchio di calce / e quello, con un lungo pennello, imbiancò la scritta minacciosa. / Ma siccome, con la sua calce, aveva seguito soltanto i caratteri / ora c'è scritto nella cella, in bianco: / viva Lenin! / Soltanto un secondo imbianchino coprì il tutto con più largo pennello / sì che per lunghe ore non si vide più nulla. Ma al mattino, / quando la calce fu asciutta, ricomparve la scritta: / viva Lenin! / Allora i secondini mandarono contro la scritta un muratore armato di coltello. / E quello raschiò una lettera dopo l'altra, per un'ora buona. / E quand'ebbe finito, c'era nella cella, ormai senza colore / ma incisa a fondo nel muro, la scritta invincibile: / viva Lenin! / E ora levate il muro! Disse il soldato».
A chi esita (1937):
«Dici: / per noi va male. Il buio cresce. Le forze scemano. / Dopo che si è lavorato tanti anni / noi siamo ora in una condizione / più difficile di quando / si era appena cominciato. / E il nemico ci sta innanzi / più potente che mai. / Sembra gli siano cresciute le forze. / Ha preso un'apparenza invincibile. / E noi abbiamo commesso degli errori, / non si può più mentire. / Siamo sempre di meno. / Le nostre parole d'ordine sono confuse. / Una parte delle nostre parole / le ha travolte il nemico fino a renderle / irriconoscibili. / Che cosa è errato ora, falso, di quel che abbiamo detto? / Qualcosa o tutto? Su chi contiamo ancora? / Siamo dei sopravvissuti, respinti via dalla corrente? / Resteremo indietro, / senza comprendere più nessuno e da nessuno compresi? / O contare sulla buona sorte? / Questo tu chiedi. / Non aspettarti nessuna risposta / oltre la tua».
Da Breviario tedesco (1937-38):
«Per chi sta in alto / discorrere di mangiare è cosa bassa. / Si capisce: hanno già / mangiato, loro».
Il Nemico (1937-38):
«Al momento di marciare / molti non sanno / che alla loro testa marcia il nemico. / La voce che li comanda / è la voce del loro nemico. / E chi parla del nemico / è lui stesso il nemico».
Generale (1937-38):
«Generale, il tuo carro armato è una macchina potente / spiana un bosco e sfracella cento uomini. / Ma ha un difetto: / ha bisogno di un carrista. / Generale, il tuo bombardiere è potente. / Vola più rapido d'una tempesta e porta più di un elefante. / Ma ha un difetto: / ha bisogno di un meccanico. / Generale, l'uomo fa di tutto. / Può volare e può uccidere. / Ma ha un difetto: / può pensare».
La guerra che verrà (1937-38)
«Non è la prima. Prima / ci sono state altre guerre. / Alla fine dell'ultima / c'erano vincitori e vinti. / Fra i vinti la povera gente / faceva la fame. Fra i vincitori / faceva la fame la povera gente egualmente».
Da A coloro che verranno (1938):
«Eppure sappiamo: / anche l'odio verso la bassezza / distorce i tratti del viso. / Anche l'ira per le ingiustizie / rende la voce rauca. Ah, noi / che volevamo preparare il terreno / per la gentilezza, / noi non potevamo essere gentili. / Ma voi, quando sarà venuto il momento / in cui l'uomo sarà amico dell'uomo, / ricordate noi / con indulgenza».

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